L’educazione alla condivisione in un sistema meritocratico

Scuola, come spostare il focus dalla competizione alla collaborazione: l'esperimento "Philo-Forum" dei licei di Roma.

Carlo Scognamiglio

Da alcuni anni gli studenti della scuola secondaria superiore sono esposti a un modello di interpretazione del processo di apprendimento che si appoggia in parte a dinamiche concorsuali, infra- o interscolastiche, talvolta riconducibili a libere iniziative di organizzazioni di cultori disciplinari, a strutture accademiche o filantropiche, a iniziative di soggetti privati, o – nella maggior parte dei casi – promossi dalle stesse articolazioni del sistema pubblico di istruzione e formazione, nei suoi livelli nazionale e regionale. Al di là dei più tradizionali premi letterali, campionati sportivi o gare di traduzione, si registra una sovrabbondanza di occasioni competitive che suggeriscono agli studenti (e ai loro docenti) di misurarsi in gare di padronanza o creatività nei campi più disparati, dalle olimpiadi di matematica, scienze, filosofia, fino a concorrere nell’ideazione di un’ipotetica banconota, oppure a giocarsi una partita di merito sulla memoria dello sterminio, come nel concorso “I giovani ricordano la Shoah”.

Occorre precisare subito che simili iniziative si traducono immediatamente, per le classi e per i singoli che vi aderiscono, in occasioni proficue di apprendimento: la didattica può anche temporaneamente far leva sulla motivazione implicita in una dinamica concorrenziale, e favorire un avvicinamento a contenuti culturali anche da parte di studenti socialmente e scolasticamente più fragili. Inoltre, spesso gli studenti che sperimentano il passaggio alle fasi della competizione successive alla prima prova di istituto, accedendo dunque ai livelli regionali o nazionali, riferiscono poi di aver vissuto un’esperienza fortemente coinvolgente e interessante, con speciale riferimento all’opportunità di vivere un’eventualità di scambio con coetanei appassionati alle stesse specificità disciplinari.

Questi sicuramente gli aspetti da valorizzare in un modello didattico così fortemente influenzato dalla dimensione competitiva. Tuttavia è lecito domandarsi se la costruzione di una gara, in sé, non possa rappresentare invece un limite educativo e un freno alla profittabilità di quelle occasioni di scambio e condivisione.

Sul rapporto tra competizione e cooperazione in educazione esiste un’ampia letteratura scientifica, che per molti anni ha ritenuto di contrapporre un modello presuntivamente competitivo, legato cioè allo sforzo individualistico dell’alunno, associato alla scuola tradizionale, per suggerire invece l’adozione – in tutti i gradi di istruzione – di strategie basate sulla cooperazione (ad esempio il cooperative learning), proprio per superare un modello educativo considerato escludente. Appare però necessaria a questo punto una precisazione: se è vero che il modello scolastico italiano, con il suo sistema novecentesco di didattica prevalentemente risolta nella preparazione e poi compimento di eventi di verifica, il cui esito definiva sempre una valutazione per la prestazione del singolo, di fatto ininfluente sulla valutazione altrui, profilava situazioni di esclusione e di rischio, non è del tutto corretto sostenere che il modello scolastico organizzatosi tra anni Settanta e Novanta del secolo scorso, ad esempio, fosse più individualistico-competitivo di quello attuale, che pure è stato ampiamente esposto a sollecitazioni e pratiche di didattica collaborativa.

Infatti, nel concetto di gruppo-classe, con i suoi articolati democratici della rappresentanza di classe, e con un Consiglio di docenti di riferimento, non si può non riconoscere una dimensione di costruzione del “collettivo”, nel senso ispirato dal pedagogista sovietico Makarenko diversi anni addietro, e che pure si è riversato nel modello pedagogico socialista, di cui la nostra scuola si è a lungo nutrita dopo la seconda guerra mondiale.

Ora, le legittime e in molti sensi necessarie evocazioni di una personalizzazione della didattica, assieme però ad alcuni elementi di singolarizzazione del percorso di studio, come – a titolo esemplificativo – l’esperienza della mobilità internazionale, i PCTO, i piani per gli studenti-atleta, le forme di flessibilità oraria, celebrate poi recentemente dall’istituzione del Curriculum dello studente e dall’e-portfolio (la cui introduzione è prevista per il prossimo anno scolastico), tendono palesemente ad alimentare un processo di sgretolamento del “collettivo”, esaltando la dimensione individualistico-competitiva.

Dunque le tesi dei decenni scorsi a supporto della didattica cooperativa, con tanto di valorizzazione del processo di interdipendenza positiva, non sembrano aver trovato sufficiente agibilità nel nostro sistema scolastico. Certamente tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, sia nell’istruzione che nel mondo del lavoro si è molto discusso di “conoscenza condivisa” e di interdipendenza positiva. Ma quale destino hanno avuto tali concetti nella ricaduta istituzionale della vita scolastica? Pur riconoscendo la validità dell’apprendimento collaborativo, non ci si è fatti sfuggire – col tempo – l’occasione di contaminarlo con logiche competitive, mediante l’idea di una sfida tra gruppi di lavoro. La stessa metodologia del debate, com’è noto, asseconda l’idea di un confronto che esplicita di fatto un modello di comunicazione che contrappone vincitori e perdenti.

Esiste tuttavia un’ulteriori ipotesi di lavoro didattico, che prova a conservare l’idea di un superamento del confine a volte asfissiante del collettivo-classe, riconoscendo dunque la legittimità della maturazione di passioni disciplinari del tutto personali e forti, valorizzandone il significato sociale. Ciò che non è indispensabile invece è la mediazione dell’evento concorsuale. L’ipotesi pedagogica che qui si vuole coltivare è quella della creazione di un contesto di condivisione di livello superiore all’attività di classe, che si completa in una prassi costruttiva di un nuovo “collettivo”, che si sovrappone – non si contrappone – a quello originario.

Per procedere in questa direzione, non è sufficiente parlare di didattica cooperativa o collaborativa, poiché anche l’antagonismo tra i team di lavoro ha in parte neutralizzato l’aspetto social-costruttivo di quella esperienza. Parleremo dunque di un’educazione alla condivisione, recuperando in fondo una delle migliori cifre del funzionamento della rete Internet: la possibilità – e dunque la valorizzazione in una chiave di acquisita abitudine cognitiva – di costruire sistemi superiori di condivisione culturale.

Nasce da qui l’idea del PHILO-FORUM: Giornata dedicata al dialogo filosofico nelle scuole, che ha visto nell’anno scolastico 2022-23 la sua prima edizione, presso il Liceo Scientifico Cavour di Roma, con la partecipazione di nove licei della capitale. L’intero percorso di questa prassi concreta si traduce nella costruzione di un evento convegnistico di argomento filosofico, in cui i relatori e discussori sono tutti studenti della scuola secondaria, mossi alla partecipazione da autentico e profondo interesse per la filosofia. Passando attraverso la produzione di un breve abstract, sulla base di un quesito elaborato da un comitato scientifico (composto da un docente di filosofia per ciascuno dei licei coinvolti), gli studenti hanno raccolto le idee e proposto una propria tesi originale, guadagnandosi così il diritto alla partecipazione. Un’attenta selezione di otto abstract tra quelli proposti, da parte dei docenti, ha poi definito un programma dell’evento, senza selezionare gli studenti più preparati, ma promuovendo la possibilità di affrontare il medesimo tema dal maggior numero possibile di prospettive. Nel corso di quella giornata, il 17 febbraio 2023, i lavori hanno consentito a oltre sessanta studenti provenienti da scuole diverse di incontrarsi e discutere insieme – senza competizione e senza alcun riconoscimento in termini di crediti o premi (perché solo se non si vince nulla, si vince tutto) – di un argomento filosofico complesso (il tema di quest’anno era: “Cosa è ‘vero’?”).

Mattina e pomeriggio hanno visto alternarsi otto relatrici e relatori con le proprie proposte tetiche, ma soprattutto – al di là di ogni ottimistica aspettativa – le domande, le osservazioni, le contro-tesi emerse dalla platea sono state numerose, a tratti incontenibili, sempre di spessore e qualità rimarchevoli, quasi commoventi, nel comporre lunghe file al microfono per prendere la parola e discutere di ontologia, gnoseologia, paradossi linguistici o criticità esistenziali.

Dunque è possibile, è reale, l’educazione alla condivisione. Resta aperto l’interrogativo sul suo potenziale contrasto o complementarità rispetto alla dimensione competitiva dell’apprendere. Ma qui il problema pedagogico diventa logico: se l’educazione alla condivisione respinge la dinamica dell’antagonismo, non si può che riconoscere, in misura variabile e in funzione della sensibilità di chi insegna, l’orizzonte di una convivenza pacifica con altre forme di progettazione didattica.

L’importante, però, è mostrare empiricamente agli studenti che esiste anche un altro modo di stare al mondo, che non si risolve nel prevalere o soccombere – quand’anche si affrontasse la competizione con sportività – ma nell’eroico furore della combinazione delle proprie forze con quelle altrui, in quella solidarietà umana che è più forte d’ogni primato individuale.

 

Foto Flickr | Bratislavská župa



Ti è piaciuto questo articolo?

Per continuare a offrirti contenuti di qualità MicroMega ha bisogno del tuo sostegno: DONA ORA.

Altri articoli di Carlo Scognamiglio

I possibili benefici dell'Intelligenza Artificiale sono incalcolabili, ma esiste il rischio che questa possa andare contro l’interesse della società umana.

Per i docenti formarsi è un lavoro, non un passatempo da confinare nel periodo di ferie.

“Storia della scuola italiana” mostra come l'esito degli sviluppi del nostro sistema formativo sia stato l’emancipazione sociale.

Altri articoli di Società

L’impatto sociale dell’Intelligenza artificiale non è paragonabile a quello avuto da altre grandi innovazioni tecnologiche.

"I ragazzi della Clarée", ultimo libro di Raphaël Krafft, ci racconta una rotta migratoria ancora poco indagata, almeno nei suoi aspetti più umani.

Il diritto all’oblio è sacrosanto, ma l’abuso che gli indagati per mafia ne è pericoloso.