Covid-19: la strage dei diritti umani

No, non è andato tutto bene, come ingenuamente si auspicava dai nostri balconi nei primi mesi della pandemia. E non è andato tutto bene perché tanti, ovunque nel mondo, non hanno fatto tutto bene. A partire da una schiera di politici inadeguati (da Trump a Bolsonaro, passando per Orbán e tanti altri), che avrebbero dovuto contrastare la pandemia seguendo esclusivamente le evidenze scientifiche e perseguendo l’interesse generale e che troppo spesso non lo hanno fatto. Con conseguenze devastanti non solo per la salute, ma anche per i diritti umani in generale.

Riccardo Noury

Alla fine del mese di settembre 2021, secondo i dati della John Hopkins University, 230.663.767 persone nel mondo erano state contagiate dal coronavirus, 4.730.159 erano morte e oltre sei miliardi avevano ricevuto almeno la prima dose di un vaccino.
Questi numeri, a prima vista, potrebbero far pensare che la pandemia abbia colpito ovunque e nello stesso modo. Del resto, è il concetto stesso di pandemia – un attacco globale alla salute – a lasciarlo immaginare.
È invece accaduto il contrario. In alcuni Stati la pandemia ha fatto strage più che in altri. All’interno dei singoli Stati, si è diffusa in modo difforme. Persino all’interno delle singole città, i dati di un quartiere differiscono da quelli di un altro.

Negli Stati del Nord del mondo, le politiche di austerità e di pareggio di bilancio, lo smantellamento dei sistemi sociali, la demolizione di servizi fondamentali come quelli di sanità pubblica, la progressiva esclusione e vulnerabilità di interi gruppi, la differenza di ceto tra chi era obbligato ad andare a lavorare ogni giorno e chi poteva trascorrere il lockdown senza timore di perdere reddito e trascorrendo una vita “da remoto”, hanno reso questo virus un virus di classe che si è insinuato in società afflitte da disuguaglianza e discriminazione, allargando solchi e divisioni già esistenti.

Altrove, la pandemia ha approfittato di condizioni strutturali e carenze endemiche. Slogan come «laviamoci spesso le mani» sono suonati beffardi a quei 20 milioni di abitanti del Sudafrica che non hanno accesso all’acqua potabile. L’obbligo di «restare a casa» si è tradotto in una condanna alla fame per quei miliardi di persone che in Asia meridionale, in America Latina e in Africa basano la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie su lavori informali e alla giornata, che rendono indispensabile uscire di casa. Per non parlare delle innumerevoli persone che non hanno potuto «restare a casa» per la semplice ragione che una casa non la possiedono.

I lockdown si sono rivelati un incubo per le donne. Ovunque, Italia inclusa, l’isolamento forzato ha fatto registrare un preoccupante incremento di episodi di violenza domestica. Dal punto di vista dell’accesso al lavoro, la condizione femminile è regredita di decenni.
Hanno reagito meglio ai lockdown uomini adulti, dal reddito e dalla cultura elevati, dimoranti in abitazioni ampie e possibilmente single. Ha retto alla didattica a distanza la popolazione studentesca che poteva disporre di strumenti e di connettività adeguate.
Non è andato tutto bene, dunque, come ingenuamente si auspicava dai nostri balconi. Non è andato tutto bene perché tanti, ovunque, non hanno fatto tutto bene. Soprattutto coloro che avevano il compito di contrastare la diffusione della pandemia.

Politici inadeguati
Se la diffusione della Covid-19 avesse avuto origine in uno Stato garante dello scambio di conoscenze scientifiche e della libertà d’informazione, sarebbe andata così male? Non esiste una risposta certa, anche se intuitivamente potrebbe essere un “no”.
Ciò che è noto è che i primi operatori sanitari di Wuhan che diedero l’allarme sulla «misteriosa polmonite» che stava flagellando la città cinese furono messi rapidamente a tacere e che gli operatori dell’informazione che provarono a riprendere quell’allarme o a rendere pubblico lo strazio delle famiglie che vedevano morire a grappoli i loro cari, proprio a causa di quella «misteriosa polmonite», finirono presto in carcere: come la blogger Zhang Zhan, poi condannata a quattro anni di carcere alla fine del 2020 e da allora in sciopero della fame, alimentata a forza attraverso una cannula nasale.
A questo approccio autoritario che ha compromesso un allarme tempestivo e impedito la trasparenza si è aggiunto un tema di reputazione, come se aver originato una pandemia anziché dare un senso di urgenza per la condivisione delle informazioni fosse una questione di “brutta figura”. Da questo punto di vista, Wuhan sta a Černobyl’ come la Cina sta all’Unione Sovietica.
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(Credit Image: © Alan Santos/President Brazil/Planet Pix via ZUMA Wire)

 



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