La destra religiosa all’attacco dell’aborto: sei lezioni dalla Polonia

"Quando Roe v. Wade è stata ribaltata, non sono rimasta particolarmente sorpresa. Il mio cuore è andato alle donne negli Stati repubblicani, ora intrappolate in quella che assomiglia sempre più a Gilead, la distopia patriarcale di Margaret Atwood. Le donne polacche vivono lì da oltre due decenni. Ed ecco cosa abbiamo imparato...".

Agnieszka Graff

Quando, il 24 giugno scorso, Roe v. Wade è stata ribaltata, il mondo ha sussultato incredulo. Le donne polacche no. Avevamo visto la tempesta all’orizzonte e sappiamo – più o meno – cosa verrà dopo. Dagli anni Ottanta, la Polonia è un alveare di attività anti-choice, uno dei pochi luoghi al mondo in cui i sogni del movimento anti-aborto sono diventati realtà. Date un’occhiata a una mappa dei diritti riproduttivi in Europa e individuerete subito la Polonia: rosso vivo, l’unico Paese del continente con un divieto quasi totale.

Il movimento anti-aborto ha una strategia a due livelli: politico e culturale. In politica, questi attori sostengono chiunque sia disposto a dare loro accesso al potere, in particolare i tribunali, non importa quanto corrotti e immorali siano. Donald Trump e Jarosław Kaczyński, il leader del partito polacco al governo Diritto e giustizia (PiS), sono buoni esempi di questo modello. Ovunque guardiate, vedrete ultraconservatori impegnati nella costruzione di relazioni simbiotiche con partiti populisti di destra, che aiutano a vincere le elezioni. Quando ciò accade, essi spingono per restrizioni ai diritti delle donne e divieti ai diritti lgbt.

Il livello culturale ha a che fare con il linguaggio e l’immaginazione. La strategia è molto più insidiosa della semplice partecipazione al dibattito pubblico. La propaganda anti-choice è implacabile, rumorosa, raccapricciante e ripetitiva. Ignora la realtà, fa appello alle ansie profonde. Può essere brutale, come nel caso delle immagini di feti insanguinati fatti a pezzi fatte sfilare davanti alle scuole o portate in giro ai lati di appositi furgoni. O sinistramente sentimentale, con centinaia di migliaia di cartelloni pubblicitari che ti urlano dalle strade e dalle autostrade della Polonia: “Dove sono questi bambini?”. Intendendo quelli che non sono mai nati. È opprimente, ma alla fine è efficace nel mettere a tacere l’opposizione.

La Polonia è diversa dal resto d’Europa perché è più cattolica? Non proprio. Le opinioni sull’aborto sono solo un po’ più conservatrici di quelle di Croazia, Repubblica Ceca o Ungheria, con sondaggi che mostrano che la maggior parte dei cittadini vuole che l’aborto sia legale almeno in alcuni casi.

Ciò che veramente distingue la Polonia è l’influenza politica della Chiesa cattolica come istituzione, la sua capacità di esercitare pressioni sui partiti politici, sui media e sui tribunali. Questa alleanza ha molto in comune con i legami che collegano i repubblicani alla destra religiosa negli Stati Uniti. Dalla fine degli anni Settanta, evangelici e cattolici statunitensi sono riusciti a dettare la piattaforma repubblicana sui diritti lgbt e sull’aborto. L’accordo è semplice: dateci i tribunali e noi vi consegneremo i voti. Quindi, quando Roe v. Wade è stata ribaltata, non sono rimasta particolarmente sorpresa. Il mio cuore è andato alle donne negli Stati repubblicani, ora intrappolate in quella che assomiglia sempre più a Gilead, la distopia patriarcale di Margaret Atwood. Le donne polacche vivono lì da oltre due decenni. Ed ecco cosa abbiamo imparato…

Lezione #1: mai sottovalutare il potere degli ultraconservatori nei tribunali

Nell’ottobre 2020 abbiamo avuto un’anteprima di ciò che sarebbe accaduto negli Stati Uniti. L’equivalente polacco della Corte suprema, il Tribunale costituzionale, zeppo di giudici nominati dalla destra populista polacca, ha inasprito la legislazione sull’aborto. Tutte le donne in gravidanza devono ora partorire, comprese quelle che portano in grembo feti gravemente malformati o malati terminali. Sono seguite massicce manifestazioni – le più grandi di tutta la storia della Polonia, in effetti – ma la legge rimane in vigore.

Esistono due eccezioni: una gravidanza derivante da stupro e incesto, o un rischio per la vita della donna. Naturalmente, i gruppi anti-choice vogliono che anche queste eccezioni vengano eliminate. Dal loro punto di vista, gli innocenti “bambini non ancora nati”, non importa come concepiti, devono essere salvati e la vita di una donna non vale più di quella di suo figlio. Nel frattempo, questi gruppi fanno tutto il possibile per limitare l’accesso all’aborto intimidendo i potenziali fornitori. Si impegnano anche in campagne per informare le vittime di stupro (comprese le rifugiate ucraine) che l’aborto è vietato in Polonia, indipendentemente dalle circostanze.

Lezione #2: non aspettarti che i tuoi avversari si fermino a un passo dalla crudeltà

Perché non lo faranno. Tutte le eccezioni devono essere eliminate, tutte le scappatoie devono essere impedite – questa è la logica della cittadinanza fetale, il principio alla base della legislazione anti-choice. La sofferenza delle donne – e le eventuali morti – sono un prezzo che sono disposti a pagare. La destra religiosa non cederà fino a quando non otterrà il divieto totale di aborto. Negli Stati Uniti, questo probabilmente significa un emendamento costituzionale.

Il verdetto del tribunale polacco del 2020 e le sue conseguenze sono meglio inquadrati se visti come l’episodio più recente di una lunga serie. L’aborto è stato effettivamente bandito in Polonia dal gennaio 1993, quando il cosiddetto “progetto di compromesso” è stato approvato dal parlamento nonostante il massiccio dissenso sociale. Che un divieto quasi totale sia stato definito un “compromesso” è di per sé oltraggioso. In effetti, due gruppi di uomini – vescovi cattolici e dirigenti di partiti politici – avevano raggiunto un accordo, ignorando (e mettendo a tacere) l’opinione pubblica.

Due decenni e mezzo dopo, la destra religiosa ha compiuto quello che per loro è il logico passo successivo: spingere per un divieto totale. Hanno cercato di farlo passare in parlamento nel 2016 e nel 2018, ma hanno fallito, in parte grazie alle massicce proteste. Poi hanno usato i tribunali e ci sono riusciti. Ci sono due detti polacchi che descrivono questa dinamica in modo piuttosto accurato: “Chiudi le porte ed entreranno dalle finestre” e “Dai loro un dito e prenderanno tutto il braccio”.

Vogliono tutto, sono disposti ad aspettare e non sembrano stancarsi mai. Lungo il percorso, accettano come costo inevitabile un’enorme sofferenza, quella degli altri, cioè soprattutto quella delle donne povere che non riescono a farsi aiutare al di fuori del sistema. L’assolutismo morale della posizione “pro-vita” preclude i compromessi. È abbastanza semplice: se si devono salvare “nascituri innocenti”, allora le donne devono poter morire. Questa immorale visione del mondo si traduce in una sorta di intorpidimento morale nella popolazione generale. Pro-life è in realtà pro-death.

Lezione #3: le leggi anti-aborto non fermano l’aborto, ma hanno conseguenze reali

All’inizio degli anni Duemila, l’aborto clandestino polacco era stimato tra i 70.000 e i 200.000 casi all’anno. Nel 2004, la Polonia è entrata a far parte dell’UE e la migrazione per aborto (o “turismo abortivo”, come viene chiamata qui) è diventata la soluzione più popolare. Germania, Olanda, Austria e Slovacchia sono le destinazioni più gettonate. Si sente parlare di cliniche vicino al confine dove il flusso di pazienti polacche è così intenso che anche la maggior parte dei medici è polacca. Poi, naturalmente, c’è l’aborto farmaceutico, ordinato online dall’estero. Puoi ottenere le pillole attraverso l’”Abortion Without Borders Network”: il cui numero di telefono è una forma diffusa di graffiti pro-choice. Difficile stimarne la portata, ma mi è stato detto che è la soluzione più popolare nelle prime fasi della gravidanza.

Quindi, se le donne abortiscono comunque, ci si potrebbe chiedere: che differenza fa se è legale o no? Fa una enorme differenza. La legge può non impedire l’aborto, ma genera stress, umiliazioni e costi infiniti. È una forma di violenza; riduce le donne a cittadine di seconda classe. Le donne direttamente colpite dal divieto sono le più povere, le giovanissime, le socialmente vulnerabili, le vittime di violenza domestica e coloro che necessitano di un intervento medico immediato. In effetti, come stanno scoprendo le femministe americane, il divieto di aborto aggrava le disuguaglianze sociali ed economiche esistenti.

Ci sono anche effetti indiretti: il divieto incide sulla condizione femminile in generale, generando un’atmosfera di vergogna, paura e segretezza intorno alla nostra vita sessuale. I bambini indesiderati nascono qui più spesso che altrove? Sospetto di sì. Per me, il divieto di aborto spiega i diffusi abusi sui minori in Polonia, il numero scioccante di bambini lasciati nel limbo legale delle famiglie affidatarie e degli orfanotrofi e le occasionali e raccapriccianti storie di infanticidio. Ma i bambini veri non interessano a coloro che hanno gli occhi fissi al cielo. A mio avviso, la posizione anti-aborto è una forma di religione, aggressiva, con una sua versione della realtà, suoi rituali e una sua iconografia. Il che ci porta a…

Lezione #4: attenzione ai feti parlanti

La propaganda anti-choice si insinua gradualmente, quasi impercettibilmente. Prima che tu te ne accorga, è ovunque: nei libri di scuola di tuo figlio, nei film e nelle serie tv, sul tuo feed di Facebook e sui cartelloni pubblicitari della tua città. Negli ultimi anni, la Polonia ha assistito a numerose campagne pubblicitarie finanziate in modo massiccio con giganteschi feti luminosi che dichiaravano quanti anni avevano.

L’idea di cittadinanza fetale – o “santità della vita non nata” – si insinua nei media e nella cultura popolare, colonizzando gradualmente la sfera pubblica. Una volta accaduto ciò, la piena cittadinanza delle donne non è più scontata. In Polonia la parola “feto” è praticamente scomparsa dal discorso pubblico, rimpiazzata dalla parola “bambino”; e la “donna incinta” ha da tempo lasciato il posto alla “madre”; la stessa parola “aborto” viene regolarmente sostituita da “uccidere la vita non ancora nata” o dalla parola “omicidio”. Stranamente, non sono solo i media di destra a riprodurre questo linguaggio tendenzioso. Si è insinuato nei discorsi di tutti i giorni. Gli psicologi mainstream considerano seriamente la “sindrome post-aborto”. La visione del mondo anti-choice mina ciò che sembra ovvio: che le donne, incinte o meno, sono agenti morali con un corpo e diritto all’assistenza sanitaria.

Lezione #5: sembrerà cinico, ma è comunque vero: lo shock svanisce

Nel clima culturale creato dalle leggi e dalla propaganda contro l’aborto, la sofferenza delle donne diventa presto invisibile, una parte della vita. Dal 1993 i medici, gli ospedali e, infine, intere regioni polacche si sono dichiarati liberi dall’aborto, cioè non disposti a fornire questo servizio nemmeno alle vittime di stupro, nemmeno per salvare vite umane. Ci sono delle eccezioni, ma la maggior parte degli appartenenti alla professione medica si è adattata molto bene alle leggi esistenti: negano regolarmente alle loro pazienti non solo l’aborto, ma anche i test di diagnosi prenatale, poiché volerne uno suggerisce che una donna potrebbe richiedere un aborto in seguito. Le pazienti occasionalmente muoiono, quelle senza risorse o che hanno bisogno di assistenza medica immediata. Alcune sono morte in ospedale, circondate da personale medico. Sarebbe stato facile salvarle, ma alla donna è negato l’aiuto perché il “bambino non ancora nato” viene prima. Casi del genere ottengono pubblicità, ovviamente. Ma non cambiano lo status quo. Le donne hanno semplicemente imparato che non ci si può fidare dei medici.

Anche i media si sono adeguati. Nel corso degli anni, l’aborto è diventato un argomento rischioso, che sia i giornalisti sia i politici preferiscono evitare. L’idea che le donne siano esseri umani con il diritto di decidere se e quando riprodursi è bollata come estremista, radicale e in qualche modo primitiva. Dopo il 1993, mentre la destra religiosa era impegnata a spingere per leggi sempre più restrittive, la sinistra liberale non ha reagito. Ha evitato la questione. Quando la menzionava lo faceva in modo vile e di scusa: “È una tragedia, ma a volte è necessario”, “è moralmente sbagliato e dovrebbe essere prevenuto”. Tale atteggiamento sulla difensiva, ovviamente, non fa che incoraggiare la destra religiosa.

Lezione #6: considerazioni su come riconquistare il diritto all’aborto

Non posso dirvi come farlo, dal momento che noi stesse non ci siamo riuscite. Ma ho alcune riflessioni in merito da condividere. Abbiamo provato questo e quello nel corso dei decenni, quindi sappiamo alcune cose.

La prima cosa è che qualsiasi argomento inerente la “scelta” non ha chance contro l’argomento della “vita”. Nel corso degli anni, le femministe polacche hanno provato vari toni, vocabolari e argomentazioni, sperando di mobilitare l’opposizione e coinvolgere persone che non sanno cosa pensare. Abbiamo puntato sulla “scelta” per un po’, ma alla fine abbiamo scoperto che è troppo astratta, troppo fredda e non ha chance con i feti parlanti, l'”omicidio” e la “santità della vita”. Abbiamo provato a parlare seriamente di “giustizia riproduttiva”, una retorica che enfatizza l’aspetto sociale ed economico del divieto, ma la stessa parola “riproduttivo” sembra sgradevole per il grande pubblico. Per un po’, grazie a un gruppo femminista senza paura chiamato Abortion DreamTeam, slogan provocatori e allegri come “l’aborto è ok” hanno trionfato, incoraggiando le donne, contrastando la vergogna, ma, probabilmente, inimicandosi quelle nel mezzo. È stato un enorme passo avanti, ma ciò che sembra funzionare meglio – ciò che ha funzionato in Irlanda e ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade in Polonia nel 2016 e nel 2020 – è un linguaggio forte ed emotivo che fa appello all’esperienza personale, all’empatia e alla solidarietà. Quello, e la narrazione personale.

La campagna irlandese “Repeal the 8th” ha funzionato perché ha rotto il silenzio sulle esperienze di aborto delle donne e ha fatto appello a un senso collettivo di bontà, alla sensibilità morale quotidiana. Le storie personali hanno giocato un ruolo cruciale, raccolte e fatte circolare a migliaia. Il messaggio generale non riguardava la “scelta individuale”, quanto piuttosto la responsabilità collettiva e l’empatia. La vita è dura e l’aborto è semplicemente una parte della vita. Persone a te care – figlie, sorelle, mogli – potrebbero averne bisogno; in effetti, potrebbero già averne avuto uno. La studiosa irlandese Rebecca Anne Barr ha commentato dopo la vittoria: “Il referendum sull’abrogazione dell’ottavo emendamento è stato vinto dalla narrazione. Il racconto di storie di singole donne ha assunto il potere della narrazione: l’energia cumulativa di tutta la narrazione”.

Anche il lutto pubblico per le vittime del divieto sembra essere efficace nel galvanizzare il sostegno: il caso di Savita Halappanavar è stato un punto di svolta in Irlanda; la morte di Izabela da Pszczyna ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade della Polonia, in una massiccia veglia a lume di candela. “Non camminerai mai da sola”, “Perdonaci, sorella”; “Non una di più”, “Basta torturare le donne”: tali slogan hanno ampiamente sostituito i più astratti striscioni pro-choice dei decenni precedenti.

Ma il fatto è che abbiamo bisogno di qualcosa di più che storie, slogan e veglie a lume di candela per fermare l’assalto del fondamentalismo religioso politicizzato. Abbiamo bisogno di un movimento globale con potenti alleanze politiche. Abbiamo bisogno di una strategia, di finanziamenti e di politici che si impegnino a favore dei diritti delle donne quanto la destra è impegnata nel difendere la cittadinanza fetale. I divieti di aborto – siano essi in Polonia, Irlanda, Spagna, Alabama o Salvador – sono tutti avvenuti a causa di strategie politiche efficaci della destra religiosa e a causa della mancanza di reazione adeguata da parte dei liberali.

I nostri oppositori non riflettono l’opinione pubblica, la zittiscono. Le loro dannose conseguenze – sociali, politiche, culturali – vanno oltre e più in profondità di quanto chiunque si aspetti. Questi divieti non solo causano immense sofferenze, contribuiscono alla disuguaglianza di genere e occasionalmente uccidono le donne, ma demoralizzano e desensibilizzano intere popolazioni. Se rivogliamo i diritti delle donne, abbiamo bisogno di potere, impegno e determinazione. E dobbiamo essere impenitenti nel rivendicare l’ovvio: le donne sono esseri umani con un’agency morale e il diritto di controllare il proprio corpo.

(traduzione dall’inglese di Ingrid Colanicchia)

L’autrice è professoressa associata presso l’American Studies Center dell’Università di Varsavia. Il suo lavoro più recente è Anti-gender Politics in the Populist Moment (con Elżbieta Korolczuk; Routledge, 2022).

* L’articolo è uscito originariamente su Balkan Insight il 10 agosto 2022 con il titolo “What happens when you lose abortion rights and how to win them back: 6 lessons from Poland”. Balkan Insight è il sito web di punta in lingua inglese del Balkan Investigative Reporting Network.

Credit foto: Varsavia 6 novembre 2021, proteste contro la legge sull’aborto al grido di “Non una di più” dopo la morte di una donna di trent’anni di Pszczyna. EPA/LESZEK SZYMANSKI POLAND OUT



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