Digital Silk Road: come la Cina aspira a diventare una superpotenza tecnologica

Se fino ad oggi gli Stati Uniti hanno detenuto la leadership mondiale per il controllo dei cavi sottomarini, neurasse delle telecomunicazioni globali, negli ultimi anni la Cina ha insidiato tale dominio, stendendo miliardi di chilometri di fibra ottica e, a partire dal 2015, si è impegnata a raggiungere il controllo di almeno il 60% dei cavi sottomarini.

Roberto Rosano

Il terzo lemma del nostro dizionario ragionato di mandarino è 光導纖維, Guāngdǎo xiānwéi, per noi semplicemente la ‘fibra ottica’.
Una delle notizie più discusse di questi giorni è stata la rottura (dovuta a un banale incidente di pesca o a un sabotaggio Houthi) di alcuni cavi sottomarini nelle acque del Mar Rosso, tra i 150 e i 170 metri di profondità. Questo ‘incidente’ ci ha fatto riflettere sul fatto che internet non sia un luogo virtuale o un paesaggio della mente, ma una realtà fisica, fatta di data center, cavi, satelliti, miniere, con una precisa geografia e con uno specifico peso geopolitico. Ricordate ciò che disse Jack Ma, fondatore di Alibaba,  nel 2020? “La terza guerra mondiale? Scoppierà a causa della tecnologia”.
Su Submarine Cable Map, della società di ricerca americana TeleGeography, è possibile avere un immediato riscontro di questa fitta rete, terrestre e anfibia, percorsa da 500 cavi, più di 1 milione e 400.000 kilometri di lunghezza complessiva, pari a tre volte la distanza tra la Terra e la Luna, a cui dobbiamo il 97% del traffico globale di internet (solo il restante 3% passa attraverso i satelliti).
L’importanza geopolitica di questo tramaglio di fibra ottica e rame è presto detta: i cavi sottomarini uniscono fisicamente due o più Paesi, rafforzandone i legami economici, le transazioni bilaterali, lo scambio di dati, i legami politici e strategici e, come se non bastasse, spostano le nostre chat, le nostre mail, i nostri dati clinici, le informazioni militari di massima riservatezza.  Insomma, costituiscono il neurasse delle telecomunicazioni globali con un valore complessivo di mercato passato dai 10, 3 miliardi di dollari del 2017 ai 30.8 miliardi previsti nel 2026. Ogni giorno attraverso questi cavi passano circa 10 trilioni di dollari di trasferimenti finanziari e 15 trilioni di transazioni finanziarie.
Il giornalista e documentarista francese Guillaume Pitron nel 2022 con Inferno digitale. Perché internet, smartphone e social network stanno distruggendo il nostro pianeta (Luiss University Press, 2022) ci ha affascinato raccontandoci di aver fatto il giro del mondo alla scoperta di quella che sta diventando “la più grande infrastruttura mai costruita dal genere umano”.
Se fino ad oggi gli Stati Uniti hanno detenuto la leadership mondiale per il controllo dei cavi sottomarini, negli ultimi anni la Cina ha insidiato tale dominio, stendendo miliardi di chilometri di fibra ottica e, a partire dal 2015, si è impegnata a raggiungere il controllo di almeno il 60% dei cavi sottomarini (obiettivo fissato nel quadro del Made in China 2025).  Già all’inizio di questo decennio, diverse testate internazionali hanno notificato ai loro lettori che tra i primi sette operatori al mondo, i primi cinque hanno insegne in mandarino. Si tratta di Hentong, Futong, Fiber Home, Ztt, Yofc, con prezzi ipercompetitivi e ricavi da capogiro.
Imprese statali cinesi come Huawei ed Hentong hanno costruito il Peace, uno dei più importanti cavi a livello internazionale, 12.000 km che connettono l’Europa, in particolare la Francia al Pakistan, passando per il Golfo e il Corno d’Africa, e hanno investito enormi cifre nella connettività e nel controllo delle infrastrutture globali di comunicazione, nel più ampio contesto della Digital Silk Road, dorso tecnologico della Belt and Road Initiative, con cui il Dragone aspira a diventare una superpotenza tecnologica, proiettando la sua influenza a livello globale in modo meno invasivo rispetto al convenzionale approccio militare degli Usa. Una sorta di soft power digitale, passante per i submarine cable, che Washington sta tentando in ogni modo di scongiurare. Il governo della Repubblica Popolare controlla strettamente le società di investimento cinesi, sia pubbliche che private, responsabili della gestione e della produzione dei cavi sottomarini e potrebbe adoperare la propria autorità per installare blackdoor con finalità di spionaggio, per intercettare i dati o per sabotarne il flusso. Questo le permetterebbe di diffondere tecnologie di sorveglianza e di assumere il controllo di infrastrutture strategiche, creando sfere di influenza illiberali sotto la propria egida in aree interessate da pesanti investimenti come l’Africa.
Naturalmente l’obiettivo reso pubblico dalla Cina è assai più bonario: ampliare i propri mercati stranieri attraverso una maggiore connettività, il che richiede certamente la costruzione di impianti di supporto. Ma gli Stati Uniti temono con cognizione di causa la straordinaria tipicità di questa infrastruttura, simile in tutto e per tutte alle autostrade, alle reti elettriche, ai porti o alle arterie ferroviarie, tranne che per una peculiarità: le strade digitali non sono indifferenti alle informazioni che ospitano, memorizzano tutto ciò che le attraversa. Tant’è che l’amministrazione Trump nel 2019 intervenne per bloccare il collegamento diretto tra Usa e Hong Kong del cavo Pacific Light Cable Network, ora completato con la connessione a Filippine e a Taiwan, ma senza l’ex colonia inglese: il governo americano era allarmato dalla presenza di un’azienda di Pechino nel consorzio di costruzione e all’idea che il cavo potesse toccare direttamente il territorio cinese. Un altro ‘incidente’ emblematico ha avuto luogo nel febbraio del 2023 quando la compagnia di telecomunicazioni taiwanese Chunghwa Telecom ha comunicato  la recisione di alcuni cavi sottomarini che collegavano Formosa alle isole Matsu, ad una manciata di chilometri dalle coste cinesi del Fujian.



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