Da dove riparte la sinistra francese?

Per la sinistra francese c’è il bisogno di superare quelle frammentazioni che l’hanno esclusa dal ballottaggio tra Macron e Le Pen. Ma le geometrie ideali per costruire una larga coalizione non sembrano ancora all’orizzonte.

Simone Martuscelli

L’elezione di Emmanuel Macron all’Eliseo nel secondo turno di domenica, oltretutto con un margine superiore alle aspettative della vigilia, ha fatto calare il sipario su queste elezioni presidenziali e dato il via alle analisi del voto. E il campo che più di tutti ha bisogno di interrogarsi sul suo ruolo nell’assetto politico francese è la sinistra, grande esclusa dal ballottaggio per la seconda elezione di fila.

“Merci qui?”: la copertina di Libération il giorno dopo la rielezione di Macron riflette in maniera eloquente su un dato di fatto: la conferma del presidente uscente si deve anche, e soprattutto, agli elettori di sinistra che per l’ennesima volta hanno accettato, naso turato, di raccogliersi in una union sacrée contro l’estrema destra. Un fronte più debole che mai, visto che il 41,4% raccolto da Le Pen rappresenta il miglior risultato per il Rassemblement National tra i tre ballottaggi della sua storia (2002, 2017, 2022). Ma che negli ultimi giorni è stato capace di caricarsi sulle spalle le proprie responsabilità.

Tra gli elettori che al primo turno hanno scelto il “terzo incomodo” Jean-Luc Mélenchon, infatti, ben il 42% ha espresso alla fine la propria preferenza per Macron. Il 41% ha votato scheda bianca/nulla o si è astenuto, mentre solo il 17% ha optato per Le Pen. Una ripartizione più sbilanciata rispetto ai sondaggi dei primi giorni successivi al primo turno, segno forse che la rabbia di reazione per l’esito ha lasciato il posto, lentamente, al timore e poi all’accortezza. Macron, dal canto suo, sa che questo voto non rappresenta assolutamente un endorsement al suo progetto politico tout court.

Nel suo discorso, la sera dell’elezione, ha promesso che nella sua seconda presidenza terrà conto, oltre che degli elettori di Le Pen, di coloro che si sono astenuti e di quelli che lo hanno votato solo per fare fronte comune contro l’estrema destra. E già durante le due settimane di campagna per il ballottaggio aveva lavorato a rafforzare la “gamba sinistra” del suo edificio politico, aprendo alla ridiscussione della famigerata riforma delle pensioni e attingendo dal programma di Mélenchon nel proporre l’istituzione di un ministero della “pianificazione ecologica”.

Il risultato di domenica, dunque, dimostra che quella fetta di elettorato sensibile alle tematiche più progressiste è ancora capace di spostare gli equilibri, anche in un paese che tende sempre più a destra come la Francia di oggi. Ma ora, sventato il pericolo Le Pen, quel popolo ha bisogno di riorganizzarsi e ritrovare uno slancio progettuale. E l’occasione è fornita dalle legislative che si terranno a giugno.

A oggi, il Paese si presenta diviso in un sostanziale tripolarismo, con un blocco di estrema destra e la macronie a fare da contraltare al campo delle sinistre. E il sistema elettorale francese, un uninominale a doppio turno, fa sì che la sinistra abbia la possibilità di occupare uno spazio importante nella prossima Assemblea nazionale, fondamentale per indirizzare l’operato di Macron. Magari, persino di esprimere il Primo ministro: come si augura Jean-Luc Mélenchon, che già dai giorni successivi al primo turno aveva parlato delle legislative come di un “terzo turno”, invitando gli elettori di sinistra ad indirizzare la delusione verso una campagna a tappeto per raggiungere la maggioranza.

Per riuscirci, però, c’è bisogno di superare quelle stesse frammentazioni che, alle presidenziali, hanno impedito di assistere a un ballottaggio diverso rispetto alla riedizione del duello Macron-Le Pen. E le geometrie ideali per costruire una larga coalizione non sembrano ancora all’orizzonte.

In un primo momento, dopo il 10 aprile, La France Insoumise di Mélenchon aveva aperto il campo al Parti Comuniste di Fabien Roussel e ai Verdi di Yannick Jadot, escludendo invece il Parti Socialiste. È proprio con i delegati socialisti, invece, che i rappresentanti di LFI (e in particolare la leader all’Assemblea nazionale, Mathilde Panot) terranno dei colloqui in queste ore per valutare la fattibilità di alcune forme di collaborazione. Inoltre, se la strada per un’unione con i comunisti sembra in discesa, con il PCF pronto a riconoscere la leadership di Mélenchon, Jadot si è invece detto scettico riguardo a una coalizione guidata dal leader di LFI. Auspicando, piuttosto, “Una prospettiva larga e molto aperta (…) intorno ad un progetto ecologico e sociale”.

Se le coordinate tematiche prospettate da Jadot sono sostanzialmente condivisibili da tutto il campo delle sinistre, pur con le dovute differenze di prospettiva, è dunque di nuovo sui nomi e su questioni di leadership che il tentativo di riunificare le sinistre sembra apparire in salita, esattamente com’era stato per l’esperimento fallimentare della Primaire populaire in vista delle presidenziali. Un ennesimo suicidio politico che gli elettori di sinistra, per la responsabilità e la pazienza dimostrata, non meriterebbero e probabilmente non perdonerebbero.

 

(Credit Image: © Alexis Sciard/IP3 via ZUMA Press)



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