Per una filosofia dell’ecoappartenenza

Crisi climatica e pandemia hanno ormai reso evidente il legame intrinseco fra esseri umani, ambiente, società, salute. È dunque indispensabile far rientrare tra i valori condivisi delle nostre società la consapevolezza dell’ecoappartenenza: del fatto cioè che l’umanità è una parte dell’ambiente naturale, dai cui processi evolutivi è emersa e nel quale continuano a svolgersi le vite di ognuno di noi. Senza cadere nel riduzionismo naturalistico che nega la creatività e la soggettività umane, ma rinunciando al contempo alla hybris che vede nel mondo naturale poco più di un inciampo al libero svolgimento dello spirito.

Orlando Franceschelli

Mali comuni ormai dilaganti su tutto il pianeta; legame tra libertà e solidarietà, sancito tra l’altro già dalla nostra Costituzione; impronta ecologica lasciata dai comportamenti umani sul sistema-Terra: non dovrebbe essere difficile riconoscere che l’attuale pandemia ha riportato in primo piano innanzitutto questi tre problemi etico-politici, ben noti alle persone attente agli ammonimenti della comunità scientifica e alle buone pratiche filosofiche. Ma si sa: noi Sapiens tendiamo anche – e volentieri – a non prendere atto dei fatti e a usare metafore al posto dei termini più appropriati a indicare una cosa. Come puntualmente è avvenuto anche per la pandemia di Covid-19, subito dichiarata inesistente dai negazionisti, frutto di complotti dai cultori di dietrologie (no vax e no green pass inclusi), oppure equiparata a una guerra che tutti saremmo chiamati a combattere… contro un virus. Se è vero che una buona argomentazione filosofica inizia sempre con un’onesta pars destruens, mi sembra opportuno sgombrare preliminarmente il campo da queste visioni più o meno fantasiose e metaforiche della pandemia. Esse, giocando di sponda fra di loro, ostacolano in radice ogni confronto critico con i problemi etico-politici appena elencati. E sono tutte e tre non solo fuorvianti ma anche un insulto alla lezione consegnataci, fin dall’antichità, da uno dei più influenti analisti di vicende belliche e di pestilenze: Tucidide, che scrisse la sua famosissima storia della guerra del Peloponneso (431-404 a. C.) attenendosi scrupolosamente a questo criterio: «Quanto ai fatti avvenuti durante la guerra non ho ritenuto che fosse il caso di raccontarli secondo le informazioni avute dal primo che capitava, né come a me pareva, ma ho riferito quelli a cui io stesso ero presente, e per quelli che ho appreso da altri ho compiuto un esame su ciascuno di essi con la massima accuratezza possibile». Tra questi fatti rientrava anche la peste che aveva flagellato Atene e l’Attica. E dalla quale egli stesso era stato contagiato.

Tucidide sapeva bene che una narrazione dei fatti ispirata a precisione (acribeia) e «assenza del favoloso», poteva risultare poco accattivante. Ma lasciò a poeti e scrittori interessati ai premi letterari il privilegio di abbellire i propri componimenti, magari facendo ricorso alle fake news di allora o a interventi divini nelle vicende storiche di cui, in realtà, sono protagonisti soltanto gli esseri umani. A lui premeva scrivere un’opera che potesse diventare un «possesso per sempre piuttosto che un pezzo per competizione da ascoltare sul momento». Scrivere insomma non un instant book di effimero successo, ma un’opera – come non si è mancato di rilevare – «audacemente innovativa» e orientata a raccontare la guerra e la peste facendo scendere «un silenzio glaciale» 5 anche sugli dei della tradizione mitologica: su acritiche dietrologie diremmo oggi. Pensando anche a quanti si ostinano a equiparare le infezioni e le mutazioni di un coronavirus a punizioni divine o vendette di una Natura concepita ancora in modo antropomorfico: come se fosse una persona che agisce per raggiungere scopi coscientemente prefissati.

Qui non serve rivisitare l’enorme influenza esercitata da Tucidide fino ai nostri giorni – «per sempre», appunto – su ogni concezione realistica dell’agire umano, delle lotte tra consorterie politiche, delle competizioni imperialistiche tra gli Stati più potenti. Basterà tornare, alla fine della nostra analisi, sulla lezione di realismo offerta proprio dalla narrazione della peste. Lezione che indubbiamente sarebbe istruttiva anche per non pochi odierni no vax e no green pass.
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