Avere i dati sulla 194? Impossibile

Il piccolo ma importante libro di Lalli e Montegiove conferma due questioni note ma sottovalutate: in Italia la legge 194 funziona (a fatica) in certe parti d'Italia ma in altre è quasi come se non esistesse; mentre gran parte della burocrazia – politica, medica e amministrativa – non risponde neppure alle sue leggi.

Daniele Barbieri

Il titolo del libro – Mai dati – non è immediatamente chiaro. Bisogna guardare bene un doppio sottotitolo bicolore in copertina per essere sicuri di aver capito: Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere. Quel titolo secco gioca in assonanza con il «mai nati» di tanta propaganda che si dice “per la vita”, però non è subito ovvio. Dovendo fare un gioco di parole (sembra ormai inevitabile nei titoli, qual sia l’argomento) forse si poteva spiegare che le istituzioni italiane tutelano poco l’ivg cioè l’interruzione volontaria di gravidanza ma invece da tempo lavorano duramente per assicurare una continuata ivi cioè interruzione volontaria di informazioni sulla legge 194.

È disperante, offensivo quello che emerge – e soprattutto non emerge – dalla lunga ricerca di Chiara Lalli e Sonia Montegiove. Certi passaggi sono così assurdi che verrebbe voglia di non crederci ma in appendice ecco la conferma, con 20 pagine di documenti pubblici: si inizia con la Regione Lazio e l’ovviamente bilingue Azienda sanitaria dell’Alto Adige per finire con ULSS2 del Veneto, Asl 4 della Regione Piemonte e uno scarabocchio proveniente da L’Aquila.

La domanda che apre il libro è semplicissima: «Come sta la legge 194? Per saperlo avremmo bisogno dei dati ma […] quelli del ministero della Salute sono chiusi, aggregati per regione e vecchi. Cioè sono poco utili». (*)

La solita Italia sempre promossa in busillis e bocciata in chiarezza? No, qui è peggio perché si intuisce una strategia. Per verificare che i dati mancanti (ma anche confusi e contraddittori) non siano una scelta ma solo un caso fra i molti le autrici ricorrono all’«accesso civico generalizzato» – i dati sono proprietà di tutte/i – previsto dal decreto 33 del 2013 e più in generale al decreto legislativo numero 97 del 2016 ovvero «Foia, Freedom of Information Act» che appunto garantisce «a chiunque il diritto di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, salvo i limiti a tutela degli interessi pubblici e privati stabiliti dalla legge». Dunque chiedono ad Asl o a singoli ospedali che però «non sempre rispondono all’email, anche se dovrebbero, al telefono elencano scuse… a volte attaccano o cade la linea… […] o promettono di richiamarti e poi scendono a comprare le sigarette» e, come nelle barzellette peggiori, spariscono per sempre.

Un po’ di numeri. «Più di 300 invii tramite posta elettronica certificata […] mandati alle aziende sanitarie e ospedaliere da agosto 2021 a marzo 2022» (quando il libro viene chiuso). Delle quasi 180 «strutture sanitarie interpellate» oltre 100 «hanno risposto entro i 30 giorni previsti dal Foia» (evviva, anche se è solo applicare la legge); in quasi 70 bisogna «chiamare in causa il responsabile trasparenza»; ne restano oltre 40 del tutto inadempienti. Però anche i dati inviati – o faticosamente strappati – sono vecchi, incompleti e contraddittori. A volte le autrici ricevono «fogli contenenti appunti presi a penna» e incomprensibili. Non sarà reato ma di offesa, di sfregio si tratta.

Un po’ come l’araba fenice – che vi sia, ciascun lo dice, dove sia, nessun lo sa – nel libro compaiono creature mitologiche: l’Agid, agenzia che segue la digitalizzazione della pubblica amministrazione, oppure il «difensore civico digitale».

Poi ci sono gli scandali: cioè gli ospedali con il 100% di «obiezioni di coscienza» oppure i misteri (tutti italiani) della pillola RU486. A volte scoppia la cagnara: «Che passa come passano tutti gli scandali, per noia o disattenzione, e senza che nulla cambi».

Come spiega la legge «l’aborto volontario è una questione di salute pubblica» ma risulta evidente e risaputo – non per questo meno grave – che nell’Italia 2022 (una provincia del Vaticano?) «è discusso quasi solo come una faccenda morale e di coscienza. Coscienza del medico perché quella della donna sembra non esistere o essere intrinsecamente meno pulita visto che vuole abortire».

Tante altre questioni incrociano Lalli e Montegiove. Le buone pratiche, l’Oms, l’esempio della Spagna, le favole, i clamorosi errori in statistica dei giornalisti italiani… Un libro da conoscere. Non solo per arrabbiarsi ma perché chi legge assuma un paradossale impegno a smuovere le acque, insomma a far sì che le autrici possano presto concludere la ricerca che è rimasta incompleta. Non è un affare loro ma un diritto a sapere che riguarda tutte e tutti.

Il piccolo ma importante libro di Lalli e Montegiove conferma due questioni note ma sottovalutate: in Italia la legge 194 funziona (a fatica) in certe parti d’Italia ma in altre è quasi come se non esistesse; mentre gran parte della burocrazia – politica, medica e amministrativa – non risponde neppure alle sue leggi.

Nuovo medioevo: così si scrive sull’attacco pesante all’autodeterminazione delle donne che arriva oggi dagli Usa e prima dalla Polonia. Due casi gravi ma isolati o una lunga controffensiva che minaccia anche l’Italia? La risposta è complessa ma bisogna tener conto di un fattore subdolo: esistono molti modi per “abrogare” una legge e una strategia (poco visibile ma efficace) consiste nel lasciarla lì ma renderne impossibile l’applicazione. L’Italia purtroppo ha da insegnare.

(*) Quando il libro è stato pubblicato – a maggio – non era disponibile la nuova relazione del ministero per la Salute. Purtroppo è tutto come sempre: si dice poco e male, si farfuglia, si vagheggia… Vedi quanto a giugno hanno scritto Giulia Crivellini e Vittoria Loffi.



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