Diritti umani impossibili senza laicità

La Dichiarazione Universale dei Diritti umani ha compiuto 75 anni.  Ma i suoi princìpi sono calpestati e rovesciati a vantaggio di privilegi e gerarchie sociali. Riscoprendo la laicità come principio di pacifica convivenza, potremo applicare la reciprocità della dignità umana.   

Maria Mantello

“Dove nascono, in fin dei conti, i diritti umani universali?” – si chiedeva Eleanor Roosevelt, presidente della commissione per l’elaborazione della Carta dei Diritti. E rispondeva: “In posti piccoli, vicino casa. In posti così piccoli e vicini che non possono essere visti in nessuna mappa. Eppure questi luoghi sono il mondo dell’individuo: il quartiere in cui vive, la scuola o l’università che frequenta, la fabbrica o l’ufficio in cui lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cerca la parità senza discriminazioni nella giustizia, nelle opportunità e nella dignità. Se questi diritti non hanno significato là significano poco ovunque e se non sono applicati vicino casa non lo saranno nemmeno nel resto del mondo”.
È una affermazione potente, che impegna ogni singolo individuo alla pratica dei diritti umani a cominciare dagli spazi che frequentiamo. Spazi in cui abbiamo la responsabilità per quanto concretamente facciamo e per quanto potremmo ancora fare per promuovere il diritto alla dignità per ciascuno.
Così l’egoità si apre alla visione degli esistenti possibili. È l’occhio di memoria socratica che si specchia in quello dell’altro (Platone, Alcibiade I). Non per cercare replicanti di modelli pregiudiziali, ma per riconoscere la comune dignità nella reciprocità di esseri umani.
Ed è la pratica dell’etica laica che chiama alla responsabilità individuale contro soprusi e ingiustizie da rimuovere nell’unico mondo di cui abbiamo certezza, nell’impegno a non voltarci dall’altra parte. Vigilando su leggi che creino le effettive condizioni per l’affermazione della dignità di ciascuno, nel supremo principio della laicità, che non impone un pacchetto morale prefissato in eterno e fideisticamente blindato.
Quando il precetto infatti diviene ispiratore del Diritto, si crea un corto circuito di tale portata che ne è fulminata anche la Democrazia. Parola che nei regimi teocratici è finanche impronunciabile. Ieri come oggi. E chi lotta per essa è perseguitato, torturato, ucciso.
Ecco allora che la laicità è principio fondante della civile e pacifica convivenza. Principio supremo e non negoziabile: per la libertà e la giustizia. Perché laicità vuol dire meno verità e più solidarietà.
Solidarietà che impone l’emancipazione di ognuno e di tutti dalla sudditanza mentale ed economica, perché ognuno sia libero e padrone della sua vita.
“La giustizia – scriveva Epicuro – non è qualcosa che sia di per se stessa: essa è solo nei rapporti reciproci, dovunque e quante volte esista un patto di non arrecare e di non ricevere danno” (Massime capitali, XXXIII). Solo in questo senso, ognuno è salvato dall’ingerenza dell’altro (compresa la pressione del gruppo familiare e sociale) e da ogni fanatismo morale. Allora, rifondare all’insegna dell’etica laica la relazione con se stessi, e con gli altri, e tra individui e Stato/Stati, è quanto mai urgente per contrastare chi, col proibizionismo della norma a una dimensione, impedisce di sottrarre all’inferno sulla terra sempre più spicchi di esistenza.
La Dichiarazione universale dei diritti umani il 10 dicembre ha compiuto 75 anni.
Ma il contesto storico attuale in rigurgiti di fascismi – clericalismi – affarismi – corruttele – sembrerebbe ignorarla, se non addirittura ribaltarne i significati per conservare privilegi e gerarchie sociali.
La parola comunità ha una radice: munus, che significa dono, ma anche obbligo. Patto sociale quindi nel “dono” reciproco vincolante alla reciprocità della dignità.
È una bella responsabilità. E chiede rispondenza, corrispondenza. Diversamente avanzerà sempre più la barbarie. Tanto più nera e abissale se in nome del fanatismo religioso.



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