Astenersi è legittimo. Ma è anche giusto?

A ridosso del voto è importante sottolineare l’importanza dell’articolo 48 della nostra Costituzione. Un articolo che ci pone davanti a un dovere civico. Votare.

Teresa Simeone

Ogni volta che si parla di Costituzione si incorre nelle risatine malcelate di coloro che non possono deriderla ufficialmente, pur volendolo ardentemente farlo, o negli sbuffi scocciati di chi è ormai cinicamente insofferente ai suoi valori e non sopporta più nemmeno di sentirla nominare. Noi, però, continuiamo pedantemente, tenacemente, ineludibilmente a farvi riferimento, anche perché nel magma fluido e caotico dell’attuale politica, con il tentativo dei vari partiti di presentarsi tutti come i suoi custodi, alcuni dei quali, in verità, custodi molto superficiali, rimane l’unico documento in cui certi valori sono fissati in modo chiaro, netto, privo di ambiguità. E allora, ricordiamolo qualche articolo che definisce il nostro essere cittadini, in particolare quell’articolo 48 che al primo e al secondo comma recita: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”

Il primo comma stabilisce che siamo tutti elettori, che a nessuno può essere impedito di votare, che non ci sono più distinzioni di censo, di sesso, di livello di istruzione. Se pensiamo che fino al 1912 vigeva il suffragio su base censitaria e per coloro che sapessero almeno leggere e scrivere, che fu salutato quindi come un grosso avvenimento quello introdotto da Giolitti, nonostante escludesse ancora le donne, i nullatenenti, gli analfabeti fino ai 30 anni e che si dovrà aspettare il 1946 perché sia applicato uno veramente universale, risulta davvero incomprensibile come molte persone non ne colgano la valenza democratica e fondante la propria condizione di soggetti liberi.

Il suo esercizio è un dovere, un dovere civico, il che sta a indicare che non è un obbligo sanzionabile ma non per questo meno cogente sul piano civile. Ci fu un lungo dibattito nel seno all’Assemblea costituente sull’opportunità di considerarlo un obbligo giuridico o un dovere morale. Prevalse l’espressione “dovere civico”, meno rigida e perentoria. È anche un diritto, ma lo è, rispondono in coro gli astensionisti, anche il non voto, nel senso che è assolutamente legittimo non recarsi alle urne. E hanno perfettamente ragione, sul piano istituzionale. Ma su quello morale e civile? Cosa comporta non andare a votare e non andarci in questo particolare contesto storico? È soprattutto alla gente di sinistra, quella più critica e scettica, che bisogna chiederlo. Sanno bene che se non si recheranno alle urne contribuiranno a far vincere la coalizione di destra, di una destra che, per quanto voglia mostrarsi moderata, è lontana anni luce dalle posizioni di eguaglianza, diritti civili, europeismo, contrasto ai cambiamenti climatici che sono i principi cari alla sinistra. Una sinistra, di cui, nelle sue espressioni partitiche, non si nascondono gli errori politici, che a volte si è piegata a logiche non del tutto rispettose degli ultimi, che ha voluto governare quando sarebbe stato meglio essere all’opposizione, ma che rimane sempre l’unico argine allo stravolgimento costituzionale che potrebbe configurarsi se vincesse una coalizione in grado numericamente di modificare senza alcun ricorso al referendum la nostra Repubblica.

Non si vuole certo evitare di considerare le cause dell’astensionismo che esprimono di fondo una generale sfiducia nei confronti dei partiti e delle istituzioni dovuta al cedimento a pratiche chiaramente disoneste, emerse soprattutto dopo Tangentopoli, proseguite nella Seconda Repubblica e oltre; all’ignoranza dilagante in Parlamento che ha fatto dell’incompetenza politica un valore (un valore, incredibile a dirsi!); alla somiglianza tra proposte e idee dei vari schieramenti che induce una sostanziale indifferenza alla vittoria dell’uno o dell’altro, in termini di ricaduta sulla vita della maggior parte delle persone. Le ragioni per non andare a votare ci sono e sono forti.

Votare rimane, però, l’unico modo per partecipare concretamente alla vita politica del proprio paese. Non farlo significa lasciare la scelta agli altri, consentire che leggi contro l’omofobia, ad esempio, non siano proprio contemplabili, correre il rischio che la legge 194 sia di fatto svuotata con il rafforzamento del fronte antiabortista, che i figli di immigrati che frequentano le nostre scuole non abbiano rappresentanze che ne difendano i diritti e ne abbrevino l’iter per ottenere la cittadinanza, che l’apertura a paesi UE, in cui tali principi progressisti sono di fatto negati quotidianamente, e l’alleanza con altri, in cui i fronti conservatori possano diventare vincenti, risultino il nuovo orizzonte internazionale nel quale collocarsi.

Spero che dopo la nostra vittoria accada lo stesso in Spagna”, ha dichiarato Giorgia Meloni in un’intervista all’agenzia EFE, aprendo di fatto a VOX, il partito di estrema destra spagnolo. È un partito le cui istanze sono “il contrasto alle politiche di genere “asimmetriche” e “all’agenda climatica” occidentale, le dure prese di posizione in materia migratoria, l’appoggio a correnti anti-aborto e anti-eutanasia, il sostegno a misure fiscali ultra-liberali e a beneficio “delle famiglie numerose”, la promozione di tradizioni taurine come le corride[1] e nella cui leadership, oltre al presidente Santiago Abascal, di cui sono note le stesse posizioni ultranazionaliste, conservatrici, antislamiste, antifemministe e climatoscettiche, c’è Jorge Buxadé, oggi molto vicino a Meloni, legato in passato alla Falange Spagnola delle Jons, di chiara ispirazione filo-franchista.

D’altronde anche il voto di FdI e della Lega al rapporto del Parlamento europeo che denuncia in Ungheria lo «smantellamento sistemico dello Stato di diritto» e definisce “autocrazia elettorale” il regime di Orban, cioè un sistema costituzionale in cui si svolgono elezioni ma dove manca il rispetto di norme e standard democratici, conferma posizioni ambigue su governi illiberali e autoritari come quello ungherese. Non dimentichiamo che in Ungheria i diritti civili, quelli dei migranti, quelli degli omosessuali sono puntualmente violati, senza parlare di quelli delle donne, costrette, se vogliono abortire, ad ascoltare il battito cardiaco fetale. Allo stesso modo le dichiarazioni a El Pais di Salvini sul ripristino dei decreti sicurezza e dei divieti per le navi delle ONG di “entrare nelle acque internazionali”, nonché l’incredibile riferimento di Meloni al blocco navale, denunciano esattamente che, al di là del belletto elettorale, le vecchie posizioni non sono cambiate.

A proposito, poi, delle ultime dichiarazioni della leader di FdI sul fatto che l’Ungheria sia un paese democratico perché si vota liberamente, è preoccupante che si confonda una modalità elettorale con il rispetto delle libertà e delle minoranze, il pluralismo dell’informazione, l’indipendenza della giustizia: non possono, quelli puramente procedurali, essere gli unici standard istituzionali e di garanzia a definire una democrazia.

Oggi si dichiarano tutti europeisti ma fino a qualche settimana fa era il sovranismo la loro cifra identitaria e l’elemento su cui hanno costruito tanto consenso soffiando sulla rabbia sociale e sulle difficoltà economiche che demagogicamente sono state tutte attribuite all’UE.

Non votare è legittimo; con la stessa fermezza, però, bisogna riflettere onestamente e chiedersi se così facendo si aiutino quei principi che si vogliono difendere e la cui rivendicazione è spesso alla base del proprio astensionismo o invece si sta dando l’avallo, consapevole o inconsapevole, a un governo che quei valori potrebbe distruggere.

[1] https://tg24.sky.it/mondo/2022/09/21/vox-spagna-significato

 



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