“Hanno fatto una legge sulle nostre teste”. Delocalizzazioni, i lavoratori GKN contro il governo

Il governo non ferma le delocalizzazioni ma le regolamenta: basta pagare una multa e lo stabilimento può essere chiuso.

Valerio Nicolosi

“Quando c’era la pena di morte si discuteva di come il boia si sarebbe dovuto comportare, poi è arrivato qualcuno che volava più alto e ha deciso di vietare la pena di morte. Oggi quelli che volano alto siamo noi, mentre il provvedimento del governo è un colpo basso e chiediamo di ritirarlo”. Si chiude così il video-appello dei lavoratori del Collettivo di Fabbrica GKN di Campi Bisenzio, nel quale commentano il provvedimento inserito nella manovra di bilancio e che dovrebbe regolamentare le delocalizzazioni.

Dallo sblocco dei licenziamenti del 1 luglio 2021 sono diverse le multinazionali che hanno deciso di chiudere e trasferire la produzione all’estero. Oltre ai 422 lavoratori di GKN hanno perso il posto di lavoro 106 dipendenti della Timkel di Brescia, 152 della Gianetti Ruote di Monza e altre aziende, ultima in ordine di tempo la Caterpillar di Jesi dove è stata annunciata la chiusura dello stabilimento e il licenziamento di 270 dipendenti, di cui 70 stagionali. Il comune denominatore di queste chiusure è quello di fabbriche non in perdita ma anzi, con produzioni a regime, investimenti e macchinari nuovi pronti a essere spostati in stabilimenti nell’Europa dell’Est, dove i costi di produzione sono molto più bassi.

Gran parte delle vertenze sono nel settore automobilistico e di mezzi da lavoro su ruote: un comparto che ha ricevuto anche incentivi pubblici ma che sembra sempre più intenzionato a lasciare l’Italia, con la FIOM in prima linea per fermare ogni singola chiusura e licenziamento.

“Il provvedimento è una bandierina politica che non interviene nel merito delle vertenze ma proceduralizza la chiusura degli stabilimenti” commenta Michele De Palma della segreteria nazionale della FIOM che evidenzia il punto più critico del provvedimento governativo, quello di assicurare una procedura di chiusura alle aziende con più di 150 dipendenti.

“Hanno fatto una scelta sulle nostre teste e non con le nostre teste, come invece chiedevamo da mesi” commentano i lavoratori del Collettivo di Fabbrica che insieme ai giuristi democratici lo scorso settembre avevano proposto dei punti programmatici per bloccare le delocalizzazioni. L’avvocato Paolo Solimeno, che aveva partecipato alla stesura, aggiunge: “la differenza sostanziale con la nostra proposta è che non c’è un impedimento dei licenziamenti. L’azienda continua a essere tenuta a presentare un piano per mitigare l’occupazione. Però se come nel caso di GKN il piano non viene presentato, basta pagare un multa, che al massimo è di 3.000€ a lavoratore”.  A quel punto il sindacato e i lavoratori non avrebbero potuto fare ricorso in base alla legge 223/91 sui licenziamenti collettivi, grazie alla quale hanno ottenuto l’annullamento.

Nella proposta di Solimeno e del Collettivo di Fabbrica è previsto l’annullamento dei licenziamenti in assenza di una giustificazione legata alla produzione e in caso di cessione dello stabilimento la prelazione da parte di una cooperativa di lavoratori dello stesso.
“Abbiamo proposto anche l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti, sia per una quota di minoranza che per l’intero acquisto. Lo stato in questo modo tornerebbe protagonista della politica industriale italiana” aggiunge Solimeno.

Ed è proprio il ruolo dello stato nella gestione del mondo del lavoro e dell’industria italiana che lascia molto perplessi. Nonostante l’emergenza sanitaria venga prorogata, i licenziamenti e le chiusure vanno avanti e ogni mese abbiamo annunci che tagliano centinaia di posti di lavoro con un’email o un lettera, andando a intaccare il tessuto produttivo e sociale di intere zone.

Draghi e il “governo dei migliori” sembrano continuare a favorire le multinazionali anziché i lavoratori, anche se le prime fuggono dove hanno più guadagni e meno vincoli ambientali legati alla produzione, lasciando dietro di loro il deserto.



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