Elezioni a Taiwan: riconfermato il Partito progressista democratico

Alle elezioni presidenziali, Taiwan ha appena eletto, con oltre il 40% dei voti, William Lai Ching-te, “un pericoloso indipendentista” a detta della Cina. Cerchiamo di capire che cosa accadrà d’ora in poi nello Stretto di Formosa e, da lì, nel mondo con Guido Alberto Casanova, oggi ricercatore presso l’ISPI di Milano.

Roberto Rosano

Dottor Casanova, queste elezioni erano sotto i riflettori mondiali per le possibili conseguenze che potrebbero avere nei rapporti tra l’isola di Taiwan e la Cina continentale. Cosa accadrà d’ora innanzi?
Credo che dopo il voto di sabato gli equilibri in Asia orientale e in particolare nello stretto di Taiwan rimarranno fondamentalmente stabili. Ovviamente il fatto che il DPP mantenga il controllo della presidenza (pur perdendo quello del parlamento) collide con gli interessi di Pechino, che avrebbe preferito un risultato differente e che nei giorni antecedenti al voto aveva esortato i taiwanesi a fare la “scelta corretta”. Il presidente eletto Lai Ching-te si posiziona nel segno della continuità rispetto all’attuale presidente TsaiIng-wen e ne proseguirà la politica estera, stringendo ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti e investendo sulle capacità di auto-difesa. Lai si è detto anche disponibile a parlare col governo di Pechino, il quale però non è affatto intenzionato a riprendere il dialogo interrotto ormai ben 8 anni fa subito dopo l’elezione di Tsai. Ciò che invece è probabile che succeda è che la pressione (politica, diplomatica, militare ed economica) nei confronti dell’isola continui sulla falsariga di quanto avvenuto in questi ultimi anni. Per altri sviluppi però dovremo aspettare le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che si terranno a novembre di quest’anno, e che si preannunciano molto imprevedibili.

Abbiamo assistito ad una novità: non più uno scontro a due tra lo storico partito nazionalista del Kuomintang ed il Partito Progressista Democratico (al potere da 8 anni), ma a tre.
Lo spettro politico taiwanese è tradizionalmente diviso tra il centro-destra a guida KMT e il centro-sinistra del DPP. Il sistema partitico si è strutturato sulla base di due questioni chiave per i cittadini di Taiwan: l’identità nazionale in cui si rispecchiano (cinese o taiwanese) e quali rapporti debba avere l’isola con la Cina continentale. Il KMT è storicamente l’interprete politico di tutti coloro che rivendicano la propria “cinesità” ed il suo atteggiamento rispetto alla Repubblica Popolare è a favore del dialogo e del rafforzamento dei rapporti attraverso lo stretto. Il DPP invece è il partito del nazionalismo taiwanese: profondamente scettico verso Pechino che rivendica la propria sovranità su Taiwan, ritiene che l’isola sia un paese indipendente rispetto alla Cina continentale. La presenza alle elezioni di Ko Wen-je, del TPP, ha riportato un elemento di novità dopo molti anni nel panorama politico taiwanese: il candidato arrivato terzo alle elezioni presidenziali nasce circa un decennio fa come politico vicino al DPP ma poi col tempo si è spostato su posizioni sempre più vicine a quelle del KMT, coltivando un’immagine di pragmatismo e rifiutando di mostrarsi aprioristicamente ostile verso Pechino.

Che cosa ha favorito secondo Lei la vittoria di Lai Ching-te?
Lai Ching-te, il nuovo presidente eletto nonché attuale vice presidente, è ritenuto più radicale di TsaiIng-wen nella convinzione che l’isola debba perseguire l’indipendenza formale dalla Cina, tanto che una volta si è definito egli stesso un “lavoratore per l’indipendenza di Taiwan”. Tuttavia negli ultimi anni Lai si è spostato su posizioni più moderate in modo tale da accreditarsi come successore credibile di Tsai, quindi sicuramente da un certo punto di vista ha potuto attirare verso di sé quegli elettori che valutano positivamente i risultati raggiunti dalla presidente. Eppure, ottenendo solo 5,59 milioni di preferenze pari al 40% del totale, sia in termini di voti assoluti che percentuali la prestazione di Lai è peggiore di quella di Tsai in entrambe le elezioni vinte nel 2016 e nel 2020.

C’è un margine per dire che un fattore determinante di questo risultato elettorale sia stata la divisione dell’opposizione?
Sì, KMT e TPP, pur avendo provato a presentare una candidatura congiunta per le presidenziali, alla fine hanno deciso di correre separatamente dividendo così il voto degli elettori ostili al DPP. Questa dinamica, in un sistema a turno unico, ha quindi sfavorito l’opposizione.

A queste elezioni avrebbe dovuto partecipare anche il miliardario Terry Gou, fondatore di Foxconn, l’azienda principale fornitrice di Apple, ma questi si è ritirato a fine novembre a seguito della rottura dei colloqui tra le opposizioni per la formazione di un fronte comune contro il partito attualmente al potere … Il suo ritiro che impatto ha avuto?
Non definirei il ritiro di Terry Gou un momento fondamentale nella campagna elettorale. Secondo i sondaggi disponibili, il tycoon di Foxconn non è mai davvero stato un contendente competitivo nella corsa alla presidenza, ma per contro una sua possibile candidatura avrebbe contribuito a dividere il voto anti-DPP. Gou ha cercato di sfruttare questa posizione per essere incluso nelle discussioni sulla candidatura congiunta dell’opposizione ma, quando l’accordo tra Ko e il candidato del KMT Hou Yu-ih è sfumato ed è apparso evidente che ognuno avrebbe corso per sé, Gou ha deciso di ritirarsi dalla corsa presidenziale ed è probabile che i suoi elettori siano confluiti verso il KMT. Ma appunto, il passaggio chiave qui per capire la vittoria di Lai è ancora una volta la disunità dell’opposizione, non il ritiro di Gou.

Cosa vogliono i taiwanesi o, meglio, cosa hanno dimostrato di volere con queste elezioni?
Quest’anno l’importanza della Cina nel dibattito elettorale è stata molto meno saliente di quattro anni fa, quando le immagini delle proteste a Hong Kong erano ancora fresche nella mente degli elettori taiwanesi e avevano trascinato una forte affluenza al voto. Certo, in campagna elettorale i principali candidati alla presidenza hanno spesso fatto ricorso a una retorica che opponeva la democrazia (taiwanese, preservata dal DPP) all’autoritarismo(cinese, con cui il KMT si sarebbe compromesso), o la pace (assicurata dal KMT) alla guerra (rischiata dal DPP).

Ma i temi principali su cui si sono confrontati i tre candidati erano tutti economici o comunque di carattere interno?
Sì, il ristagno dei salari reali (aumentati solo dell’1% in un decennio), l’aumento dei prezzi nel settore immobiliare, la percezione di un costo della vita in crescita, la politica energetica e l’assistenza sociale per un paese in profonda crisi demografica. Nei prossimi quattro anni, l’operato del presidente eletto Lai è probabile che possa essere misurato dai taiwanesi su questi temi piuttosto che su altri. A meno di nuove crisi nello stretto o di nuove dimostrazioni di forza da parte della Cina particolarmente preoccupanti.

Ogni elezione ha vincitori diretti e collaterali? Quali sono in questo caso?
Sul piano interno ci sono due vincitori: uno a livello politico e l’altro a livello sociale. Nonostante il suo leader sia arrivando terzo alle presidenziali con un discreto 26,5% dei voti, il partito di Ko Wen-je ha ottenuto un buon risultato nelle elezioni legislative che gli hanno consentito di rafforzare la propria presenza in parlamento e guadagnarsi così un ruolo politico cruciale per i prossimi quattro anni. Con 8 seggi sui 113, il TPP sarà infatti l’ago della bilancia dal momento che né il KMT (che ha conquistato 52 seggi) né il DPP (che ne ha ottenuti 51) hanno individualmente i numeri per poter dominare l’attività legislativa. Per approvare un qualsiasi provvedimento in parlamento, il TPP sarà quindi imprescindibile. Sulla scorta di questa posizione privilegiata del partito di Ko, a livello sociale il vincitore collaterale è la gioventù taiwanese che ha votato massicciamente per il partito percepito come più disallineato rispetto all’establishment politico.

Per mantenere la sua posizione centrale in parlamento dunque, il TPP avrà tutto l’incentivo a consolidare ed espandere questa base elettorale …
Certo, ed è quindi probabile che nei prossimi anni Ko si faccia portavoce delle giovani generazioni e che propugni un’agenda politica volta appunto a sostenere questa fascia demografica.

Dal punto di vista internazionale invece?
A vincere è sicuramente l’Occidente democratico con in testa gli Stati Uniti, che durante questi anni di presidenza Tsai hanno stretto notevolmente i rapporti con Taiwan. Questa vittoria collaterale però non va sovrastimata, poiché il rafforzamento dei rapporti con Washington era una priorità anche per il candidato del KMT. A perdere però è soprattutto la Cina, che sperava in un riavvicinamento e nella riapertura del dialogo con Taiwan: uno scenario che però era ipotizzabile solo in caso di sconfitta del DPP.

CREDITI FOTO: ANSA / DANIEL CENG



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