La cultura scientifica a Roma: che disastro!

Dall’abbandono del progetto “Città della Scienza” alla chiusura del Planetario e del museo Astronomico, il quadro desolante della cultura scientifica capitolina.

Vincenzo Vomero

C’è poco da fare, il grado di civiltà di un paese io l’ho sempre misurato con la quantità e la qualità di cultura che produce e con la capacità di comunicazione culturale che offre ai cittadini. Investire in cultura è dare a tutti i mezzi per studiare, per fare ricerca ma anche per condividere i risultati in modo assolutamente democratico. La stessa università italiana si è accorta che non basta insegnare e fare ricerca se non si provvede poi adeguatamente alla condivisione delle conoscenze e ha, con alterna fortuna, finalmente attivato la sua “terza missione”. Noi però siamo soliti massacrare la cultura. La massacriamo finanziando la ricerca in modo insufficiente e ineguale, maltrattando l’insegnamento, e dimenticandoci troppo spesso della qualità e soprattutto della quantità del nostro patrimonio culturale e naturale. Certo, le finanze scarseggiano e noi, solo nel campo dei beni archeologici, architettonici e storici, deteniamo il più grande patrimonio del mondo. Provvedere a tutto è un’opera veramente ciclopica che fino ad ora è stato possibile sostenere in gran parte grazie a sovraintendenti, funzionari e curatori che fanno il loro lavoro con passione non equiparando mai il loro impegno allo stipendio.

Eppure un ripensamento e una gestione più ragionata delle politiche culturali italiane porterebbe a grandi economie di scala. Gli ultimi governi si sono in qualche modo fatti carico del problema e, nel caso specifico del Ministero dei Beni Culturali, hanno iniziato una razionalizzazione incrementando anche, ove possibile e con molta buona volontà, il budget dedicato. Si è fatto poco ma qualcosa si è fatto e, mi piace dirlo, proprio nel campo della più alta comunicazione della cultura, quella dei nostri tanti e spettacolari musei. Nei musei si fa ricerca e si fa comunicazione e si mette la cultura a disposizione di tutti con i suoi oggetti e i suoi concetti e si cerca di un coinvolgimento dei pubblici più diversi.

Si, ma … c’è un ma immenso che per tutta la mia vita dedicata ai musei scientifici mi ha inquietato violentemente, sempre. Una caratteristica deleteria di tanti di noi italiani è quella di tendere a mantenere in vita le vecchie “due culture”, quella umanistica e quella scientifica. E sì, ma questa odiosa abitudine non è della gente comune ma è prerogativa proprio di alcuni nostri grandi uomini di cultura e di una immensa percentuale di politici e amministratori della cosa pubblica. Avviene così che proprio nel campo dei musei quella maggior attenzione a cui accennavo va tutta ai musei “umanistici” tanto che nell’ultima riforma del ministro Franceschini i musei scientifici addirittura non sono presi in considerazione. Evidentemente l’establishment culturale italiano pensa ancora che ci sia una cultura di serie a e una di serie b. Ma potete mai pensare che un museo che racconta la biodiversità del pianeta, la formazione dell’universo, dei sistemi solari e della nostra stessa terra, l’origine dell’uomo, l’evoluzione, l’ecologia possa essere considerato di secondo piano? Siamo in una nuova Era che comincia a essere chiamata Antropocene, un’era nella quale la nuova forza selettiva è proprio l’uomo che con le sue attività riesce a condizionare il futuro del pianeta, e volete che la scienza e la comunicazione della scienza possa essere di secondo piano? Lo stesso ministro Franceschini si è prontamente accorto del problema e ha immediatamente preso contatto con l’Associazione Italiana Musei Scientifici che raccoglie i mille musei italiani di storia naturale e scientifici in senso lato, sottoscrivendo con l’ANMS uno specifico protocollo d’intesa che spero il nuovo Governo vorrà portare a compimento.

Roma che ha fatto? Roma Capitolina, devo riconoscerlo, stranamente è stata dissonante nelle politiche culturali nazionali con una serie di amministrazioni che hanno mostrato una cura ed una attenzione particolare alle politiche culturali comunali, addirittura potenziando quelle scientifiche. In questi ultimi quarant’anni ho avuto il privilegio e l’onere di seguire dall’interno dell’amministrazione capitolina queste politiche che hanno portato la capitale a distinguersi nel panorama nazionale.

Roma ha fatto sforzi enormi per rendere sempre più fruibili gli immani tesori archeologici, storici e artistici che conserva e l’ha fatto grazie anche all’unica Sovranitendenza “comunale” esistente in Italia. Roma, però, avrebbe commesso un errore epocale se si fosse fermata qui. Unica tra le grandi città italiane ha sentito, invece, la necessità di rendere ancora più globale e integrato il forte intervento culturale messo in atto, creando uno specifico settore della Amministrazione Capitolina dedicato tutto alla gestione dei musei scientifici e della cultura scientifica cittadina. Ha iniziato così a operare un potenziamento della cultura scientifica mediante il rilancio delle strutture già esistenti in città e poi con l’ambizioso ma sfortunato progetto di una Città della Scienza. In controtendenza, quindi, con la politica nazionale della gestione della cultura scientifica, la Città Eterna ha iniziato a offrire al pubblico una maggiore quantità musei scientifici, di mostre e di scienza raccontata, peraltro di buona qualità.

I più vecchi di noi ricorderanno come negli ultimi decenni, a cavallo degli anni duemila, la città abbia fortemente diversificato l’offerta culturale con una quantità di mostre scientifiche alle quali il pubblico ha risposto in modo assolutamente entusiasmante, con livelli di visitatori insoliti per gli standard museologici dominanti a Roma e in Italia, ricordo solo due mostre sull’evoluzione dei vertebrati o sullo sterminato popolo degli insetti (si, ho detto proprio vertebrati e insetti) che in quattro mesi di programmazione hanno sfiorato i 300.000 visitatori ciascuna, segno più che evidente che a Roma esisteva una grande “fame di scienza” che andava soddisfatta. Fame che anche oggi, per fortuna, è sempre più viva. Ebbene, queste mostre hanno dato inizio a un modo diverso di comunicare i fatti e le ipotesi e i metodi della scienza adoperando una strategia comunicativa innovativa, assolutamente ineccepibile sul piano disciplinare ma diversa, più attuale e fondamentalmente “soft e user friendly”. Queste numerose manifestazioni hanno cercato di attirare il maggior numero possibile di visitatori con titoli accattivanti, con testi e contenuti comprensibili a tutti, con un impianto espositivo nel quale scienza di eccellenza e comunicazione gradevole riescono a convivere con reciproco beneficio. Roma ha cercato di colpire il visitatore nella sua sensibilità più profonda, stimolando la curiosità e innescando un meccanismo virtuoso, quello che parte dalla innata curiosità umana e scatena poi l’interesse, creando infine emozioni, proprio quell’emozione che ti porta all’innamoramento.

La filosofia comunicativa usata per le mostre temporanee è stata poi applicata ai musei scientifici della città, ristrutturando quelli esistenti e progettandone e creandone di nuovi.
È nato, così, il grande e fortunato rilancio del Museo civico di Zoologia che è passato da uno “zoo cristallizzato per pochi specialisti” ad una “esposizione di concetti biologici d’avanguardia”, concetti illustrati con pochi e ben scelti oggetti naturali. Da vero antesignano, Il Museo civico di Zoologia già agli inizi degli anni ’90 lanciò un ambizioso progetto comunicativo sulla Biodiversità, in contemporanea alla storica Conferenza di Rio del 1992, che ancora oggi prosegue con successo.

Giunte illuminate crearono poi un nuovo spazio espositivo dedicato ad una disciplina difficilmente “mostrabile”, Il Museo della Matematica, che ha poi abbandonato la sua collocazione alla Sapienza per esser riprogettato e riallestito nel Castelletto Neogotico di villa Sciarra con un piccolo ma intrigante science center matematico che non parla di tabelline e equazioni ma racconta che la matematica è presente in ogni azione della nostra vita, “Math inside”.

Sono stati riprogettati, ripensandoli completamente, i sistemi espositivi delle collezioni storico- mediche conservate nel Museo Nazionale di Arte Sanitaria al Santo Spirito.

La Città è stata poi dotata di un nuovo Planetario progettato e costruito ex novo all’Eur nel Museo della Civiltà Romana. Una realizzazione ambiziosa e modernissima, finalmente degna della capitale, con una imponente cupola di 16 metri di diametro e una tecnologia immersiva multimediale di grande impatto che ha fatto godere del piacere della scoperta astronomica oltre 70.000 visitatori l’anno, portando anche un sensibile incremento economico alle casse capitoline.

Assieme al Planetario è stato inaugurato anche un nuovo Museo Astronomico che è rimasto impresso nella memoria dei visitatori per i suoi contenuti culturali e le sue soluzioni tecnologiche di grande impatto e di indubbio appeal. Inutile dire che queste due nuove strutture astronomiche, con una commistione continua di scienza, arte, musica, letteratura e tecnologia, hanno dato vita a una evidente e dimostrabile crescita di cultura scientifica in una grandissima quantità di cittadini che altrimenti non si sarebbero mai avvicinati all’astronomia e con grande beneficio delle scuole, dalle elementari all’università.

Mi piace poi citare un piccolo ma importante progetto, specificamente finanziato dal Ministero della Università e della ricerca scientifica, il Museomobile, che ha portato direttamente nelle scuole supporti e materiali scientifici per permettere agli stessi studenti di organizzare in proprio e gestire piccole mostre scientifiche. Per non parlare poi di altre forme di “outreach”, portando la scienza nelle estreme periferie, nelle carceri e a stretto contatto con concittadini di altre etnie.

Ed in ultimo, ma non ultimo per importanza, un progetto completamente dedicato all’educazione, un Centro per l’avanzamento della cultura scientifica nelle scuole (CIPS) che in collaborazione con l’Istituto Leonardo da Vinci ha realizzato un “learning centre” formato da spazi museali, laboratori, piccoli e agili spazi espositivi e un centro di documentazione dedicato alle scuole e alla educazione scientifica in città.

Ed è stato proprio questo nuovo settore dell’Amministrazione Comunale di gestione dei Musei

Scientifici che ha dedicato gran parte della sua attività alla fattibilità e alla progettazione dei contenuti di una Città della scienza a Roma; un progetto ambizioso, forse troppo, fortemente sostenuto da Antonio Ruberti, che ha costituito una sfida, purtroppo sempre perdente, per tante amministrazioni capitoline. Iniziato dalla Giunta Rutelli per il Gazometro, poi passato alla giunta Veltroni, transitato alla giunta Alemanno per l’area di Tor Vergata, infine alla giunta Marino per l’area delle caserme di Via Guido Reni e poi definitivamente bloccato dalla giunta Raggi.

La Città tutta si è mossa per aprire delle piccole fessure, dei piccoli fori attraverso i quali far intravedere a tutti la grandiosità dell’universo e della natura con le leggi che la governano. E proprio attraverso questi piccoli squarci che siamo riusciti a far intravedere “grumi di scienza”, solo piccole porzioni perché, nonostante tutto, pochissima è ancora la quantità di cose che la scienza è riuscita a decifrare e ad interpretare, in rapporto alla grandiosità dei meccanismi naturali. Ma è proprio stimolando oggi la curiosità dei giovani su una piccola parte di quel poco che conosciamo che riusciremo a scoprire e a interpretare domani qualcosa di più per un avanzamento sostenibile della economia, del sociale e per il benessere complessivo della società e per lo stesso futuro della vita sulla Terra.

Ecco il perché dell’equazione “più cultura = maggior livello di civiltà”.

Oggi mi pare che le cose siano precipitate in modo veramente imbarazzante.

Tutto il lavoro e gli investimenti fatti pare non interessare ai nostri amministratori. Facendo oggi uno screening di tutto ciò che la Sovraintendenza Capitolina ha messo in campo negli anni passati si viene presi da un senso di sconforto totale. Tanti progetti non hanno visto mai la fine o sono stati bloccati, le strutture esistenti languono in un pericoloso livello di sciatteria culturale e gestionale e quelle strutture che spiccavano in Italia per la loro eccellenza sono addirittura chiuse al pubblico.

Facciamo un elenco? Bene, anzi male:

– Il progetto Città della Scienza è stato definitivamente accantonato dalla giunta attuale dopo tanto clamore e dopo tanti soldi già investiti, prima per un eccellente progetto dei contenuti e poi per un corposo master plan dedicato addirittura ad un intero nuovo quartiere a Via Guido Reni chiamato proprio Città della Scienza.

– Il piccolo Science Center della matematica a Villa Sciarra non è stato mai aperto.

– Il Museo mobile non funziona più e giace abbandonato in un angolo nascosto di Villa Borghese.

– Il Centro per l’avanzamento della cultura scientifica nelle scuole (CIPS) ha smesso ormai da anni la sua attività per assenza di finanziamenti.

– Il glorioso Museo Civico di Zoologia sta lentamente “estinguendosi” insieme alle grandi collezioni naturalistiche della antica Regia Università e dell’Archiginnasio Romano e insieme ai milioni di campioni naturalistici che formano una delle più invidiabili raccolte di “big data” della diversità biologica italiana. Regge ancora, per fortuna, il suo sempre attualissimo e innovativo apparato espositivo. Il museo civico soffre principalmente per una forte mancanza di attenzione pubblica e per la totale mancanza di turnover di personale di curatela e, soprattutto, per le sue importanti e spesso uniche collezioni scientifiche in perenne pericolo di allagamento da un tetto che fa acqua durante le grandi piogge romane.

– Il Planetario è ormai drammaticamente chiuso al pubblico da anni per lavori di messa a norma dei 15.000 metri quadri del Museo della Civiltà Romana che lo ospita. Avrebbe forse potuto continuare ad operare in tutti questi anni di inutile chiusura visto che i suoi impianti erano più recenti del resto del Museo della Civiltà Romana, solo se qualche amministratore illuminato e lungimirante lo avesse voluto e avesse studiato come gestire facilmente l’accesso del pubblico.

– Il museo Astronomico è anch’esso chiuso al pubblico da anni per gli stessi motivi, con i sofisticati sistemi espositivi e i tanti delicati diorami astronomici coperti da strati di polvere e da calcinacci caduti dagli altissimi soffitti e con l’impianto multimediale totalmente abbandonato e senza manutenzione.

Un quadro decisamente desolante purtroppo, ma al peggio non c’è mai fine.
Non c’è che dire. Cultura scientifica, ad maiora!
Non meravigliamoci, allora, se in Italia ci si debba vergognare se non si conosce Masaccio ma si può dire, con spavalderia e anche vantandosi – io di matematica e di scienze non ci capisco niente!

 

(Vincenzo Vomero, già direttore Musei Scientifici di Sovraintendenza del Comune di Roma, già editor di Museologia Scientifica, ricercatore entomologo)



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