Le donne del medioevo, nell’ombra e nel peccato

Recensione del libro “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose” (Il Mulino) di Chiara Frugoni.

Marilù Oliva

«Alla moglie, nella società feudale, si chiedeva soltanto di essere prolifica. Rimaneva un’estranea in un gruppo famigliare che, accogliendola, la dominava e sorvegliava, ma anche che l’avrebbe rimandata alla famiglia d’origine di fronte alla possibilità di un’altra sposa più ricca o più nobile»

Il passato ci racconta molto di quello che siamo oggi. Chi ricorda, nella novella di Boccaccio “Calandrino e l’elitropia”, come il protagonista si accanì sulla moglie, picchiandola a sangue solo perché credeva che questa gli avesse fatto perdere l’invisibilità? I suoi amici non lo biasimano, perché così venivano trattate le consorti, si limitano a spiegargli che “le donne tolgono il potere alle pietre”. Creature impure, tentatrici, inaffidabili: così venivano considerate nel Medioevo. Messe nell’ombra, private della facoltà di esprimersi e di scegliere, relegate al ruolo di pedine o madri. Eppure, spicca qualche esempio eccellente…

Ce ne parla con acribia e precisione la storica e accademica Chiara Frugoni nel suo saggio “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose”, pubblicato dal Mulino. Un excursus dalle origini bibliche del pensiero illustra lucidamente quella che fu la concezione verso l’altra metà del cielo e prosegue con la narrazione di cinque donne significative, purtroppo non illustri quanto dovrebbero essere, perché alcune furono (e sono ad oggi) neglette. Redegonda, Matilde di Canossa, la Papessa Giovanna, Christine de Pizan e Margherita Datini.

Redegonda, dapprima regina moglie di Clotario I, poi monaca che visse in umiltà e castigava il suo corpo con terribili torture, come ci racconta Venanzio Fortunato. La potente Matilde di Canossa, che assistette alla celebre umiliazione di Enrico IV di fronte al suo amico pontefice Gregorio VII. La papessa Giovanna, che non fu mai esistita ma incarna la fobia che una donna osi sottrarre un comando considerato prerogativa maschile e non è un caso che le dicerie sostengano che la papessa, dopo aver occupato illecitamente il soglio pontificio, sia stata smascherata pubblicamente perché colta dai dolori del parto. Quando si leggono le pagine dedicate a Christine de Pizan si pensa: come mai è così trascurata nei testi scolastici? Come mai la conoscono in pochi? Eppure, fu una letterata prolifica e valida, che ne “La città delle donne” ebbe l’idea coraggiosa di schierarsi contro i bacchettoni maschilisti maldicenti con tanto di argomentazioni e logica: «una donna intelligente riesce a far di tutto e anzi gli uomini ne sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro». Molto interessante anche la figura di Margherita Datini che si sentiva in colpa per la sua infertilità (nel medioevo e fino a poco tempo fa, quando una coppia non aveva figli si riteneva che fosse sempre colpa della donna) e amministrava con la perizia da contabile i beni di famiglia, durante le infinte assenze di un marito molto esigente sul piano amministrativo, che però ebbe l’intelligenza di riconoscere, in una lettera, quanto Margherita gli fosse indispensabile.

Per cinque donne che si sono distinte e sono assurte a icone, ce ne sono migliaia, però, zittite e oscurate. E chi le reprimeva lo faceva con tanto di motivazioni, che spesso affondavano le loro radici nelle Sacre Scritture:

«Il terzo fattore, occasione di peccato nella donna, si ha quando questa è libera e indipendente. Infatti la donna è cedevole e incauta e quindi deve essere guidata e custodita; per questo dice Ecclesiastico 26,10: “Fa’ buona guardia a una figlia sfrenata, perché non abusi di sé, se trova l’occasione”; e anche Ecclesiastico 25,26, dove dice della donna: “Se non cammina al cenno della tua mano, ti farà fare brutta figura coi tuoi nemici”».

Con un corredo iconografico ricco di miniature, mosaici, tavole, affreschi, disegni, questo libro andrebbe letto innanzitutto perché è molto bello. E in secondo luogo perché ci fa riflettere su quello che siamo oggi. Perché se siamo ancora lontani dalla parità, qualche passo in avanti tuttavia è stato fatto. Non abbastanza, però, per poter affermare con orgoglio che ci siamo affrancati del tutto da quella mentalità retriva: c’è ancora tanto da lavorare, ma prima occorre conoscere.

 



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