DEF 2024, un documento senza quadro programmatico. Intervista a Emilio Carnevali

Il governo ha recentemente varato il suo documento di economia e finanza del 2024. Un documento lacunoso, privo di un quadro programmatico e in cui il governo non indica chiaramente quali sono le sue intenzioni in ambito di politica economica. Questa l'analisi di Emilio Carnevali, economista della Northumbria University di Newcastle Upon Tyne.

Redazione

Nei giorni scorsi il governo ha presentato il DEF (Documento di economia e finanza) del 2024. Molti però hanno contestato il carattere “incompleto” di questo documento. Per quale motivo?
Il governo ha scelto di presentare con questo DEF solo stime tendeziali, vale a dire a legislazione vigente. Detto ancor più semplicemente: sono state presentate le previsioni su come le principali variabili macroeconomiche evolverebbero se in futuro lo stesso governo non intervenisse con misure di politica economica che incidono sulle finanze pubbliche. Manca in sostanza ciò che di solito qualifica i documenti di economia e finanza, ovvero il quadro programmatico. Il governo non dichiara formalmente cosa intende fare, non presenta la sua politica economica. E quindi non rende conto di come tale politica inciderà sull’economia italiana e sui conti dello Stato.
Qual è il senso di un’operazione del genere?
Stando a quel che dice il Ministro dell’Economia Giorgetti, questa decisione è giustificata dal fatto che siamo in un periodo di transizione dalle vecchie alle nuove regole europee. Con il Patto di Stabilità e Crescita, nella sua versione riformata, ogni Paese dovrà produrre un “piano fiscale strutturale di medio periodo” basato su un nuovo indicatore di “spesa netta”. Quest’anno il governo dovrà inviare la sua proposta di piano entro il 21 giugno e il documento dovrà essere approvato entro il 20 settembre. C’è inoltre ancora grande incertezza sui margini di flessibilità che saranno applicati negli anni 2025, 2026 e 2027. Questo è un aspetto abbastanza opaco della nuova cornice del Patto di Stabilità. Chiaramente molto dipenderà anche dall’esito delle elezioni europee e dagli equilibri politici da cui nascerà la nuova Commissione.
Se le cose stanno così può avere senso rimandare tutto ai prossimi mesi.
Il problema a mio avviso non è tanto quello di presentare solo le stime tendenziali. Il problema a monte è che quelle stime sono – di fatto – fittizie. È vero che il governo ha aggiornato il quadro tendenziale con gli ultimi dati sui costi dei bonus edilizi (che sono superiori a quanto era stato preventivato nella Nota di Aggiornamento del settembre scorso) ma non ha inserito le misure che ha messo nella scorsa legge di bilancio e che ha già dichiarato vorrà riproporre nella prossima legge di bilancio, quella del 2025.
Se le stime sono tendenziali, cioè a legislazione vigente, come è possibile che non comprendano misure che sono già state attuate?
Nella scorsa legge di bilancio c’erano due voci di spesa molto importanti: il taglio di 7 punti percentuali dei contributi per i redditi fino a 25000 euro (ridotto a 6 per quelli fra i 25000 e i 35000) e la riduzione da 4 a 3 delle aliquote IRPEF. Sono misure che valgono da sole intorno ai 14 miliardi. Ma sono state approvate solo per il 2024. Così come sono limitate nel tempo – in teoria – altre misure molto popolari come il taglio del canone Rai da 90 a 70 euro. In totale parliamo di una ventina di miliardi che compaiono nei conti del 2024, ma magicamente scompaiono da quelli del 2025 in poi.
E i dati dal 2025 in poi sono quelli presentati nel quadro tendenziale dell’ultimo DEF.
Esatto. Questo permette al governo di avere un rapporto deficit-PIL che è al 4,3% nel 2024, ma che poi si prevede scenda al 3.7% nel 2025, per poi arrivare al 3% e al 2.2% rispettivamente nel 2026 e nel 2027. Tutto senza i tagli di tasse che hanno già fatto e hanno già promesso di prorogare.
C’è poi un dato particolarmente interessante nella tabella sugli indicatori di finanza pubblica contenuti nel DEF: quello sull’indebitamento strutturale (cioè al netto della componente ciclica del deficit). È previso scendere esattamente dello 0.5% in ogni singolo anno dopo il 2024. È un numero davvero fortunato questo 0.5%: quando l’Italia entrerà in procedura di infrazione per deficit eccessivo – ci entrerà, perché il deficit è previsto sopra il 3% nel 2025 perfino con stime così addomesticate – questa è esattamente la correzione strutturale che le nuove regole europee del Patto di Stabilità impongono. Tutto ciò, lo ribadisco, senza considerare le misure di cui abbiamo parlato prima.
Dobbiamo quindi attenderci massicci tagli di spesa o incrementi di tasse nel prossimo futuro?
Io non so come il governo abbia intenzione di gestire questa situazione. Credo che la recente riforma del Patto di Stabilità e Crescita sia stata una grande occasione mancata per l’Europa. Ne è venuto fuori un sistema molto complicato e per certi aspetti anche contradditorio. Per esempio, la “spesa netta” che sarà al centro del piano fiscale strutturale da presentare a giungo non comprende i pagamenti per gli interessi sul debito. Ma la cosa è del tutto irrilevante, dato che ci sono clausole di salvaguardia sulla dinamica del debito e del deficit che chiaramente contabilizzano tutte le voci di spesa, compresi gli interessi. Giorgetti ha dichiarato che la riforma è un “buon compromesso”. Posso augurargli buona fortuna allora.
A me, in ogni caso, sembra una mancanza di serietà procedere su questioni così importanti come una riforma strutturale dell’IRPEF a forza di proroghe annuali e iniziative estemporanee. Non siamo più dentro l’emergenza della pandemia.
Il sistema fiscale è al centro del contratto sociale delle società moderne. Serve a decidere in che modo ognuno deve contribuire a ciò che ci permette di vivere insieme. La sua riforma meriterebbe davvero un approccio diverso.

CREDITI FOTO: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

 



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