Due mesi di Governo Meloni: ora si gioca a carte scoperte

Sono stati sufficienti due mesi perché fosse (finalmente) a tutti chiaro cosa intendesse realmente dire la Meloni quando, all'alba del 26 settembre, parlò di orgoglio e, soprattutto, riscatto.

Renato Fioretti

Secondo un’antica consuetudine, prima di esprimere qualunque tipo di giudizio rispetto all’operato di una nuova compagine di governo, era opportuno attendere i suoi primi “100 giorni”. Da quello – a mio parere, sciagurato giorno – dell’insediamento della Meloni ne sono trascorsi meno dei due terzi ma, credo, ampiamente sufficienti per valutarne l’avvio e, soprattutto, le prospettive! In questo senso, pare ancora di sentire l’eco di coloro che, anche se di sincera ed inossidabile fede democratica, riconoscevano all’attuale Premier “chiarezza nelle cose che propone” unitamente ad altrettanta “chiarezza nelle cose che promette”. Il che, evidentemente, li induceva a mostrare, se non vera e propria simpatia politica, almeno stima e ammirazione. Ne conseguiva, a loro parere, l’opportunità di evitare pregiudiziali ideologiche rispetto alla natura “post/fascista”, “neo/fascista”, “para/fascista” o, più semplicemente, “fascista” della neo Premier in attesa di verificare “il coraggio politico e la duttilità mentale” della prima donna chiamata a governare il Paese in un momento di grande crisi attuale e prospettica. Di qui, il formale invito alla sinistra a evitare una campagna elettorale tesa, soprattutto, a paventare l’incombente pericolo <fascista>. Personalmente, ribadisco di non avere mai condiviso una linea che definivo <attendista> e, soprattutto,  <incauta>, perché avrebbe potuto, tra l’altro, produrre non poco disorientamento tra le fila degli elettori.
Infatti, pur concedendo a Giorgia Meloni la possibilità di non potere essere definita sic et simpliciter <fascista>, nel senso mussoliniano, con tutto quanto ne conseguiva in termini di: squadracce in camicie nere, assalti alle sedi sindacali, purghe a base di olio di ricino e tante altre nefandezze “di regime”, ne paventavo la particolare “natura” ideologica ed il retroterra culturale di cui al famigerato “Dio, Patria e famiglia”! Ebbene, sono stati sufficienti due mesi perché fosse (finalmente) a tutti chiaro cosa intendesse realmente dire la Meloni quando, all’alba del 26 settembre, parlò di <orgoglio e, soprattutto, riscatto>. “Questa è anche la notte dell’orgoglio e del riscatto di chi non c’è più e avrebbe meritato di vedere questa notte”, le sue parole a poche ore dalla chiusura delle urne. Nient’altro che una cruda anticipazione di quello che sarebbe stato il suo agire politico: nel segno della “sua” tradizione e di chi – a “suo” esclusivo parere – avrebbe meritato di assistere alla vittoria dell’estrema destra! Di certo, non i ricorrenti “ospiti” a Regina Coeli – ogni qualvolta <Sua Eccellenza> lasciava le confortevoli stanza di Palazzo Venezia – né quelle migliaia di giovani (e meno giovani) italiani che, all’alba dell’8 settembre del ’43, scelsero la deportazione in Germania piuttosto che servire la RSI!<<<<<

Non a caso, il nuovo clima non ha tardato a manifestarsi. Il primo, inequivocabile, segnale è stato rappresentato dall’approvazione d’urgenza del decreto legge 31 ottobre 2022, ne. 162, che introduce un nuovo reato: l’invasione di terreni o edifici pubblici o privati ritenuti pericolosi (a giudizio delle forze dell’ordine, evidentemente) per l’ordine pubblico o l’incolumità o la salute pubblica. Un provvedimento che, nato pretestuosamente per contrastare i rave party, finirà – se non profondamente cambiato o abrogato – con la criminalizzazione di qualsiasi manifestazione di protesta e dissenso. Con pene detentive assurde e spropositate; pari a quelle previste per atti di terrorismo. Intanto, inequivocabili segnali filo-padronali sono quelli rappresentati dal netto NO a politiche redistributive – attuate attraverso la decisione di mantenere il RdC per soli altri 8 mesi per coloro che si ritiene possano lavorare (dove, quando e come: tutto lasciato al caso) – alla c.d. <patrimoniale>, all’imposizione fiscale realmente progressiva e al famoso <tracciamento>. Anzi, anche dalla lettura di quanto previsto dalla bozza della Legge di Bilancio si evince la indomita determinazione con la quale la destra al governo intende perseguire i propri obiettivi. A fronte di una particolare visione dello stato di povertà di milioni di nostri connazionali, considerato una sorta di colpa individuale, piuttosto che una ingiusta e dolorosa condizione sociale bisognevole di cura e tutela, si rileva una particolare attenzione nel creare condizioni di rilevante “agibilità” a favore dell’economia sommersa, dell’evasione, dei traffici illeciti e dell’ingiustizia fiscale: dall’innalzamento al tetto del contante, ai condoni e fino alla flat-tax, passando attraverso la possibilità di rifiutare pagamenti elettronici fino alla soglia di 60 euro. Considerate le premesse, credo ci siano molti motivi di preoccupazione e ben poco di cui rallegrarsi. La prima e grave conseguenza derivante dall’applicazione della Flat-tax sarà rappresentata dall’acuirsi della già insopportabile ed anticostituzionale disuguaglianza fiscale “orizzontale”, oltre che “verticale” perché, a parità di reddito prodotto, pensionati e lavoratori dipendenti saranno sottoposti ad aliquote Irpef ben più gravose rispetto ai liberi professionisti (tassazione al 15% fino alla soglia degli 80 mila euro)! Si realizza così una separazione netta tra il regime fiscale di lavoratori dipendenti e pensionati, da un lato, e lavoratori autonomi e professionisti, dall’altro. Per la sua ampiezza, si tratta, almeno tra i Paesi avanzati, di un caso limite di trattamento preferenziale.

Tra l’altro, ciò si realizza in un Paese nel quale  – dalla lettura dei dati riportati dal Report pubblicato dal <Forum Disuguaglianze e Diversità> – si evince che, dal 1990 ad oggi, l’incidenza dei salari bassi sul totale dei lavoratori è cresciuta fino a coinvolgere un lavoratore su tre e, caso unico tra tutti i Paesi dell’OCSE, le retribuzioni degli italiani sono calate del 2,9 per cento! In più, se ai dati del Report si aggiungono quelli rilevati dall’Inps nel suo “Rapporto 2022”, la situazione dei lavoratori dipendenti appare devastante. Ad esempio, i dati disaggregati confermano(1) che “il contratto a tempo determinato (sottoscritto da circa un quarto degli individui osservati), in particolare di durata inferiore all’anno, implica un maggiore rischio di bassi salari annuali. Se il 19 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato risulta, infatti, avere una retribuzione inferiore alla soglia annuale (dato di per sé già sconcertante), questa cifra sale a ben il 61,7 per cento per coloro che hanno un contratto a tempo determinato”. Lavoro, quindi, frammentario, insicuro e ricattabile. Inoltre, ad ulteriore dimostrazione dell’assoluta infondatezza della tesi secondo la quale allentare la”rigidità del mercato del lavoro” avrebbe prodotto chissà quali e quanti miracolistici effetti, l’ultimo Rapporto Inps rileva che il tasso di lavoro non regolare è praticamente rimasto invariato negli ultimi 24 anni. Tutto ciò nonostante, ancora altro, previsto nella bozza della legge di Bilancio per il 2023, rafforza le già pessimistiche previsioni. In questo senso, piuttosto che intervenire rispetto alla dilagante precarietà e alla molteplicità delle tipologie contrattuali – causa di elusioni ed evasioni contrattuali “legalizzate” – la compagine fascioleghista al governo ha inteso rispolverare i famigerati buoni-lavoro (voucher), destinati (salvo successivi ampliamenti ad altri settori) all’agricoltura, all’industria alberghiera e di cura alla persona; in particolare per il lavoro domestico. Si reintroduce, quindi, uno strumento già ampiamente e negativamente collaudato che, introdotto nel 2008 e soppresso nel 2017, aveva finito con il coinvolgere milioni di lavoratori – di tutti i settori merceologici – rappresentando un’ulteriore forma di precariato estremo e povero. Tra l’altro, giusto per non lasciare nulla di intentato a favore di un sostanziale “non rapporto di lavoro, senza disoccupazione, malattia e maternità”, il precedente limite massimo di utilizzo annuo per lavoro occasionale accessorio o di prestazioni saltuarie – pari a 5 mila euro – è stato elevato a 10 mila euro corrispondenti, in sostanza, a centinaia di migliaia, se non milioni, di stipendi “regolari” poveri! Si tratta, in sostanza, di un governo fascioleghista che, di fronte a un’evasione fiscale e contributiva pari a svariati miliardi di euro, rispetto alla quale appare essere più che tollerante e permissivo, potrà vantarsi di avere brillantemente conseguito l’obiettivo più ambito: il ridimensionamento del RdC! Dulcis in fundo, è appena il caso di rilevare che – tra pandemia, “caro bollette” e inflazione che torna ai valori degli anni ’80 (circa 12 %), falcidiando i redditi dei soliti pensionati e lavoratori – quest’anno Babbo Natale e la Befana hanno anticipato la loro rituale visita c/o la Camera dei deputati elargendo agli stessi la somma di 5.500 € per l’acquisto di smartphone, pc e tablet! Una domanda è d’obbligo: “Fino a quando saremo disponibili a tollerare tutto questo”?

 



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