Genova, il piano delle opposizioni … per perdere le elezioni comunali

Perché il sindaco Marco Bucci è destinato a essere confermato alla guida del capoluogo ligure.

Pierfranco Pellizzetti

Cosa succede nel suq della politica genovese, a quattro giorni dal voto amministrativo? Niente. A rischio di prendere una cantonata e dilapidare, proprio giocando in casa, quel minimo di credibilità come analista politico che ancora mi resta, azzardo la previsione: Marco Bucci uscirà dalle urne vincitore alla grande (gli ultimi sondaggi ipotizzano un successo già al primo turno), consolidando il radicamento della destra nella città medaglia d’oro della Resistenza, in partnership con Giovanni Toti. Singolare team, in cui il sindaco coltiva la retorica dell’uomo del fare e il presidente della Regione presidia la cassa intercettando finanziamenti; nell’industrializzazione del modello di governo che la precedente gestione di sinistra praticava a livello artigianale. Gli illusionismi e gli affarismi sono gli stessi, cambia solo l’intensità e la professionalità della mala politica. Mentre i nodi irrisolti di un territorio in caduta libera si fanno più stringenti, l’impoverimento morde crescenti strati di popolazione, l’assenza di prospettive è ormai evidente. La sinistra non aveva un’idea su come uscire dalla crisi del modello di sviluppo locale, basato sulle aziende partecipate dallo Stato, e nascondeva la propria inadeguatezza con le mirabilie salvifiche dell’innovazione tecnologica; promesse dalla cittadella della scienza sulla collina di Erzelli spazzata dai venti e già deposito di container rugginosi (mai bonificato, eppure vi si prospettava l’insediamento di un ospedale), oltre agli effetti speciali dei tecno-maghi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, aggrappato alla collina inselvatichita di Morego e guidato dal pifferaio magico Roberto Cingolani. Sparite Erzelli e Morego dagli epinici mistificatori, ora lo specchietto per le allodole diventa la suggestione di clonare nel fragile territorio ligure il modello Billionaire tipo Costa Smeralda per attrarre i petroldollari di qualche sceicco o le liquidità cleptocratiche di oligarchi russi. Mentre cresce il sostegno dalla business community di riciclati con cui scambiare favori: se oggi finanziano la Fondazione “Change” di Giovanni Toti a fronte di lucrose contropartite, ieri affollavano le riunioni mai disinteressate del circolo “Maestrale” di Claudio Burlando. Così come la tendenza alla collusività è una pratica costante nei retrobottega in penombra della politica locale. Se nel dopoguerra il ministro DC Paolo Emilio Taviani si spartiva le sfere di influenza in Genova con i rossi del PCI (a loro il Ponente delle fabbriche, a lui il centro cittadino e le istituzioni finanziarie), una vox populi degli anni novanta narrava di analoghe pratiche collusive tra i due city-boss di allora – Claudio Burlando e Claudio Scajola – che si svolgevano in un’appartata villa nel quartiere residenziale di Albaro.

L’antico DNA oligarchico di territorio, aggiornato alla fenomenologia della Casta. Un quadro che ci fa capire perché difettino le condizioni di un effettivo ricambio nella politica genovese e ligure. Che, nel caso specifico delle ultime tornate amministrative (le regionali del 2020, le comunali del 2022), inducono il ragionevole sospetto che – in effetti – l’opposizione abbia giocato deliberatamente a perdere.

Vediamo di spiegarci: il Toti che viene riconfermato presidente di Regione partiva da una posizione largamente contendibile, che poi divenne blindata per la gestione della campagna da parte dell’opposizione; quell’opposizione che sembra non nutrire la benché minima velleità di contrastare la nuova incoronazione di Bucci. Insomma, sembra legittimo il sospetto che il plot di Ariel dello Strologo, candidato sindaco giallo-rosa, sia il remake del precedente calvario di Ferruccio Sansa. Entrambi designati dopo infiniti conciliaboli (per Sansa ci fu l’assurdo di una messa in pista a un mese effettivo dal voto e anche dello Strologo fu tenuto a lungo a bagnomaria) per scelta inappellabile di uno sparuto sinedrio di notabili, che ha imposto a entrambi il marchio indelebile di candidati calati dall’alto. Perché è andata così? L’ermeneutica del sospetto induce a scorgere un’ombra dietro tale gioco al massacro. Quella del proconsole ministeriale in regione, l’enfant du pays dove la politica presenta la sua faccia più scopertamente politicante: l’ex PC della Spezia, dove è cresciuto Andrea Orlando, interessato a non lasciare emergere leader al centro della regione, che insidierebbero le sue future rielezioni e la possibilità di continuare a far flanella nella capitale. Appunto, una tradizione del luogo. Chi scrive ricorda il caso del repubblicano Giorgio Bogi della Spezia, deputato per nove legislature, che nutriva un’unica priorità: impedire l’emergere di un qualche concorrente a Genova, che lo scalzasse avendo accesso al massimo serbatoio dei voti presente nel capoluogo.

Credit foto: ANSA / Luca Zennaro



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