Elena Cattaneo: “Legittimare l’esoterismo biodinamico è abnormità scientifica e aberrazione normativa”

Parla la senatrice a vita, unica a votare contro l’equiparazione tra agricoltura biologica e biodinamica: “La politica non si lasci abbagliare da ciarlatani e pseudoscienza”.

Silvano Fuso

Il 20 maggio, nella seduta n. 329 del Senato, che prevedeva la Discussione del disegno di legge (988) – “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”, Lei è stata l’unica a votare contro. Ci può spiegare sinteticamente perché?
Non sono mai stata una supporter di questa legge, per diversi motivi. Innanzitutto perché avrei preferito che il Parlamento discutesse di una legge sull’agricoltura tutta, che coinvolge le circa 500 mila imprese agricole italiane che garantiscono un bene primario e cioè cibo sano per tutti, e non su un’agricoltura di nicchia, destinata a consumatori benestanti, presentata ai cittadini per ciò che non è: è infatti scientificamente accertato e anche indicato nelle linee guida alla ristorazione del nostro Ministero della Salute, che la certificazione bio non è una garanzia di maggiore salubrità né di alcun significativo miglior apporto nutrizionale dei prodotti. In sintesi, si tratta di prodotti venduti a prezzi doppi o tripli rispetto a quelli privi di certificazione biologica, ma che non hanno nulla di più se non il prezzo.
Ho però deciso di concentrare la mia iniziativa in Aula, legandovi il mio orientamento di voto finale, su uno in particolare tra gli elementi critici della legge, che ritengo sia un’abnormità scientifica e un’aberrazione normativa, vale a dire il richiamo esplicito e il conseguente riconoscimento in via preferenziale ai rituali esoterici dell’agricoltura biodinamica. Una pratica agricola i cui disciplinari (definiti da una multinazionale privata) comprendono l’uso di preparati a base di letame infilato nel cavo di un corno di una vacca primipara, vesciche di cervo riempite di fiori di achillea ed altre amenità che, se non fossero scrupolosamente osservate, debitamente certificate e vendute a caro prezzo ai consumatori sotto specifico marchio, sarebbe naturale pensare come ingredienti di una pozione magica di una strega delle favole.

Oltre al Suo voto contrario, vi sono stati 195 voti favorevoli e un astenuto. Secondo Lei, i Senatori che hanno votato sì hanno un’idea chiara di che cosa sia l’agricoltura biodinamica?
Credo che tanti dei colleghi che hanno votato a favore della legge non fossero a conoscenza di cosa esattamente si intenda per prodotti “biodinamici”. Questo tipo di agricoltura è da molti percepita come “più naturale” di quella biologica, ecco perché ho pensato fosse utile leggere in Aula i disciplinari del biodinamico, senza risparmiare particolari. Già con Stamina abbiamo imparato – alcuni purtroppo sulla propria pelle – quanto la politica sia sensibile al consenso, alle reazioni “di pancia”, alla percezione dei cittadini anche se distorta, molto più che alla scienza e alle evidenze che questa mette a disposizione di tutti noi. Su Stamina, fu la Camera a correggere quanto approvato dal Senato, che rischiava di impattare sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale. Al termine di una indagine conoscitiva, l’allora Presidente della Commissione Sanità, la Senatrice Emilia de Biasi prematuramente scomparsa, ebbe l’onestà intellettuale di riconoscere l’abbaglio preso dal Parlamento nel legittimare quella che veniva spacciata come “cura” per bambini sofferenti, ma non era altro che una truffa. La legge sull’agricoltura biologica non ha ancora concluso il suo iter: spetta ora alla Camera decidere se consegnare questo lasciapassare al cornoletame nel nostro ordinamento. La considero una battaglia ancora aperta, soprattutto perché sono ormai decine gli interventi del mondo scientifico e imprenditoriale, dalle associazioni dei professionisti del settore agli imprenditori agricoli, dall’associazione italiana studenti di agraria ad alcune istituzioni pubbliche. Sono anche tante le richieste di chiarimento che in questi giorni sto ricevendo da rappresentanti di tutti gli schieramenti politici, ma anche da cittadini che scrivono al Parlamento, indignati di quanto è stato appena approvato.

Dal resoconto stenografico del Suo intervento al Senato, si apprende che durante le Sue dichiarazioni sugli aspetti “stregoneschi” dell’agricoltura biodinamica, ci sono stati applausi. Gli stessi Senatori che La hanno applaudita poi però hanno votato a favore del disegno di legge. Come se lo spiega? Dissonanza cognitiva, interessi personali o altro?
Il mio solo voto contrario ha sollevato molta curiosità e attenzione, anche da parte di chi, probabilmente, in condizioni diverse non si sarebbe mai interessato al tema. Ma, ripeto, la legge si inserisce in un contesto più ampio e complesso che disciplina un comparto che va oltre la biodinamica e che, evidentemente, mette quasi tutti d’accordo. Ho constatato però con piacere che i miei emendamenti hanno raccolto tra i 30 e i 40 voti favorevoli e i colleghi senatori che sono intervenuti per sostenerli hanno arricchito il dibattito con argomenti solidi. Inoltre chi mi ha espresso, in Aula e in privato, sostegno e solidarietà per questa battaglia, che non è certo mia, ma di tanti, si sta impegnando, mi dicono, per allertare i gruppi di Montecitorio.

Nei giorni seguenti il 20 maggio, su diverse testate, la Sua opposizione all’equiparazione tra agricoltura biologica e biodinamica ha trovato un discreto spazio. Non teme tuttavia che la sacrosanta stigmatizzazione dell’agricoltura biodinamica possa contribuire a sdoganare quella biologica?
Il testo originario della legge, così come approvato la prima volta dalla Camera, definiva, all’articolo 1, la produzione biologica come “attività di interesse nazionale”. Questo riferimento è stato opportunamente eliminato, grazie all’articolato lavoro della Commissione Agricoltura del Senato, che si è avvalsa dei pareri di molti esperti ascoltati in audizione, ma anche attraverso un lavoro costante compiuto da agronomi, studiosi, imprenditori che, fuori dalle istituzioni, hanno alimentato il dibattito pubblicando e fornendo al Parlamento dati ed evidenze. Tra questi il gruppo Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura (SETA).
Di questi miglioramenti ho dato pubblicamente atto al relatore. L’interesse nazionale, infatti, dovrebbe essere quello di assicurare lo sviluppo di una produzione agricola sostenibile, che non è affatto sinonimo di “biologico”, bensì è l’obiettivo della più moderna agricoltura integrata, quella che utilizza le migliori competenze e tecnologie disponibili – compreso, se del caso, il miglioramento genetico – per ottenere “di più con meno”. Oggi è possibile produrre più cibo, di qualità maggiore, utilizzando meno suolo, acqua e pesticidi e salvaguardando l’ambiente; il futuro sta nel mettere insieme le competenze necessarie per decidere, volta per volta, terreno per terreno, seme per seme, pianta per pianta la strategia migliore. Da anni mi batto, non da sola, affinché ci si possa liberare delle distinzioni dogmatiche “a priori” su prodotti e metodi e si assicuri ai cittadini un’informazione corretta. Perché ciò che davvero temo, al di là della legge, è che i cittadini continuino ad essere esposti, senza contraddittorio, a narrazioni “bucoliche” tanto suggestive quanto avulse dalla realtà. La scelta del cittadino-consumatore, per essere libera, deve essere consapevole. E fino ad oggi questa narrazione prevalente dell’agricoltura non è stata di certo in linea con le evidenze e i dati scientifici disponibili.

Come mai secondo Lei le pratiche ritenute “più naturali” godono di così ampia popolarità, pur non presentando alcun vantaggio ed essendo talvolta addirittura rischiose?
Come ho avuto modo di scrivere in passato, nell’immaginario comune, “biologico” è diventato sinonimo di “più sano”, “più sicuro”. In questo settore, complice una vasta operazione di marketing che ha contato anche su sponsor d’eccezione nelle istituzioni e nei media, i portatori d’interesse del settore hanno costruito quella che io definisco la “favola bella e impossibile” del bio, al fine di connotarlo di per sé come etichetta di eccellenza. In realtà quell’etichetta serve a certificare il rispetto di una serie di procedure, che però non servono a garantire qualità nutrizionali migliori nel prodotto finale. Tra l’altro non tutti sanno che quelle stesse procedure prevedono deroghe, in caso di necessità, anche nell’uso di agrofarmaci solitamente proibiti dai disciplinari biologici. Il prodotto ottenuto da tecniche agricole biologiche, dicono le analisi, è pressoché indistinguibile da uno “non bio”.

In Italia purtroppo non è la prima volta che le istituzioni approvano provvedimenti palesemente antiscientifici. Gilberto Corbellini ha scritto in proposito un libro dal titolo significativo “Nel paese della pseudoscienza”. Secondo Lei quali sono le cause? Può ancora reggere il discorso della tradizione crociana e gentiliana della cultura italiana o, secondo Lei, ci sono altri motivi?
Sicuramente – come ho avuto modo di osservare in passato – in Italia esiste dai tempi di Croce e Gentile un orientamento che sminuisce il peso culturale della scienza, sul piano conoscitivo e soprattutto come impresa che incarna valori etici forti. Queste filosofie hanno ispirato scelte educative e politiche che non hanno mai aiutato il Paese ad agganciarsi stabilmente alle economie della conoscenza cresciute dal secondo dopoguerra, prima nei paesi di tradizione anglosassone e protestante e poi nel mondo asiatico. Ecco, forse, questa è l’origine dei tanti inciampi del fronte politico italiano su temi che proprio non mastica e circa i quali (spesso) ha rinunciato a ricercare le prove, o lo ha fatto solo dopo, a latte versato. E, ancora, in questi anni mi è capito di osservare l’uso assolutamente strumentale e politico della scienza e della ricerca: ci si fa un’idea secondo una determinata credenza o sentimento o posizionamento politico e poi si vanno a cercare elementi per puntellarla, magari persino producendo e propagandando dati falsati o alterati, in alcuni casi creando movimenti di opinione “adulterati” al fine di propagare informazioni ingannevoli e notizie in grado di influenzare le scelte politiche nazionali. Queste modalità (agli antipodi del metodo scientifico), unite alla ritrosia della comunità scientifica nel rivendicare il proprio ruolo pubblico, credo siano una delle cause principali che da decenni depauperano la crescita culturale e la consapevolezza sociale di tutti noi, e compromettono la possibilità di rilanciare l’economia puntando su ricerca e innovazione a trecentosessanta gradi, coinvolgendo i cittadini.

Cosa si può fare in concreto affinché il nostro paese diventi un po’ meno pseudoscientifico?
Osservando il Parlamento dalla mia peculiare posizione di scienziata attiva, oltre che senatrice a vita, mi sono accorta quanto talvolta possa essere ampia la distanza che divide le decisioni pubbliche dalle evidenze scientifiche e quanto urgente sia la necessità di mostrare e rendere comprensibili le conquiste della scienza a tutti. Una divulgazione chiara e accessibile della realtà della ricerca scientifica è necessaria a sviluppare una “immunità sociale” contro false notizie, ciarlatani e pseudoscienze che inquinano il dibattito pubblico e a volte inficiano la bontà delle decisioni politiche. Alcuni bravissimi colleghi studiosi sono da sempre impegnati su questo fronte. In questi anni ho spesso esortato altri, anche giovani membri della comunità scientifica, a farsi avanti, a rivolgersi alla politica chiedendo a gran voce una correzione di rotta quando questa si lascia abbagliare dalla pseudoscienza assecondando narrazioni mendaci, spesso legate al marketing di piccole lobby e non al bene del Paese, per facili consensi e interessi immediati.

Ma cosa dovrebbe fare, allora, lo studioso?
Sono fermamente convinta che il ruolo dello scienziato vada oltre il laboratorio e comprenda un ruolo sociale molto importante, che va coltivato ogni giorno e che consiste nell’offrire dati ed evidenze come base per le decisioni che riguardano la comunità, nell’interesse e per il benessere di tutti. Quando questi dati vengono sistematicamente ignorati o manipolati, lo scienziato deve essere in prima linea per denunciarlo, anche se risulta essere l’unica voce “fuori dal coro”. Lo spazio pubblico va presidiato dalla scienza, altrimenti rischiamo di lasciare campo libero ai ciarlatani che, purtroppo, sono ben più bravi degli studiosi a comunicare e convincere.

La Sua opposizione in Senato di fatto non ha dato risultati…
A volte, per far scoppiare una rana che si gonfia basta uno spillo. Il fatto che si sia scatenato un dibattito nel Paese, a seguito del quale non si può considerare automatico che la Camera ratifichi il testo approvato dal Senato, è già un buon risultato. Se anche questo disvelamento della natura del biodinamico fosse servito a una minima parte dei cittadini per dare il corretto peso e significato alle proprietà decantate nelle etichette di vini o altri prodotti biodinamici, spogliando questi ultimi dell’alone di “buono e bello” a priori, frutto di un attento marketing e milieu culturale, beh, possiamo dire che ne sarebbe valsa la pena.

Non crede che tutti coloro che confidano nella scienza e nella ragione dovrebbero far rete, unire le forze? Che strategie si potrebbero impiegare?
Ovviamente l’obiettivo rimane quello di evitare che il biodinamico – con le sue pratiche esoteriche che ne rappresentano i caratteri fondativi e distintivi – trovi un esplicito riconoscimento nella normativa italiana. Voglio sottolineare ancora una volta che le tre menzioni esplicite (articoli 1, 5 e 8) nella legge appena approvata dal Senato servono a dare legittimità all’agricoltura biodinamica “in quanto tale” e ad equipararla al biologico “ai fini della presente legge”. Soprattutto, all’articolo 5 si prevede che le associazioni dell’agricoltura biodinamica abbiano diritto a un proprio rappresentante presso il tavolo tecnico sul biologico del Ministero dell’Agricoltura. Ritengo molto pericoloso stabilire che il terrapiattismo agricolo, in quanto tale, debba godere di una rappresentanza specifica ad un tavolo tecnico dove già sono presenti i delegati delle associazioni dell’agricoltura biologica. È il riconoscimento ufficiale dell’esoterismo biodinamico: non più sottocategoria dell’agricoltura biologica, ma una categoria a sé con interessi propri e autonomi “da difendere” presso il Ministero. Una parificazione che apre la porta alla possibilità di accedere in via preferenziale ad alcune misure economiche di vantaggio e di promozione previste dalla legge sul biologico. Risorse pubbliche che andranno a finanziare ricerca e formazione (comprese tra “i fini della presente legge”) su corni di vacca primipara, vesciche di cervo piene di achillea, posizioni propizie dei pianeti.
È per questo che la comunità degli studiosi e le società scientifiche del settore devono farsi forza del dibattito aperto e alimentarlo ogni giorno, con dati e documenti, rivolgendosi tanto ai cittadini quanto ai decisori politici. È una questione troppo importante per tirarsi indietro: riconoscere oggi per legge il pensiero magico significa dare dignità ad idee che si rapportano alla realtà quanto gli oroscopi o le teorie sulla Terra piatta. Permetterlo significa inquinare il dibattito pubblico e minare ogni possibile base comune di ragionamento basato sulla realtà documentata e documentabile.

In generale, come si può far sentire la propria voce di fronte a quella che appare una dilagante irrazionalità?
Anche qualora la “battaglia” sul biodinamico si perda sul fronte legislativo – ma io spero che il Parlamento si corregga, ora che è stato messo a conoscenza degli effetti di quel che andrebbe ad approvare, come fece anche con Stamina – è necessario un impegno più grande e di ampio respiro: far sì che in cittadini e istituzioni si confermi la percezione dell’importanza della scienza anche oltre l’emergenza della pandemia. Questa è la sfida cui siamo chiamati oggi. Dobbiamo farci trovare “Armati di scienza” [titolo del nuovo libro della Prof.ssa Cattaneo uscito il 27 maggio scorso per i tipi di Cortina Editore – NdR], intesa come metodo scientifico per conoscere il mondo, per aspirare a un cambio di prospettiva. È fondamentale capire quali sono gli elementi e le cause che impediscono alla conoscenza, ai fatti, alle evidenze di affermarsi presso cittadini e istituzioni, e rimuovere questi ostacoli, in modo che le conoscenze scientifiche possano diventare la base condivisa di politiche pubbliche informate e responsabili. La scienza non è tutta la verità, né vuole esserlo, è semplicemente il più portentoso strumento che abbiamo a disposizione per affrontare il futuro.

(foto ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

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