La battaglia per la crisi climatica “invade” la Mostra del Cinema di Venezia

I movimenti ambientalisti si riuniscono al Lido di Venezia per il Climate Camp: sabato 10 settembre la Climate March perché “la crisi climatica è qui e ora”.

Redazione

Sabato 10 settembre il Lido di Venezia sarà attraversato dalla Climate March, una manifestazione che chiede “giustizia climatica senza se e senza ma, l’abbattimento delle emissioni ora, non tra vent’anni” e che sarà il momento clou della terza edizione del Venice Climate Camp, cinque giorni di “campeggio climatico” organizzato da Rise Up 4 Climate Justice e Fridays For Future Venezia/Mestre “per conoscersi, discutere e costruire insieme mobilitazioni per la giustizia climatica”.

Perché una climate march? “Perché”, spiegano gli organizzatori, “la crisi climatica è qui e ora. Siccità, innalzamento delle temperature, alluvioni, tempeste improvvise, distacchi di intere parti di montagne sono fenomeni sempre più reali e all’ordine del giorno. Perché i governi non stanno mettendo il dovuto impegno per fermare la crisi attuale. Perché non sono solo i civili a dover subire le conseguenze di tutto questo. Perché è necessario ripensare completamente il nostro modello di sviluppo. Perché vogliamo una giusta transizione e pretendiamo giustizia climatica”.

Cosa significa giustizia climatica? “Significa volere ripristinare uno stato di salute dell’ambiente che elimini alla radice le cause del surriscaldamento globale. Per farlo, occorre cambiare modello di sviluppo e puntare a vivere un mondo senza ingiustizie, discriminazioni e oppressioni di alcun tipo”.

La scelta di Venezia, per il terzo anno consecutivo, non è casuale – una città che sorge a pelo dell’acqua e vive quotidianamente la minaccia di essere sommersa dall’innalzamento dei mari – così come non sono casuali le date: il “campeggio climatico” si terrà infatti durante la settimana della Mostra del Cinema, quando le telecamere di tutto il mondo sono puntate su Venezia.

La cinque giorni sarà caratterizzata da una serie di workshop su Crisi climatica, risorse, decolonizzazione, giustizia sociale, lavoro (qui il programma completo) che hanno l’obiettivo di dar vita a un confronto fra diverse realtà, da quelle del mondo dell’ambientalismo a quelle della produzione. Nel mirino, leggendo il documento di presentazione del Venice Climate Camp (di cui pubblichiamo un estratto qui sotto), soprattutto i combustibili fossi che, come sottolineano gli organizzatori, “non sono l’unica causa del riscaldamento globale, ma sono la causa maggiore”. Il problema con i combustibili fossili “è che sono per loro stessa natura così inquinanti e tossici da richiedere il sacrificio di luoghi e persone. Persone i cui corpi e polmoni possono essere immolati nelle miniere o le cui terre e acque possono essere spazzate via dalle cave a cielo aperto o dalle perdite di petrolio”.

Estratto del documento di presentazione della Venice Climate Camp (qui il documento integrale)

(…) Già negli anni ‘70, i consulenti scientifici statunitensi definivano alcune zone del paese “zone di sacrificio nazionale”, come i monti Appalachi, fatti saltare in aria perché estrarre il carbone costava meno che scavare pozzi. Le aree intorno alle centrali elettriche subirono lo stesso trattamento. Interi quartieri, normalmente abitati da comunità afroamericane e ispaniche, furono costretti a portare il peso della nostra dipendenza dai combustibili fossili, un peso che si misura in tumori e malattie respiratorie. Per combattere questo “razzismo ambientale” è nato il movimento per la giustizia climatica.

Le zone di sacrificio sono sparse in tutto il pianeta. C’è il Delta del Niger, avvelenato da Exxon ed ENI, dove è stato portato avanti un vero e proprio “genocidio ecologico”, come ebbe a definirlo lo scrittore ed attivista Ken Sarò-Wiwa prima di essere assassinato dal suo governo. C’è l’Alberta, in Canada, dove l’estrazione delle sabbie bituminose ha distrutto le terre e gli accordi con le Prime Nazioni. (…)

I combustibili fossili richiedono il sacrificio di alcune zone del mondo, è sempre stato così. Ed è falso quello che sentiamo spesso dire, che il cambiamento climatico è colpa della “natura umana”, dell’ingordigia e della miopia tipica della nostra specie. Quando si parla di responsabilità ambientali, gli esseri umani non sono tutti uguali, sono stati i sistemi creati da alcuni esseri umani, come il capitalismo, il colonialismo e il patriarcato a portarci nella situazione in cui siamo. (…)

Non esistono metodi facili, economici e puliti per estrarre combustibili fossili, e questo sta mettendo in crisi il patto faustiano stipulato all’inizio dell’era industriale, stando al quale le conseguenze e i rischi sarebbero stati scaricati su qualcun altro, sulle periferie dei nostri e degli altri Paesi. Zone di sacrificio si allargano in ogni dove: dopo il Sud Globale, il capitalismo ha trattato le proprie periferie, i gruppi sociali più poveri, più marginalizzati, come un territorio di conquista.

Non esiste un modo pulito sicuro e non tossico per mandare avanti un’economia basata sui combustibili fossili. E non esiste neanche un modo pacifico. A differenza delle energie rinnovabili, i combustibili fossili non sono equamente distribuiti, ma sono concentrati in alcune regioni, così come del resto lo sono i minerali, le falde acquifere. (…)

Siamo davanti ad un’emergenza attuale, non futura, ma non ci stiamo comportando come se lo fosse. L’accordo di Parigi impegna i governi a mantenere il riscaldamento globale entro i +2°C. Accordo ampiamente disatteso su un obiettivo sconsiderato. Nel 2015 molti delegati africani definirono quella risoluzione una “condanna a morte” e lo slogan di molte popolazioni che abitano le isole più basse è “1,5 gradi per restare vivi”. Ma anche i 2°C sono una menzogna, perché non esistono reali sforzi in tal senso. Molti dei governi che hanno sottoscritto l’accordo negli ultimi anni hanno diminuito in maniera assolutamente risibile i propri investimenti sul petrolio, aumentando di contro quelli nel gas, la più grande menzogna verde di questo secolo. E come se questo non fosse sufficiente, con lo scoppio della guerra in Ucraina la narrazione intorno alla necessità di una riconversione ecologica ha subito un’assurda svolta. Anziché cogliere l’opportunità per una riconversione a fonti di energia rinnovabile, per un ripensamento del proprio fabbisogno energetico, i Paesi dipendenti dal gas russo hanno dato il via a progetti di centrali di rigassificazione per importare il gas naturale liquefatto dagli USA, stanno investendo nella riapertura di impianti a carbone o stanno riconsiderando il nucleare. (…)

CREDIT FOTO: Sherwood Foto – Venice Climate Camp (Facebook)

 



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