Quell’antitesi inesistente tra Letta e Meloni

Tra Enrico Letta e Georgia Meloni, chi dei due è “nuovo”? Nessuno. Entrambi sono legati dal cordone ombelicale ad un passato che non passa.

Michele Martelli

«O noi o Meloni», parola di Enrico Letta, ex giovane dc allievo del fu ministro Andreatta apripista del neoliberismo in Italia, ex prodiano, ex margheritino, ex europarlamentare, ex premier, ex professore di scienze politiche a Parigi, quasi ex tutto, inopinatamente catapultato alla segreteria del Pd di cui non era tesserato da sette anni. E Giorgia Meloni? Da sempre ammiratrice del repubblichino Giorgio Almirante, di cui, nomen omen, ha ereditato il nome di battesimo, ex militante finiana del Msi-Dn, poi di An, ex ministra della Gioventù del IV governo Berlusconi (votò in Parlamento per Ruby Rubacuori nipote di Mubarak), deputata per 4 legislature, dal 2014 presidente di FdI.

Chi dei due è il nuovo? Nessuno, ambedue legati dal cordone ombelicale ad un passato che non passa. In mano a Letta o Meloni, l’Italia sarebbe governata dal deja vu, dagli ex, spesso ex di quasi tutto, come provato da alcuni candidati ministri e nomi in lista: Casini, Franceschini, Cottarelli, Di Maio da una parte, Tremonti, Giorgetti, Bossi e il Caimano dall’altra. E poi perché l’antitesi bipolare Letta-Meloni? Non è una stortura propagandistica per suggerire un improponibile «voto utile»? Non due sono i «poli» in campo, ma quattro, anzi cinque, per chi vuole e sa contare, e di cui, stando ai sondaggi, i 5s sono il «terzo polo» e Azione-Iv il quarto, e non viceversa, come perlopiù declamano tv e stampa, di fatto falsificando le carte in tavola.

E poi, l’antitesi rimanda almeno ad un diverso e inconciliabile programma economico-sociale? Mi pare di no. A saldo della propaganda elettorale per gonzi (il milione di posti di lavoro, rinverditi dal milione di nuovi alberi), il programma neoliberista (l’«Agenda Draghi»), con alcune differenze marginali è comune ad entrambi gli schieramenti: «Sì» incondizionato al mercato, alla Confindustria, alle élites capitalistico-finanziarie europee e globali; il «No», dichiarato o camuffato, al Rdc e al salario minimo ne è la controprova. Semmai, qui la differenza non è tra Letta e Meloni, ma tra loro, compreso il duo cabarettistico Calenda-Renzi, da un lato, e dall’altro Conte, i cui famosi 9 punti non sono certo sgraditi a De Magistris, che non a caso ai 5s aveva proposto, ma inascoltato, un accordo elettorale. E comunque, data la gravità della crisi energetica e dei consumi, se il Cd vorrà governare, dovrà sottoporsi volente o nolente ai diktat di Madame Lagarde, della Bce, e a quelli del Fmi. Altrimenti, il dio spread li (e ci) metterà in ginocchio. Grecia docet.

E le loro rispettive posizioni sulla guerra in Ucraina? Lo schema binario lettiano «O con Putin o con l’Europa» è irricevibile, sia perché l’intero Cd è oggi, come i centristi Letta Calenda Renzi, contro Putin, per l’invio di armi a Zelensky e per il riarmo dell’Italia e dell’Europa, sia perché professa oggi apertamente (e Meloni più di tutti) la sua fede filo-euroatlantista, cioè filo-Usa, cioè bellicista. Tutti per l’escalation militare, ad ogni costo, inanimati megafoni di Biden e Zelenski, per i quali dissennatamente la salvezza dell’Ucraina e dell’Impero val la fine atomica del mondo, quindi anche dell’Ucraina e dell’Impero. L’Ue, la cui attiva e lungimirante mediazione poteva prima evitare la guerra, e poi ottenere ancora la possibile pacificazione sulla base di un’Ucraina indipendente e neutrale, ha scelto invece sadomasochisticamente la cobelligeranza con Biden e Zelenski, con una raffica di sanzioni economiche antirusse. E ora si inalbera per le contro-sanzioni di Putin, tra cui la riduzione fino alla prevedibile cessazione della fornitura del gas, da cui continua a dipendere l’economia e il benessere europeo. E che si aspettava, baci e abbracci?

L’antitesi Meloni-Letta vale infine se interpretata in chiave fascismo-antifascismo, ovvero tra chi attacca da destra e chi difende da sinistra la Costituzione antifascista? Varrebbe se Letta e il Pd difendessero davvero la Costituzione. Dopo il tentativo fallito del Cd caimanizzato di stravolgerla, nel 2006, ci fu nel 2016 quello di Renzi, il quale tuttora fa eco a SoyGiorgia con il richiamo al «Sindaco d’Italia». Lo stesso premier Letta «stai sereno» aveva tentato nel 2013 di por mano ad una riforma in tal senso. Ergo, quale antitesi? Forse sì, una differenza c’è: il polo lettiano è per i diritti civili (ius scholae, ius soli, Lgbt, ecc.), mentre quello di Cd è ostile. Ma la Costituzione prevede innanzitutto, dal suo primo articolo, i diritti sociali, senza dei quali i primi sono o vuoti o validi soltanto per i benestanti delle note Ztl. Una Costituzione dimezzata è una Costituzione tradita!

Il ventilato presidenzialismo di Meloni Salvini Berlusconi, – che è l’estremo frutto avvelenato di una lunga storia itali(di)ota, che comincia negli anni Novanta con Craxi e Segni, e a cui non fu estraneo né l’Occhetto ex comunista del Pds, fautore dell’«elezione diretta del premier», né il D’Alema inciucista della Bicamerale – forse non sarà imposto formalmente dal Cd, pur con i supposti 2/3 di voti. Troppo complicato l’iter istituzionale tra agognati «pieni poteri» da mojto (a chi? al Presidente della Repubblica o del Consiglio) e resa dei conti col Parlamento e l’opposizione, con la Magistratura e le Forze armate, con i Sindacati e la società civile, con la libertà d’espressione e organizzazione, ossia con la noiosa pelosa questione della «divisione o equilibrio dei poteri» e del pluralismo democratico. Meglio un presidenzialismo di fatto, sulla strada già tracciata da Berlusconi, anzi da Craxi a Draghi, che, ancor più oggi col pretesto dell’emergenza, metta definitivamente ai margini le legittime funzioni e cariche costituzionali. Un malaugurato esito che, se ci sarà, sarà infine anche storico altisonante (de)merito della demenziale campagna elettorale dello pseudo-stratega Letta, che ad un possibile vincente «campo largo» anti-destre, dal Pd ai 5s a De Magistris (Prodi non si alleò per due volte con Bertinotti?), ha preferito le forche caudine di Pd-Verdi-Su.

 



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