Dopo lo sciopero l’opposizione sociale attende quella politica

Lo sciopero di CGIL e UIL del 17 Novembre ha lanciato un segnale forte al governo Meloni e all'opposizione. L’interferenza del ministro Salvini sul diritto allo sciopero non è stata apprezzata dai lavoratori che per partecipare alla piazza hanno rinunciato a un giorno di paga. L’opposizione sociale al governo sta prendendo forma, e attende un passo avanti concreto dall’opposizione Politica. Fino ad allora, la premier Meloni non avrà contendenti.

Pierfranco Pellizzetti

Nel tardo pomeriggio di venerdì scorso, il tono euforico del mio amico sindacalista che mi raggiungeva sul cellulare era il primo segnale a conferma del grande successo della manifestazione anti-governativa promossa da CGIL e UIL: uno sciopero dell’opposizione sociale, un raduno di popolo non solo nella piazza romana (appunto, del Popolo) colma di manifestanti, ma anche nelle sedi periferiche; come quella da cui mi arrivava la chiamata. Una chiara risposta al ministro delle infrastrutture, venuto dalla Padania profonda – intesa come luogo dello spirito, se di spirito si può parlare – che ci ritroviamo come imbarazzante vice premier forte del via libera anti diritti sindacali ricevuto dalla premier, e alle sue insultanti spiritosaggini. La variazione sul tema stantio e mendace del fannullone quale bersaglio polemico a mezzo irrisione, per cui chi percepiva le poche centinaia di euro del Reddito di Cittadinanza si sarebbe permesso il lusso con quel malloppo di impigrire sul sofà di casa; ora chi sciopera di venerdì lo farebbe per assicurarsi un lungo week end vacanziero, trascurando il piccolo particolare che costui o costei lo fanno a proprie spese, rinunciando alla paga oraria per tutto il periodo dell’astensione dal lavoro. Ma di questo Matteo Salvini non si cura, nell’ignobile demonizzazione dell’avversario, secondo prassi corrente della Destra che non fa prigionieri. Quell’improbabile personaggio, dipendente patologico da sondaggi, usa assumere  la qualsivoglia posizione sulla base delle rilevazioni sugli orientamenti prevalenti nella pubblica opinione. Ma questa volta ha mancato il tiro, visto che le statistiche attestano al 70 per cento le indicazioni contrarie al suo bullismo.
Dunque, un grande successo organizzativo per Mauro Landini e Pierluigi Bombardieri. Ma si tratta anche un successo politico? Da queste piazze, in cui ribolle tutta la risentita indignazione per l’attuale corso governativo anti-popolare, può nascere un radicale ribaltamento della maggioranza?
Di certo il 17 novembre sancisce la fine della luna di miele tra l’opinione pubblica corrente e il governo. Giorgia Meloni si è rivelata inadeguata oltre le soglie del ridicolo (dalle trasferte albanesi alle telefonate con comici russi presunti africani), nepotista indecente e pronta a svendere l’indipendenza nazionale per un buffetto di Joe Biden. Soprattutto incomincia a percepirsi con crescente chiarezza quali siano le componenti sociali a cui intende rivolgersi la diplomata alla scuola alberghiera, cresciuta nei campeggi neofascisti alla Atreju (giusto non accreditarli con la propria presenza, come una volta tanto ha fatto bene la Schlein). I suoi bersagli elettorali da blandire sono il ceto medio-basso commerciante/impiegatizio e i padroncini giunti alla guida di una Confindustria ormai declassata a rappresentante delle ultime raffiche asserragliate nelle fabbriche. Tutta gente che detesta e vuol vedere bastonato il cosiddetto ceto medio riflessivo – esecrato come radical chic – e il mondo del lavoro, percepito come ultima difesa di una Costituzione democratica e anti-fascista, da abbattere per instaurare Democrature in stile reazionari oscurantisti del Gruppo Vilnius.
Quindi – dopo una lunga atrofia – le piazze ci testimoniano il ritorno in campo dell’opposizione sociale. Che – tuttavia – sarà destinata a perdere forza fino ad esaurirsi se non troverà una saldatura con l’opposizione politica. E qui arrivano le note dolenti. Perché non ha senso implorare sinergie strategiche tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein fintanto che i rispettivi partiti – PD e 5S – continueranno a essere ingombri di “uova del cuculo” lasciate in eredità dai loro predecessori.
Per la Schlein continua a valere la definizione di “ospite in casa altrui”, circondata com’è da quinte colonne renziane  – da Lorenzo Guerini con l’elmetto al chierichetto Graziano Del Rio – lasciate nel nido piddino con il mandato di bloccarne il riposizionamento a sinistra.  Solo apparentemente sostenuta dagli inestirpabili signori delle tessere  – dal mimetico Andrea Orlando al Dario Franceschini buono per tutte le stagioni – interessati solo a un’operazione gattopardesca di strumentalizzazione della ragazza tardo-sessantottina all’insegna del “tutto cambi perché nulla cambi”. E Giuseppe Conte? Anche l’apprezzabile premier del Conte II è zavorrato dal condiscendente apprendistato nel Conte I, su cui continua a cannoneggiare la stampa al servizio di un establishment ostile “di pelle” all’avvocato del popolo, che non ha mai avuto la tessera del club dei privilegiati dove ci si negozia spartizioni e si scambiano favori. Per di più grava sull’attuale leader Cinquestelle l’ingombrante presenza del maldestro sfascia-carrozze Beppe Grillo, in perenne ossessione da perdita della scena e che va tenuto buono con il versamento annuo di un tributo risarcitorio pari a 300mila euro perché la smetta di interferire, come quando appoggiò il governo Draghi e Cingolani ministro. Stando così le cose la Giorgia continuerà a vincere per no contest pugilistico.


CREDITI FOTO: ANSA / VICTORIA HERRANZ



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