Un terzo giro di boa per la destra italiana

A undici anni dalla caduta di Berlusconi, il partito di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è pronto a dare una nuova forma al Paese e alla destra italiana. E a spazzare il 25 aprile sotto il tappeto.

Elia Rosati

Destra Italiana: un gioco di squadra
Con il 43,79% (circa dodici milioni di voti), il 25 Settembre 2022 la coalizione di Centrodestra vince le elezioni nazionali italiane, dopo undici anni dalla caduta del quarto governo Berlusconi a causa della Crisi finanziaria. Schierati insieme, come da quasi trent’anni, la Forza Italia del Cavaliere, la Lega di Matteo Salvini (a sua guida dal 2014) e, soprattutto, Fratelli d’Italia (erede di Alleanza Nazionale) di Giorgia Meloni.
Si tratta, infatti, della quarta netta vittoria nelle urne del centrodestra italiano dal 1994, non dimenticando però il decennio sospeso (2012-2022) fatto di esiti elettorali incerti, (grosse)coalizioni raffazzonate e forti instabilità politiche: un periodo storico in cui i risultati delle urne non erano riusciti mai a delineare un chiaro vincitore con pieno mandato.
Questa volta non ci sono dubbi, la destra vince, confermando la sua capacità di interpretare da decenni, nonostante tre leggi elettorali diverse, quasi la metà del voto/sentire del paese.
Tuttavia se dal 1994 al 2013 era stata Forza Italia (FI) a detenere la completa egemonia della coalizione, seguita dalla Lega (L) di Salvini dal 2014 al 2021, dal 2022 è invece Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni a strappare lo scettro, prendendo da solo il 26% dei consensi (sette milioni e trecentomila voti).
Si tratta però di un successo che viene da lontano, atteso e pianificato con pazienza e attenzione dall’intero gruppo dirigente di FdI, con il mai celato desiderio di portare la destra italiana allo scranno più alto di sempre. Un traguardo atteso e dato per certo da mesi da tutti i sondaggi, ma che comunque ha fatto il giro del mondo anche grazie all’immagine che Fratelli d’Italia, in questi anni, ha consolidato in Italia e all’estero.
Ha vinto, non va dimenticato però una coalizione nazionale di destre plurali e quindi in grado di produrre un programma di governo sinergico e non contraddittorio, in cui nessuno deve rinunciare alle proprie specificità (tattiche) e posizionamenti ideologico-elettorali. Nonostante si insista tanto nel mondo giornalistico nel sottolineare screzi e litigiosità interne alla coalizione di governo, varrebbe forse la pena osservarne maggiormente le sinergie, la grammatica comune affinata in tanti decenni e il reciproco sostegno.
Se Berlusconi è da sempre più attento agli interessi economici di settori dai redditi alti, Salvini si muove populisticamente sulla piccolo-medio lavoro privato (contando su tasse e pensioni) e sui sentimenti xenofobi degli strati più poveri e periferici, lasciando alla Meloni pezzi del lavoro dipendente e fasce a basso reddito residenti in città.
Il tutto con l’intento di disegnare una dinamica dei rapporti sociali più restrittiva, patriarcale, securitaria e militarizzata. Un mix sperimentato, del resto, in ogni tipologia di amministrazione in questi anni, e in grado di produrre un vasto consenso nazionale, radicato e interclassista; altro che litigi interni.

“Le radici profonde non gelano”
Fratelli d’Italia nasce nel 2012 per iniziativa di alcuni ex-dirigenti di Alleanza Nazionale (e l’ex-forzaitaliota Guido Crosetto), usciti delusi dall’esperienza fallimentare del “Popolo delle Libertà”, l’effimero tentativo belusconiano-finiano di creare un unico soggetto di centrodestra. Tuttavia la stragrande maggioranza del gruppo dirigente di FdI proveniva dal Movimento Sociale Italiano, prima del lungo passaggio in AN, tanto che la fiamma tricolore missina venne mantenuta nel simbolo del partito.
A essere scelta come segretaria, fin dalla sua fondazione, fu Giorgia Meloni, una leadership figlia di un gruppo dirigente rodato, coeso, cementato da un comune passato ideologico e motivato da un forte progetto comune: portare la destra italiana alla guida del governo del Paese. Tutto ciò capitalizzando la lunga esperienza amministrativa maturata nei ministeri per decenni all’interno degli esecutivi berlusconiani e in ogni organo amministrativo dalle provincie, alle regioni, ai municipi.
E così di elezione in elezione dal’1,96% delle Nazionali 2013 ed il 3,7% delle Europee 2014, ponendosi in modo dialogante, ma esterno ai governi a larghe maggioranze degli ultimi anni, si arrivò al successo di oggi, costruito in modo sempre più violento durante il governo di sinistra PD-5Stelle (Conte II, 2019-2021) e l’esecutivo tecnico-politico Draghi (2021-2022).
Queste elezioni hanno però evidenziato un elemento: ha vinto una formazione all’antica. Dopo tanti anni di “partiti leggeri”, “del leader” o “dei social”, il successo di oggi di Fratelli d’Italia è la rivincita di un modello-partito del Novecento. Una organizzazione fatta di: sezioni diffuse (anche nelle periferie metropolitane), una militante federazione giovanile (che si aggrega come CasaPound in “Centri Sociali di destra”), un sindacato di riferimento (l’Unione Generale del Lavoro), riviste e giornali d’area, una comunicazione che alterna volantini ai social, un gruppo dirigente e una comunità politica rigidamente costruita a livello amministrativo sul cursus honorum.
Un esempio, ormai, più unico che raro nel panorama politico italiano; una rivincita della politica come professione ben simboleggiata dalla stessa leader Meloni: formatasi da adolescente nel MSI romano di borgata (1992-1995), cresciuta negli organismi giovanili di Alleanza Nazionale (1995-2001), diventata deputata (dal 2006), poi (brevemente) più giovane ministro della storia italiana (2008-2011) e, come si diceva, leader di Fratelli d’Italia (dal 2012 a oggi).
Per comprendere davvero l’identità di questo partito non si può non tenere conto di questo, senza anteporre il successo mediatico alla solidità interna dell’organizzazione. Così come va sempre ricordato che la destra italiana continua a sentirsi parte di un’unica foto di famiglia, in cui rientra anche il Movimento Sociale Italiano, il più importante partito neofascista della storia dell’Europa Occidentale durante la Guerra Fredda.
Un passato mai disconosciuto, ma che ha saputo integrarsi dal punto di vista internazionale nei più importanti consessi politici conservatori (e non sovranisti) a livello UE come ad esempio lo European Conservatives and Reformists Party (“ECR”), di cui la stessa Meloni è presidente dal 2020.

La sfida tanto attesa
Stante tutto questo però ci troviamo indubbiamente di fronte a un giro di boa per la destra italiana: dopo il lungo strapotere berlusconiano e la dirompente, ma breve, leadership mediatico-xenofoba di Salvini, ora tocca alla comunità politica di Fratelli d’Italia prendere lo scettro della coalizione e del governo.
Una sfida raccolta con entusiasmo dal partito di Meloni che si è assunto in prima persona ruoli ministeriali e istituzionali molto importanti, sfoderando il meglio della sua classe dirigente, selezionata in anni di militanza coerente e fedele. Niente outsiders, solo figli o amici storici della formazione della fiamma, erede di AN.
Il tutto praticando coscientemente un vecchio sogno missino: essere parte a pieno titolo della storia patria; non più nel ghetto della memoria repubblicana, ma membri di serie a nella lunga vicenda dell’Italia post-45. La destra nel suo lungo cammino dal MSI al FdI oggi è legittimata a governare in prima persona, innalzando come bandiera la propria visione societaria, maturata e riaggiornata a partire dalla storia missina degli anni Ottanta.
Ed ecco l’elenco programmatico di Fratelli d’Italia: dalla revisione della Legge 194 sull’interruzione di gravidanza  a un welfare familistico, da un ordine pubblico più duro a una scuola più rigida e autoritaria, dalla ghettizzazione del sindacato confederale (in funzione di uno corporativo e/o di mestiere) a norme punitive sull’uso delle sostanze stupefacenti.
Senza ovviamente dimenticare l’obiettivo di una pacificazione storica nazionale da costruirsi con una rilettura alleggerita del ruolo della destra neofascista negli anni Settanta e, soprattutto, la messa definitiva in soffitta del 25 Aprile come festa patria più importante.
Se Berlusconi e Salvini avevano sempre provato a disegnare/inventare l’immagine di un’Italia costruita sull’idea di “Nazione”: laboriosa, prospera, con un workfare leggero, difesa ai confini e con una vita economica che non ha bisogno di sindacati; la Meloni vuole invece incarnare/rappresentare una “Patria” fondata su: uno Stato presente e rigido, un welfare state selettivo, una contrattazione sociale non ideologica ma al servizio della nazione, la tutela della famiglia tradizionale, una vita pubblica sobria e senza eccessi che porti a modello le parti sane della nazione (in primis l’esercito) e una idea del conflitto sociale come parcellizzante e deleterio per la comunità.
Solo così possiamo leggere le uscite di autorevoli membri del governo e di Fratelli d’Italia: la legislazione anti-manifestazioni (detta “anti-Rave”), gli annunci di una spesa pubblica volta a rilanciare la natalità e la famiglia (unita nel vincolo del matrimonio), una scuola (del “merito”) più tradizionalista e meno inclusiva delle diversità, il rinnovo di alcuni contratti di lavoro e un crescente aumento delle spese militari.
Il terzo giro di boa della destra italiana è cominciato.

 



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