La Bce detta le condizioni anti-spread per garantire il debito italiano: la Troika si avvicina

Iniziano a essere chiari gli effetti delle decisioni della Bce di acquistare titoli pubblici (e alzare i tassi di interesse) e della Commissione di imporre ai governi il rientro dai debiti e dai deficit fiscali.

Enrico Grazzini

L’inflazione alza la testa in tutto il mondo e la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea rispondono inaugurando politiche monetarie e fiscali restrittive: la Bce da questo luglio cessa di acquistare titoli pubblici e alza i tassi di interesse; e la Commissione impone ai governi di rientrare ancora più rapidamente di prima dai debiti e dai deficit pubblici. Anche perché la Bce smette di finanziarli e quindi il loro costo aumenta. Per contrastare il caro-prezzi i due principali organismi dell’Unione Europea di fatto aggraveranno la crisi, freneranno la ripresa economica post-Covid del vecchio continente provocando più disoccupazione, migliaia di fallimenti e povertà.

L’aumento del tasso centrale di interesse deciso dalla BCE comporta che il credito diventerà più caro: le famiglie pagheranno di più per i mutui e le aziende pagheranno di più per i prestiti necessari per gli investimenti. L’economia verrà rallentata e quindi diventerà ancora più difficile pagare i debiti pregressi. Ci risiamo con l’austerità, questa volta nel nome della lotta all’inflazione. Però il fortissimo aumento del costo del petrolio, del gas e dei cereali, certamente non si cura strozzando il credito e la spesa pubblica perché è provocato dall’invasione russa dell’Ucraina e dai lockdown decisi in Cina dal governo contro la risorgenza del Coronavirus. I problemi del caro-prezzi dipendono quindi esclusivamente dalla carente disponibilità di materie energetiche causata dalla guerra in Ucraina e dai problemi produttivi della Cina, la fabbrica del mondo: anche un bambino comprende che in questo contesto frenare la spesa pubblica e il credito non solo non risolve nulla ma è controproducente. Secondo Joseph Stiglitz “una politica monetaria e fiscale restrittiva rendendo gli investimenti più costosi, può al contrario, persino impedire una risposta efficace ai problemi dal lato dell’offerta”. E, sempre secondo il premio Nobel per l’economia, bisognerebbe invece che lo stato intervenisse direttamente per contrastare gli oligopoli e la crescita abnorme dei profitti delle società petrolifere e dell’energia fossile e per impostare nuove politiche industriali e fiscali. In Francia per esempio il governo di Emmanuel Macron ha nazionalizzato EDF, il gigante dell’energia comprandone tutte le quote azionarie.

Di fronte al pericolo di stagflazione – cioè di inflazione e di disoccupazione insieme – e di fronte all’aumento del costo del debito nell’eurozona, non più calmierato dalla Bce, i paesi dell’euro rischiano una nuova crisi profonda: gli spread – ovvero il differenziale tra i rendimenti dei sicuri titoli di stato tedeschi e quelli dei paesi mediterranei che hanno più debito – tendono già ad allargarsi. La Bce ha inaugurato per la prima volta una politica anti-spread per difendere l’euro ma si attiverà solo a discrezione della BCE stessa, e solo se i paesi da salvare seguiranno al millesimo di millimetro le politiche di austerità decise dalla Unione Europea. Tuttavia, non è detto che la Bce riuscirà davvero a calmare i mercati e a restringere gli spread.

Per contrastare la crisi la Bce potrebbe seguire altre politiche, molto più efficaci. Ha già assorbito nel suo bilancio un terzo circa dei debiti dei paesi europei: Lagarde, se lo volesse, potrebbe decidere di cancellare questi debiti senza provocare nessun contraccolpo negativo per l’economia, come del resto aveva già chiesto il compianto David Sassoli e come hanno proposto 150 economisti francesi italiani ed europei[1]. Invece la Bce preferisce mantenere vivo il debito e in questa maniera condiziona pesantemente, se non completamente, le politiche economiche degli stati dell’euro.

L’Italia in particolare è di nuovo nel mirino dei mercati: con un debito pubblico di circa 2750 miliardi di euro, pari al 150% del PIL, a causa dell’aumento dei tassi Bce pagherà di più il suo debito sui mercati. Lo spread è cominciato a salire anche quando Mario Draghi era premier. Dopo che Draghi, il rappresentante massimo dell’esthablishment finanziario e delle istituzioni sovranazionali, il migliore garante dei creditori, è stato sfiduciato dal Parlamento italiano è prevedibile che lo spread aumenterà ancora di più. I futuri governi italiani, per calmare i mercati dovranno frenare la spesa pubblica per gli investimenti – indispensabili per uscire dalla gravissima recessione provocata dalla non ancora terminata pandemia – e per il welfare (sanità, istruzione, ricerca, reddito minimo, pensioni). Bisognerà che le famiglie italiane stringano ancora di più la cinghia, ancora più che negli ultimi 20 anni.

Ogni anno, da 20 anni e oltre, il governo italiano (cioè i contribuenti) pagano ai mercati – ossia alle grandi società finanziarie che acquistano i titoli di stato italiani – un tributo pari a circa 60-70- 80 miliardi solo per pagare gli interessi sul debito pubblico. Ogni anno da più di 20 anni gli italiani vivono al di sotto dei loro mezzi e pagano più tasse di quanto lo stato spende: l’avanzo primario va a pagare gli interessi sul debito pubblico. Ma questo non basta: ogni anno lo stato italiano va comunque in deficit e chiede altri soldi al mercato per servire il debito, mentre il debito sale. Un cul de sac apparentemente senza via di uscita, almeno in questo regime dell’euro. Il sistema finanziario nazionale e internazionale si arricchisce con il nostro debito. Però con 70 miliardi all’anno che diamo ogni anno ai mercati si potrebbero costruire molti ospedali e molte scuole e laboratori di ricerca. Il problema è che per riaggiustare i conti pubblici non possiamo più svalutare la lira rispetto al marco, come facevamo prima dell’euro facendo arrabbiare gli industriali tedeschi. Con la moneta unica europea possiamo svalutare solo il lavoro e il capitale nazionale. Il risultato è che secondo i dati Ocse gli stipendi reali sono diminuiti del 3% dal 1990 ad oggi e che l’Italia si è deindustrializzata. Viva l’Europa e viva l’Euro! Viva l’imperialismo finanziario!!

Ma se gli spread continuano a salire senza freni l’euro si spacca. La situazione diventerà drammatica quando nel 2024 riprenderanno le regole restrittive del Fiscal Compact, seppure in una nuova versione ancora tutta da scoprire. Questo la Bce di Christine Lagarde lo sa: e per questo ha inaugurato la politica cosiddetta della Transmission Protection Instrument (TPI, Strumento di Protezione della Trasmissione della politica monetaria). Il nome è oscuro ma il meccanismo è più semplice. Ufficialmente Il TPI della Lagarde punta a garantire in tutti i paesi dell’area dell’euro l’omogeneità della politica monetaria della BCE al fine di riportare l’aumento dei prezzi intorno al 2% annuo. Con il pretesto di trasmettere a tutti i paesi dell’euro la sua politica anti-inflazione e di combattere la “frammentazione monetaria”, per la prima volta la Bce decide che potrà finalmente attuare una politica anti-spread, I tassi di interesse di ogni paese dell’area euro dovranno convergere. E se il mercato volesse attaccare un paese e ampliare gli spread, allora la BCE potrà intervenire per salvare lo stato preso di mira dalla speculazione. La Bce interverrà se e quando il mercato finanziario imporrà costi del debito non giustificati dai cosiddetti “fondamentali”, cioè dalla situazione reale delle finanze pubbliche del paese colpito dalla speculazione.

La Bce, a sua discrezione, in base al parere della Commissione Ue, del Mes (il famigerato fondo-salvaStati) e del Fondo Monetario Internazionale, potrà comprare in quantità illimitata sul mercato i titoli di Stato sotto attacco e spegnere l’incendio. Lo scudo anti-spread della BCE entrerà però in funzione solo alle condizioni imposte da Lagarde ai governi europei. La Bce in tale modo diventerà un organismo politico a tutti gli effetti: occorrerà vedere se, per esempio, salverà dalla crisi finanziaria un governo italiano che potrebbe essere guidato da Meloni e Salvini, cioè da due partiti di estrema destra che non si sono mai allineati alle politiche europee. La Brexit potrebbe non essere un caso isolato: l’Unione Europea potrebbe andare in pezzi.

I criteri di accesso allo scudo della Bce sono essenzialmente quattro: rispetto delle regole fiscali comunitarie (e quindi niente procedure per extra deficit); niente squilibri macroeconomici strutturali; sostenibilità del debito e adozione di politiche economiche solide allineate con i criteri del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e le raccomandazioni Ue. Il futuro governo italiano è avvertito: se spenderà troppi soldi per pagare stipendi pubblici, pensioni, reddito minimo e welfare e aumenterà eccessivamente il debito senza rispettare le raccomandazioni di Bruxelles;  e se non attuerà le “riforme” previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – come per esempio la (contro)riforma della Giustizia della ministra Cartabia -, la Bce non interverrà a protezione dell’Italia. Sarà solo la Bce a decidere se un Paese ha bisogno del Tpi e il volume di acquisti dei titoli di debito del Paese: e questo “dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria, senza limiti ex-ante”. La realtà è che Francoforte teme che la speculazione contro l’Italia possa fare divampare l’incendio contro l’euro. Però l’Italia sarà protetta solo se la BCE lo riterrà opportuno. Non è un ricatto esplicito: ora si chiama “prestito con condizionalità”, come quelli che il Fmi impone ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a ristrutturare i debiti. In due parole: ancora rovinosa austerità.

Gli italiani e gli europei si sono talmente assuefatti alle crisi e alle politiche europee che non si rendono più conto della paradossale situazione in cui ci troviamo e delle possibili alternative. La nostra politica economica da molti anni non è più decisa dal Parlamento e dal Governo italiano ma da una Commissione Europea che comprende 27 commissari (uno per ogni stato membro della Ue, compresa la presidente Ursula von Der Leyen) che nessuno ha eletto. Valdis Dombrovskis, ex primo ministro della Lettonia (2 milioni di abitanti; 70 mdi di Pil), vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, a capo del Dipartimento Economia a Servizio della Persona, comanda sugli affari economici europei e conta molto probabilmente più di tutti i parlamentari d’Italia (60 milioni di abitanti; 1800 miliardi di Pil). La politica monetaria è decisa dalla Banca Centrale Europea che nessuno ha eletto, e che si vanta della sua indipendenza dalla politica, e quindi dalla democrazia. I 27 capi di stato e di governo del Consiglio d’Europa che decidono insieme alla Commissione e alla BCE le strategie europee sono stati nominati dai cittadini dei loro paesi ma nessuno di loro può rappresentare la volontà degli europei. Il Parlamento Europeo ha una funzione quasi esclusivamente decorativa perché ha limitazioni sostanziali nel proporre e deliberare leggi. La situazione in Europa è paradossale e assolutamente anti-democratica: ma come la rana che si è abituata all’acqua tiepida che diventa sempre più calda, come la rana che resiste alle crescenti temperature finché rimane completamente bollita, sembra che ormai ci siamo abituati a essere comandati da organismi intergovernativi, per definizione non democratici. E paradossalmente tutto questo in nome della democrazia e della retorica ecologista e della modernizzazione digitale. Paradossalmente in Italia il Partito Democratico appoggia con assoluta fedeltà e devozione le politiche di una Ue che non è democratica.

Di fronte a questa situazione non è possibile essere ottimisti. L’invasione dell’Ucraina ha aperto il vaso di Pandora a livello europeo e mondiale. La Ue potrebbe crollare tra spinte al globalismo e controspinte xenofobe nazionaliste, specialmente se in Italia si installerà un governo Meloni-Salvini-Berlusconi di destra-destra. In questa situazione di grave emergenza energetica, i 27 paesi della Ue hanno interessi troppo diversi e non riescono neppure a fare un fronte comune per imporre alla Russia un prezzo unico per petrolio e gas; figuriamoci se riusciranno a realizzare un fondo fiscale comune indispensabile per sostenere l’euro ed emettere eurobond, ovvero titoli di debito europei!!!

Esistono poche alternative possibili al dissolvimento della Ue. Per svoltare occorrerebbe che i quattro maggiori paesi europei, di fronte al pericolo della Russia di Vladimir Putin, si uniscano in una Cooperazione Rafforzata per attuare una politica economica espansiva, una politica militare comune e una politica estera omogenea; ma anche questo appare davvero improbabile dal momento che la Germania di Olaf Scholz non sembra volere portare avanti politiche realmente alternative a quelle opportunistiche di Angela Merkel, neppure di fronte all’incombente pericolo russo.

L’unica possibilità è allora che i singoli governi europei cerchino di recuperare la loro sovranità a livello nazionale emettendo titoli fiscali denominati in euro a maturità differita[2]. In questa maniera i governi potrebbero recuperare flessibilità fiscale e monetaria senza però uscire dall’euro e senza aumentare il deficit pubblico. I titoli fiscali sarebbero la continuazione e l’ampliamento dei Superbonus per l’edilizia proposti dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte; e i Superbonus, per quanto non molto bene congegnati e molto perfettibili, sono stati e sono tuttora lo strumento principale che ha fatto ripartire l’economia e il lavoro dopo la pandemia.


[1]    Enrico Grazzini  – Micromega – 31 Marzo 2021 – Debito pubblico e sovranità monetaria: perché l’Italia rischia il default. Che il presidente Draghi dichiari che è il momento di non preoccuparsi del debito pubblico è in parte una buona notizia. Ma finché non recupereremo sovranità monetaria prima o dopo i mercati chiederanno il conto.

[2]   Enrico Grazzini  – Social Europe –  25 luglio 2018 – Stiglitz Advocates A Dual Currency System In Italy But Why Not For The Whole Eurozone?



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