È l’ora di un nuovo Patto di Helsinki

Con la riunione di Ramstein il nuovo motto è diventato “vincere la guerra”. L’unico Stato che sembra ancora lavorare per la pace è il Vaticano. Nella rubrica Confronti ospitiamo articoli su temi di grande rilevanza sociale e politica che riteniamo possano dare lo spunto per un dibattito ampio e articolato fra visioni anche molto diverse fra loro.

Marco Politi

La riunione di Ramstein dei cinquanta paesi che sostengono l’Ucraina si è chiusa, secondo gli osservatori, con un salto di qualità. Non si tratta più di fermare la Russia, ma di “vincere la guerra”. Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto affari internazionali, sottolinea che è il momento di prenderne coscienza.
Papa Francesco ha iniziato l’anno definendo delitto contro Dio e contro l’umanità “ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti”. Il pontefice ha definito il conflitto una guerra “mondiale” per le sue ripercussioni globali (la crisi energetica ed alimentare). Di qui l’appello a “fare cessare immediatamente questo conflitto insensato”. Per Francesco bisogna pregare sia per le madri ucraine sia per le russe, che hanno perso i figli.
Bergoglio – rispetto alla comunicazione istituzionale e mediatica prevalente – è voce fuori dal coro. Non ha dubbi sulla responsabilità di chi, la Federazione Russa, ha scatenato la guerra ed è causa di tante morti e distruzioni. Al tempo stesso il papa argentino è chiaro nell’individuare che il carattere del conflitto va ben al di là di un duello tipo Davide e Golia fra Ucraina invasa e Russia invasore.
Per il Vaticano è uno scontro giocato sullo scacchiere mondiale e va fermato perché la prosecuzione non risponde né agli interessi delle popolazioni coinvolte né a quelli del pianeta.
Bergoglio non accetta la retorica della guerra santa. Nel delirio di una guerra santa non c’è niente da discutere. Il Nemico, con la maiuscola per la sua valenza metafisica, va annientato o messo in ginocchio ad implorare castigo e perdono. Ma la guerra in corso è altro. Con evidenza è ormai una “guerra ibrida” tra Russia e Nato secondo la precisa definizione del politologo statunitense Ian Bremmer.
In questo quadro la posizione di Bergoglio, benché radicata in valori religiosi, si colloca da un punto di vista razionale e laico nell’analisi e nella valutazione dei fatti. Perciò critica pubblicamente il patriarca ortodosso russo Kirill per essere “chierico” di stato e intanto fa precisare dall’Osservatore Romano che il papa “non è il cappellano dell’Occidente”.
Bergoglio ha detto apertamente che questa guerra non va vista secondo lo schema della favola di Cappuccetto Rosso. Mentre, baciando la bandiera giallo-blu di Bucha, non lascia dubbi sulla sua partecipazione alle sofferenze della “martoriata Ucraina”, evidenzia un fondamento della storiografia: le guerre hanno un inizio, una parte che passa all’attacco, ma hanno anche radici e contesti. Trascurarli e non mettere tutti i fattori sul tavolo impedisce di costruire una pace giusta e duratura. Nessuno oggi crede che la I. Guerra mondiale sia scoppiata per gli spari di Sarajevo.
In questi mesi il papa ha evidenziato una serie di punti.
L’accenno all’ “abbaiare della Nato alle porte di Mosca”, come fattore che ha “facilitato forse” lo scoppio della guerra, è una valutazione politica che in Vaticano si fa con riguardo agli ultimi mesi del 2021 allorché si svolgevano contatti negoziali tra Russia, Nato e Stati Uniti. Mosca chiedeva una assicurazione esplicita sul non ingresso dell’Ucraina nella Nato. Washington ha offerto negoziati sugli armamenti, ma non la garanzia richiesta. E’ un dato di fatto. Cui si aggiunge il sistematico allargamento a est dell’Alleanza atlantica dopo il crollo dell’Urss.
Chiudere gli occhi sui retroscena di un conflitto non ha senso. Nessuno pensa, lo affermava il senatore democratico Bernie Sanders, che gli Stati Uniti tollererebbero che il Messico entri nell’alleanza militare di una potenza straniera. In Vaticano si condivide tuttora la posizione espressa a suo tempo da Henry Kissinger secondo cui Kyiv non doveva essere un bastione né contro Mosca né contro l’Occidente.
Il secondo elemento chiaro per il Vaticano è che la scena mondiale non può ridursi alla rappresentazione ideologica di un duello tra liberal-democrazie e autocrazie. Sono per primi gli analisti occidentali a dire che da anni i sistemi democratici nel mondo stanno arretrando.
Più volte su Avvenire il sociologo cattolico Mauro Magatti ha ricordato che esiste nel mondo una pluralità di culture millenarie (cinese, indiana, islamica), sistemi politici, interessi economici variegati che non si possono inscatolare nel modello occidentale. L’Occidente non può pensare di fare il maestro di scuola, secondo la brillante espressione di Kissinger. Se in seno alle Nazioni Unite la condanna dell’aggressione russa è stata netta, assai diverso è stato il panorama quando, per esempio, si è votata la sospensione della Russia dal Consiglio Onu per i diritti umani: 93 stati hanno votato a favore, 82 hanno votato contro o si sono astenuti. Il motivo è chiaro, la parte maggioritaria del pianeta per popolazione non vuole essere arruolata nella contesa tra Mosca e l’Occidente.
E’ questa la ragione per cui papa Francesco ribadisce che dalla guerra in Ucraina non si esce con “altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari… non è facendo vedere i denti…”. La sua posizione non è quella esortativa del buon parroco o genericamente “pacifista”. Può piacere o no, ma è frutto di un’analisi laica. Il pianeta globalizzato, segnato da molteplici linee di frattura e differenze, non è governabile dall’egemonia di un unico blocco politico-militare (l’ipotesi che i politologi statunitensi chiamano West versus Rest) ma neanche da un nuovo equilibrio bipolare Usa-Cina equiparabile alla situazione della Guerra fredda tra Washington e Mosca.
Meno che mai la situazione si governa tornando alle isterie da anni Cinquanta con i cosacchi che “abbeverano i cavalli alle fontane di San Pietro”… o presentando l’Ucraina come le Termopili d’Europa, che impediscono alle armate putiniane di dilagare nell’Europa centrale. I paesi baltici e la Polonia non sono mai stati presi di mira. Svezia e Finlandia non sono mai state minacciate nella loro neutralità da Mosca ed è evidente che il loro aggregarsi alla Nato risponde a manovre geopolitiche di lungo respiro.
C’è un dato che rende la situazione oggi totalmente diversa dal febbraio 2022. Putin ha perso la “battaglia d’Ucraina”! Il paese non è collassato, Kyiv non è stata conquistata, Zelensky non è stato rovesciato. Sul terreno i combattenti ucraini hanno mostrato finora un’innegabile superiorità sull’esercito regolare russo.
Oggi la prospettiva, secondo alcuni esperti, è di un’escalation di azioni militari e distruzioni con il rischio di una lunga guerra di attrito e logoramento. E’ quello che Bergoglio ha chiamato “altre armi, altre sanzioni…mostrare i denti”. Con quali obiettivi?
Per mesi nelle cancellerie è risuonata la parola d’ordine che spetta solo a Kyiv decidere “come e quando” iniziare negoziati con Mosca. Più sale di livello lo scontro militare più questa formula non ha senso. La guerra si combatte sul territorio ucraino e in primo luogo il prezzo lo pagano i soldati ucraini con il loro coraggio, bravura e determinazione (e la popolazione civile egualmente coraggiosa e tenace), ma senza il flusso miliardario di armi occidentali, senza l’addestramento e gli aiuti economici e umanitari occidentali, senza il costo pagato dall’Occidente per le sanzioni alla Russia, senza gli strumenti sofisticatissimi dell’intelligence occidentale l’Ucraina nulla potrebbe.
Ne va dedotto che quando i pesi di un conflitto si portano insieme, si decide anche insieme su dove arrivare. L’Europa in questa partita si presenta assente e passiva.
L’insistenza del papa su un cessate il fuoco per preparare negoziati di pace richiama l’attenzione sugli obiettivi della guerra. La “vittoria” evocata dai vertici dell’Unione europea e della Nato ha un suono di estrema indeterminatezza a fronte del notevole peso economico che la guerra impone agli europei. “Vittoria” significa il ritorno alla situazione del 24 febbraio 2022, ai confini del 2014, allo status del 1991? Chi lo decide?
Il Vaticano segue con attenzione le mosse di Washingon. Il presidente Biden in questo anno si è mosso con molta razionalità ed estrema prudenza, anche nel graduare qualità e prestazioni degli armamenti inviati a Kyiv. E’ sua originariamente la distinzione tra armi difensive e offensive ed è sempre di Washington il calcolo della potenza dei singoli mezzi messi a disposizione degli ucraini.
Il motivo per cui, a differenza della crisi di Cuba del 1962, la Santa Sede oggi non riesce a mediare tra Stati Uniti e Russia, risiede nel fatto che Washington non è interessata attualmente ad una mediazione e Mosca non crede il Vaticano capace di influire sugli Stati Uniti. Il ministro della difesa americano Austin Lloyd ha delineato una strategia: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina”. E’ un concetto che lascia la decisione sul punto di caduta nelle mani di Washington. Specialmente se incoraggerà Kyiv ad attaccare la Crimea, dove la base navale russa di Sebastopoli equivale alla base americana di Guantanamo a Cuba.
Ecco perché papa Francesco è fuori dal coro. Francesco propone un cessate il fuoco adesso. E indica un orizzonte geopolitico di lungo respiro.
In Vaticano l’anno scorso è stato attivo un gruppo di lavoro sulla pace, coordinato dall’economista americano Jeffrey Sachs. Il presidente dell’Accademia pontificia delle scienze sociali, Stefano Zamagni, ha tirato le somme con una bozza di possibile accordo. Prevede neutralità dell’Ucraina e suo ingresso nell’Unione Europea, garanzie internazionali per la sua sovranità e integrità, controllo russo de facto della Crimea in attesa di una soluzione definitiva affidata al dialogo fra le parti, autonomia delle regioni di Lugansk e Donetsk all’interno dell’Ucraina, creazione di un Fondo di ricostruzione dell’Ucraina cui partecipa la Russia, rimozione delle sanzioni in parallelo con il ritiro delle truppe russe.
E’ l’unica proposta concreta e non propagandistica finora avanzata. L’alternativa razionale per il Vaticano non sta tra mettere in ginocchio la Russia o lasciare che sia sottomessa l’Ucraina. L’alternativa è tra l’escalation di un conflitto rovinoso e imponderabile o un pragmatico approccio negoziale. Non ci si può “rassegnare… all’inasprimento del conflitto”, insiste mons. Gallagher ministro degli esteri vaticano.
Bergoglio vede la necessità di guardare all’insieme del pianeta: “(E’ necessario) un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato e di impostare le relazioni internazionali”. In altre parole è l’ora di un nuovo Patto di Helsinki, che coinvolga tutti i protagonisti della scena internazionale. Chi rammenta la complessa tessitura di quel patto est-ovest del 1975, sa anche i frutti positivi che produsse.
Dal Vaticano viene un impulso alla razionalità. Quello che non serve è abbandonare il discorso pubblico al “derby squallido tra presunti putiniani e ferventi antiputiniani”. (copyright Massimo Giannini, direttore della Stampa).

 

Foto Ansa EPA/RONALD WITTEK



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