Il centro di Draghi: definitiva trappola di Grillo per i 5S

L’ultima follia di Beppe Grillo: blindare i Cinquestelle nella maggioranza draghiana, un cappio per impiccarsi.

Pierfranco Pellizzetti

Coerente con la sua abituale attitudine al confusionismo, Beppe Grillo è sceso a Roma per infliggere l’ennesimo colpo stile Saturno alla tormentata sopravvivenza del 5S: la blindatura della sua collocazione nella maggioranza draghiana, quale cappio cui impiccarsi. A ulteriore riprova che nel caso dell’Elevato la “v” non significa più da tempo “vaffa”, bensì “vip”. La comprensibile aspirazione a imbarcarsi nel vippume (Flavio Briatore nel suo resort kenyota, Renzo Piano, Roberto Cingolani e – dunque – Mario Draghi) di un ragazzotto partito dal quartiere semi-proletario di San Fruttuoso per arrivare alla collina di Sant’Ilario, la Beverly Hills genovese.

Dunque l’ennesima scelta suicida che i grillini residui subiscono per sudditanza psicologica e/o vassallaggio elettoralistico. Infatti, se Giuseppe Conte assicura al movimento quel che resta di un prestigio personale accumulato soprattutto come Presidente del Consiglio nel governo giallo-rosa, il Sire cotonato promette ai quadri del Movimento la loro probabile elezione/rielezione grazie alla devota obbedienza che i sopravvissuti followers della prima ora continuano ad assicurare alle sue indicazioni per chi votare. In analogia con gli eletti di Forza Italia, che si sono digerite tutte le mattane di Silvio Berlusconi – da Ruby Rubacuori nipote di Mubarak alle rivoluzioni liberali illusionistiche – perché il placet del capo, e relativa benevolenza, garantiva il posto sicuro negli organigrammi pubblici. Con annessi emolumenti milionari.

Ora l’ultima follia di Grillo è l’aver maturato una nuova convinzione sul posizionamento ottimale per il suo declinante schieramento: la corsa al centro, inseguendo un po’ di grandi menti politiche: Renzi, Calenda, Di Maio, l’algido banchiere Draghi. Forse bisognerebbe spiegargli (e a chi lo consiglia) che il centro non esiste: è un luogo immaginario o meglio una trappola linguistica che funziona già da quando i peggio furbastri della Prima Repubblica (Forlani, Rumor, Piccoli, ma anche Malagodi o Tanassi) si proclamavano “centristi”. Un termine che in apparenza significherebbe ragionevolezza ed equilibrio; in sistematica accoppiata con “moderato” suona attitudine alla sintesi e alla mediazione. Ossia una serie di aspetti caratteriali che nulla hanno a che vedere con le categorie del Politico. Mentre, analizzato nella sua concreta fenomenologia, il centro moderato si rivela per quello che è realmente: la collocazione “legge e ordine” a esclusivo vantaggio di quelli che sono gli equilibri vigenti del potere; dalla Confindustria agli editori “impuri”. Oggi presidiati sagacemente da Mario Draghi con la banda di giovanotti in carriera che sgomitano per segnalarsi a lorsignori. Una combriccola da cui gli sparsi lacerti pentastellati devono tenersi il più lontano possibile, pena la sopravvivenza.

Ma Grillo non lo capisce, come ha capito sempre ben poco di politica, affidandosi di volta in volta al suggeritore di turno. Il penultimo lo aveva convinto che internet era il male assoluto, per cui occorreva distruggere i PC a bastonate. Poi è arrivato il perito industriale Gianroberto Casaleggio a mettergli in testa che internet rappresentava l’avvento della nuova democrazia diretta (la click-democracy), proprio mentre l’infosfera veniva colonizzata dagli ultra oligarchici signori del silicio. Quel Casaleggio consulente di comunicazione politica che quando si candidò alle elezioni amministrative nel suo paese – Settimo Vittore – riuscì a prendere ben sei voti sei.

Resta il mistero di come questi sprovveduti riuscirono nell’impresa di anticipare di quattro anni (Bologna 2007) il movimento mondiale degli indignati, che nel 2011 occupò le piazze mondiali e diede la stura a veri e propri partiti. Spiriti animali? Il cinismo espresso dalla formula “uno vale uno”? Ciò che in apparenza scimmiotta la battuta di Lenin che nello Stato comunista anche una cuoca può guidare il governo, ma che in effetti era solo un marchingegno per selezionare gruppi parlamentari di casi umani, facilmente governabili dai Padri Fondatori (magari per vendere favori a qualche armatore che finanziava il business della Casaleggio Associati e del blog di Grillo).

Intanto i Cinquestelle sono giunti sull’orlo del baratro; e perdurare nel centrismo filo governativo farà fare l’ulteriore passettino in avanti. Può salvarli Giuseppe Conte, l’unico che ritiene ancora valido il brand delle stelle? Qui non serve un mediatore, ma una schiena sufficientemente dritta per spedire l’Elevato a godersi il meritato riposo.



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