Dopo l’accordo Letta-Calenda: perché la destra non stravinca

Un accordo “indispensabile” perché il centrosinistra possa giocarsi la partita elettorale con la destra. E non solo per una questione di collegi.

Mauro Barberis

L’accordo Letta-Calenda era indispensabile perché il centrosinistra potesse giocarsi la partita elettorale con la destra: e non solo per una banale questione di collegi. Prima ancora, l’accordo era necessario per mostrare che l’altra coalizione, quella trainata Giorgia Meloni, non ha più nulla del centrodestra berlusconiano: è un’alleanza di destra-destra, opposta, appunto, a un’alleanza di centro-sinistra. Fatta chiarezza su questo punto, dal quale ognuno può trarre le conseguenze che crede, va ancora detto che la destra resta in netto vantaggio: ben più dei dieci punti che i sondaggi le attribuiscono.

Vero, il paese è sempre spaccato esattamente a metà, come una mela. Perché, allora, i sondaggi non sono cinquanta/cinquanta, ma danno un vantaggio di dieci punti alla destra? Perché le due metà della mela non sono simmetriche, non lo sono mai state. La metà di destra è imbaldanzita dalla possibilità di un successo storico, di proporzioni abbastanza ampie da poter rinegoziare i rapporti con l’Europa, cambiare la Costituzione in senso presidenzialista, federalista o entrambi, ed eleggere quattro dei componenti della Corte costituzionale in scadenza. Un’autentica rivoluzione: altro che l’agenda Draghi.

La metà di centro-sinistra è di tutt’altro umore, divisa fra le prospettive massimaliste di molti e la dura realtà. Le elezioni, ormai, si giocano su chi riesce a mobilitare il proprio elettorale, riducendo al minimo l’astensione, ma la campagna elettorale, per il centro-sinistra, è partita malissimo, come se l’unico problema fossero le alleanze. Soprattutto, mentre la destra ha capi sin troppo chiari, istinti gregari più sviluppati, e un’atavica fame di rivincita, il centro-sinistra no: anzi, tutto il contrario. Basta fare un giretto sui social per accorgersene: più la situazione elettorale peggiora, più la puzza sotto il naso aumenta.

Non a caso l’accordo fra Letta e Calenda s’è concluso con un compromesso: nei collegi uninominali, dove si vota un nome secco, la coalizione non presenterà candidati “divisivi”. Ma non per i vari Bonelli e Fratoianni, sin d’ora decisi a rimettere tutto in discussione. Piuttosto, lo immaginate un elettore di sinistra che si trova nella scheda il nome di Maria Stella Gelmini, l’ultimo acquisto di Calenda, che anche i miei colleghi universitari più moderati considerano la peggiore ministra dell’Università della storia repubblicana?

Se poi vogliamo darci definitivamente la zappa sui piedi, facciamo questo semplice esperimento mentale. Mettiamoci nei passi di un elettore standard, né di destra né di sinistra – ma non di centro, per carità: che fine ha fatto il centro? – che non legga giornali dal secolo scorso e guardi i telegiornali giusto per le previsioni del tempo. Gli si presentano tre alternative: votare per il solito centro-sinistra rissoso; votare per una destra schierata a falange macedone; starsene a casa. Non dovrei dirlo ma, a questo punto, andrebbe già bene se stesse a casa.

Molti opinion-maker di centro-sinistra, a questo punto, si sono già rassegnati, e si accontentano che la destra non stravinca. In questo generale clima di cupio dissolvi, non mi sento neppure troppo originale a fare la seguente proposta. Se proprio dobbiamo perdere, noi dell’altra metà della mela, almeno giochiamocela sino in fondo: ogni voto in più, ad esempio, allontana lo stravolgimento della costituzione. In democrazia, si sa, vince la maggioranza, ma in questo paese non esiste solo la maggioranza di destra dei sondaggi. C’è anche, nella società, una maggioranza di centrosinistra: basta che si liberi della puzza sotto il naso.



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