Dopo la Sardegna, anche in Abruzzo la chiave di volta sarà l’autonomia differenziata?

Dopo il sorprendente risultato della Sardegna, la tornata elettorale nella piccola regione del sud Italia si carica di valore nazionale. Così come nell’isola, anche in Abruzzo, dove la sanità è disastrata e lo sviluppo economico e sociale da tempo è bloccato, a fare la differenza nella volontà di scelta dei cittadini potrebbe essere la paura per le conseguenze del disegno di legge – “eversivo”, lo definiscono da tempo i comitati – sull’autonomia differenziata.

Federica D'Alessio

A pochi giorni dall’appuntamento elettorale in Abruzzo, dove si rinnova il Consiglio regionale e la sua presidenza, l’onda dei risultati in Sardegna poche settimane fa è ancora molto alta, e tanto la politica regionale quanto quella locale la cavalcano con entusiasmo. A chiudere la campagna elettorale per il polo progressista insieme al candidato Luciano D’Amico sarà non a caso Alessandra Todde, neo-Presidente della regione Sardegna. Le similitudini fra le due regioni sono numerose: non solo dal punto di vista socio-economico e demografico, ma nei destini politici. Entrambe sono state, negli ultimi cinque anni, guidate da uomini espressione dell’attuale governo di destra, che non sono riusciti a far innamorare di sé la cittadinanza, e non hanno impresso alcun segno di dinamismo nelle loro regioni; e in entrambe l’area progressista, forgiatasi anche attraverso l’opposizione comune, ha intrapreso un cammino fortunato di alleanza. Nel caso abruzzese, il patto non si limita a M5s e Pd ma abbraccia anche Azione e l’area riformista di Italia Viva (che si presenterà senza simbolo), oltre alle solite realtà civiche.

Voto clientelare
Sarà però molto difficile che il miracolo sardo possa ripetersi. Per chi ha corso la campagna elettorale cercando di sfidare l’attuale maggioranza “è stata una campagna bellissima, in cui siamo passati dal pessimismo più nero all’idea che possiamo crederci”, nelle parole di Gianluca Castaldi, coordinatore regionale dell’Abruzzo per il Movimento 5 Stelle, ex deputato della Repubblica. “Sono dell’opinione che ci siano alcune province in cui la vittoria può essere nostra, mentre in altre – quella dell’Aquila in particolare – siamo ancora indietro. Se il voto al Presidente fosse stato disgiunto da quello alle liste, come avvenuto in Sardegna, a mio avviso Luciano D’Amico, il nostro candidato, avrebbe sbaragliato Marco Marsilio”, racconta a MicroMega. “Ma il voto non disgiunto – se si vota il candidato di una lista non si può votare il consigliere di una lista avversaria – fa sì che i meccanismi clientelari, così presenti nella nostra realtà, possano prevalere”. Per Castaldi è “la composizione delle liste che può fare la differenza in favore del centro-destra, in forza del modo in cui hanno inteso e gestito il potere in tutto questo tempo: come una amministrazione di interessi privati e in favore dei privati. L’idea di bene collettivo è distante anni luce dalla loro concezione della politica; è tutta in direzione del privatismo”.

La sanità è al cuore
Questo favorire la dimensione privatistica sul bene pubblico è, secondo Leila Kechoud, vice-segretaria regionale del Partito democratico, “la cifra con la quale la destra di Marsilio ha amministrato ogni cosa in questi anni, ma soprattutto la cifra con la quale è stata distrutta la sanità regionale, che oggi sconta una situazione disastrosa. Pensiamo soltanto all’allungamento delle liste d’attesa: oggi per un’analisi specializzata o un esame nel pubblico si può aspettare, in Abruzzo, fino a due anni di tempo; in tutti gli incontri che abbiamo fatto con i cittadini nel corso di questa campagna elettorale, non ce n’è stato uno durante il quale non sia emersa l’esigenza di un servizio sanitario al servizio delle persone”. Anche secondo Erika Alessandrini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Regione, “è la sanità la principale ragione di malcontento per gli abruzzesi. Nonostante i tanti annunci fatti dall’attuale giunta, nessun piano di edilizia sanitaria e di costruzione della rete ospedaliera è stato mai avviato. Si è trattato di sola propaganda. Nel frattempo, in Abruzzo la mobilità passiva interessa circa 120mila persone; vale a dire che già ora la regione Abruzzo paga per cure che i nostri cittadini svolgono in altre regioni; per una spesa totale di circa 100 milioni di euro che potremmo utilizzare per fornire migliori servizi qui. Al tempo stesso, il potere di spesa degli abruzzesi per fare ricorso alla sanità privata è drasticamente diminuito. Già oggi una persona su quattro rinuncia alle cure, per ragioni di disponibilità economica”.

Paura dell’autonomia differenziata
Anche in Sardegna, come avevamo raccontato, la questione sanitaria era emersa come una delle principali ragioni di malcontento che avevano portato le persone a preferire un cambio di maggioranza, per quanto con un margine molto stretto di preferenze. Si tratta di un tema inevitabilmente prioritario in un Paese in cui la popolazione invecchia a velocità sostenuta. Un tema che richiama un altro, ovvero i pericoli legati all’attuazione dell’autonomia differenziata. “L’Abruzzo è stata la prima regione d’Italia ad aderire all’autonomia differenziata, andando contro ogni nostro interesse di popolazione”, racconta Alessandrini. “Poi però Marsilio non ne ha più fatto menzione, ha evitato di sottolineare in qualsiasi momento la questione”. “La verità è che l’autonomia differenziata qui fa paura a tutti; se parliamo di addetti ai lavori, fa paura anche a tantissimi amministratori e funzionari di destra, che hanno ben chiare le conseguenze disastrose che porterà in una regione come la nostra”, chiosa Castaldi. “Inizialmente le persone non avevano capito benissimo cosa significasse; man mano che abbiamo portato avanti iniziative e approfondimenti, hanno preso coscienza del pericolo che comporta per la qualità della vita e per la tenuta democratica e si sono spaventate”. Così spiegano sia Kechoud sia Tommassini, e il loro racconto non è distante da quanto già Camilla Soru del Partito democratico aveva riportato a MicroMega riguardo alla Sardegna. Non sarà un caso che Luciano D’Amico ha individuato come prima cosa da fare, dovesse essere eletto Presidente in Regione, il ritiro dell’adesione all’autonomia differenziata.

Unirsi per fermare un disegno eversivo
“Non mi meraviglio di scoprire che le persone siano spaventate scoprendo cosa comporterebbe l’autonomia differenziata; qualunque persona di buon senso lo è, e qualsiasi sindaco o amministratore locale, a prescindere dall’appartenenza politica, fa bene a esserlo, perché una volta passata la riforma il loro lavoro diventerà impossibile”, commenta Giuseppe De Marzo, responsabile nazionale della Rete dei numeri pari che da anni porta avanti la battaglia per il ritiro dell’autonomia differenziata, insieme a numerosi comitati. “Quello che mi chiedo è perché le forze dell’attuale opposizione non l’abbiano capito prima – una delle spinte in avanti al disegno più significative è stata data dagli accordi con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna firmati dal governo Gentiloni, ndr –, e soprattutto perché, dopo aver detto qualche mese fa che avrebbero dato vita a un’agenda sociale condivisa per fermarla, non abbiano poi agito in questo senso”. De Marzo si riferisce all’assemblea del 22 aprile scorso, durante la quale le forze politiche tutte, dal Partito democratico al Movimento 5 Stelle – presente Giuseppe Conte – a Sinistra Italiana a Unione popolare e le altre avevano lanciato l’avvio di un percorso programmatico unitario per contrastare l’impoverimento sociale e i pericoli della riforma “eversiva”, come l’ha sempre definita la Rete dei numeri pari. Ma da quell’incontro, spiega De Marzo, non è scaturito nessun tavolo di lavoro concreto. “Sono solo parole?” ci eravamo chiesti su MicroMega, quando era stato fatto l’annuncio. A quanto sembra, era una domanda posta con ragione. “Il percorso di lavoro programmatico che doveva cominciare firmando il patto per l’agenda sociale condivisa è morto sul nascere. Eppure, mi chiedo, se non è per fermare la disintegrazione della Repubblica, se non è per impedire l’impoverimento sociale che scaturirà dalla rottura di ogni solidarietà nazionale, per che cos’altro si dovrebbero alleare le forze di opposizione?”. Anche Marina Boscaino, presidente dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, è molto preoccupata. “Ritengo di grande importanza che le elezioni regionali abbiano riportato in auge un tema la cui gravità per gli assetti della Repubblica è pari solo alla poca attenzione che riceve”, dichiara a MicroMega. “Il ddl di procedura, che indica l’attuazione dell’autonomia differenziata nelle diverse regioni, si appresta a diventare legge senza che siano stati neanche definiti i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). È per questo motivo che il tema sta diventando dirimente nelle campagne elettorali regionali. Andiamo incontro a una regionalizzazione diversificata dei diritti. Sono sei anni che facciamo sforzi continui per alfabetizzare le persone su questi pericoli. Paradossalmente è stato proprio l’atteggiamento strafottente del senatore Roberto Calderoli, negli ultimi tempi, a riportare l’attenzione sul tema. Se non fosse stato per lui, i media avrebbero continuato a coprirlo poco e male”.

“Dalla legge sull’autonomia differenziata dipenderanno tutti gli assetti fondamentali della vita di questa regione, così come di tutte le altre”, spiega Tommassini. “Per questo è un tema tanto cruciale. Dalle infrastrutture alla gestione dei trasporti pubblici, alla vita stessa delle scuole”. Votare nelle regioni assume dunque, quest’anno, tutta intera la valenza di un voto per la Repubblica e per salvare la Repubblica. Si tratta di evitare di essere declassati da cittadini a semplici “residenti”, titolari di diritti garantiti in base al luogo di residenza, piuttosto che in quanto cittadini della Repubblica.  L’auspicio, per Boscaino, è che “una sconfitta ulteriore delle destre dopo quella sarda possa pesare così tanto sul Governo in carica da mettere in discussione l’intero iter dell’autonomia differenziata”.

CREDITI FOTO: ANSA/ASSIMO PERCOSSI/LUCA PROSPERI



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