El Salvador: Nayib Bukele rieletto Presidente della Repubblica

Nayib Bukele, conosciuto come il presidente influencer, è stato rieletto Presidente della Repubblica di El Salvador con l’85% dei voti, ottenendo 58 seggi su 60 in parlamento. Da outsider ha in pochi anni azzerato la concorrenza con i due partiti tradizionali del paese, che avevano avviato il processo di democratizzazione di El Salvador negli anni ‘90. Nonostante gli vada concesso di aver trasformato il paese in un luogo sicuro, organizzazioni come Human Right Watch e Amnesty International hanno documentato come questa politica securitaria venga portata avanti senza alcun rispetto dei diritti umani.

Simone Careddu

Nayib Bukele, Presidente di El Salvador, è un giovane di bell’aspetto, con barba curata e capelli impomatati portati all’indietro. Dai suoi profili social si autocelebra, per lo più con dei video che sembrano immergerti in un teaser di una serie Netflix d’azione, ad alto budget. Domenica 4 febbraio è stato eletto per la seconda volta consecutiva Capo dello Stato della piccola repubblica centroamericana con oltre l’85% dei voti. Si è autoproclamato vincitore senza attendere l’esito del Tribunal Supremo Electoral. La Costituzione salvadoregna gli proibiva di candidarsi di nuovo, ma la Corte Suprema, formata da giudici da lui stesso nominati, gli ha dato il via libera. Bukele ha vinto comodamente al primo turno contro un’opposizione pressoché inesistente, mentre il suo partito, Nuevas Ideas, ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento, ottenendo 58 seggi su 60. Lui stesso – davanti a un pubblico festante per celebrare la sua vittoria – ha dichiarato che El Salvador è “il primo Paese della storia ad avere un partito unico in democrazia, con una opposizione completamente polverizzata”.
Naiyb Bukele è uno dei leader del momento. Si potrebbe definire un populista influencer, con 6,2 milioni di follower su Instagram (Meloni ne ha 2,6) i cui video registrano centinaia di milioni di visualizzazioni. Grazie alla comunicazione social, quasi cinematografica, è riuscito a costruire il suo successo politico. Di origine palestinese, è figlo di Armando Bukele, un uomo d’affari che aveva un programma televisivo ed era a capo di una società di media che forniva consulenza al FMLN (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional), il partito della sinistra salvadoregna, dove il giovane Bukele ha iniziato la sua carriera e da cui, nel 2017, è stato espulso. Quell’anno il tribunale etico dell’organizzazione di ispirazione marxista ha deciso di espellerlo per “atti diffamatori” contro il partito, “mancanza di rispetto per i diritti delle donne”, oltre a “commenti denigratori” contro la dirigenza. La verità è che il giovane Bukele pensa in grande: nel 2012, all’età di 31 anni, è stato eletto Sindaco di Nuevo Cuscatlán, un comune di 7mila anime, a pochi km da San Salvador. Pochi anni dopo, nel 2015, è diventato il primo cittadino della capitale. In quegli anni si capisce che il giovane rampollo dell’élite salvadoregna vuole fare il passo più lungo della gamba. Ma il partito non glielo permette. Ci sono delle gerarchie da rispettare. Così lui decide di intraprendere una campagna denigratoria contro la leadership dell’FMLN che non può fare altro che accompagnarlo alla porta. Bukele non si arrende e crea un partito personalistico, a sua immagine e somiglianza, Nuevas Ideas. Alle elezioni presidenziali del 2019, tuttavia, non riesce a candidarsi con il suo partito, a causa delle tempistiche per la presentazione delle sigle al TSE, ma attraverso una stravagante alleanza con GANA, partito di estrema destra. Poco importa all’elettorato salvadoregno, perché il giovane Bukele riesce a conquistare la fiducia delle persone. E lo fa nonostante avesse i media tradizionali contro, utilizzando in maniera impeccabile i social. Si presenta come un messia, il giovane outsider, contro l’élite e, soprattutto, contro i due partiti tradizionali, FMLN e ARENA. Partiti che hanno firmato gli accordi di pace del 1992 e che hanno avviato il processo di democratizzazione del paese. Ma se in quel processo il popolo salvadoregno aveva riposto fiducia e speranza, i casi di corruzione, l’impoverimento economico e l’aumento della violenza hanno fatto sì che questo rapporto tra i due partiti principali e i cittadini si usurasse nel tempo. Ed è proprio in questo contesto di totale sfiducia che Bukele riesce ad avere la meglio. Da sapiente comunicatore è riuscito a trasformare le accuse di “dittatore” formulate a suo carico, in slogan per aumentare il suo consenso, tant’è che nella sua bio di Twitter (ora X) si è descritto come il “dittatore più cool del mondo mondiale”. Se si osserva la sua gestione autoritaria del potere si capisce che le accuse si poggiano su fondamenta ben solide. Questa attitudine da sceriffo, che spesso lo ha portato ad andare oltre il perimetro costituzionale delineato per un Presidente, è tipica del populista che tende a disarticolare pesi e contrappesi di una democrazia compiuta, così come il rispetto della separazione dei poteri. Un caso riconducibile a tale impostazione ci rimanda al 2020 quando Bukele, scortato da esercito e polizia, decide di entrare in Parlamento (dove non aveva la maggioranza), intimando i deputati a votare a favore dei finanziamenti per il suo plan de control territorial, il piano per arginare la violenza delle gang salvadoregne. Questo piano è il fulcro del suo programma politico che, in questi anni, tra luci e ombre ha portato avanti con risultati positivi. Il successo della guerra contro le maras è fuori discussione. El Salvador è uscito dalla lista dei paesi più violenti del mondo e non è più sotto scacco delle organizzazioni criminali, tra cui Mara Salvatrucha e Barrio 18. Le persone ora possono uscire per strada tranquillamente, senza il timore di essere sequestrate, derubate o uccise. Per questo i salvadoregni amano il loro Presidente, ma tale politica securitaria viene portata avanti senza alcun rispetto dei diritti umani, come più volte hanno denunciato  Human Right Watch e Amnesty International. Ragazzi trasportati nelle carceri semplicemente perché sospettati, e per i quali i contatti con familiari e avvocati sono resi difficili. Da dopo la dichiarazione dello stato di emergenza avvenuta nel 2022, sono stati arrestati più di 70mila salvadoregni e le immagini di detenuti, a petto nudo e in ginocchio, hanno fatto il giro del mondo. La mano dura è piaciuta al suo popolo ma anche a qualche suo vicino latinoamericano. “Quello che sta arrivando per El Salvador è un periodo di prosperità”, ha dichiarato lo scorso 4 febbraio. Difficile crederlo, ma molti della piccola repubblica centroamericano lo auspicano. Durante il primo governo, infatti, la povertà estrema è quasi raddoppiata, passando dal 4,5% all’8,5%, e l’inflazione alimentare ha raggiunto il 16%. Bukele dovrà far fronte ai problemi economici, perché, si sa, in questi casi da messia a demone il passo è breve.

 



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