Per vincere, la sinistra deve fare la sinistra

L’unico effetto della crisi davvero favorevole al centro-sinistra potrebbe essere l’ulteriore aumento dell’astensione. Ma si può davvero sperare, senza vergognarsi, che gli elettori di destra disertino le urne?

Mauro Barberis

Diciamoci la verità: la fine anticipata di una legislatura iniziata male e finita peggio mette la destra in una situazione di enorme vantaggio. Approfittando dell’occasione offertale su un piatto d’argento dal partito di Conte, la destra si presenta, a due mesi dalle elezioni, con sondaggi oscillanti attorno al 46, forse il 47%. Già circolano i nomi dei possibili ministri di un governo Meloni: nomi vecchi, tipo Tremonti, Crosetto, Nordio, per un programma decrepito, della serie Dio, Patria e Famiglia. Anche la legge elettorale parzialmente maggioritaria, il Rosatellum, non aiuta, perché premia le coalizioni. E mentre, bene o male, la coalizione di destra c’è già, trainata dalla Meloni con Salvini e Berlusconi al guinzaglio, la coalizione di centro-sinistra, a venti giorni dal deposito delle liste, è ancora tutta da costruire.

Se fossi nei panni di Letta, non conterei neppure troppo sui contraccolpi della caduta di Draghi sugli elettori di centrodestra, e meno che mai sull’esodo da Forza Italia di generali senza esercito come Gelmini, Brunetta e forse Carfagna. L’unico effetto della crisi davvero favorevole al centro-sinistra, paradossalmente, potrebbe essere l’ulteriore aumento dell’astensione, rispetto alle amministrative di giugno. Ma si può davvero sperare, senza vergognarsi, che gli elettori di destra disertino le urne, schifati anche loro dal tradimento consumato ai danni di Draghi e del paese?

La domanda peggiore, però, perché non retorica, è un’altra: come abbiamo potuto ridurci così, non solo noi italiani, ma noi europei e noi occidentali in genere? Una risposta viene da un libro di Sahra Wagenknecht, esponente della Linke (Sinistra) tedesca, intitolato in italiano Contro la sinistra neoliberale (Fazi, 2022). Se la maggioranza della popolazione non va a votare oppure vota la destra, sostiene l’autrice, il merito non è della destra. La colpa è della sinistra radical-chic, che da trent’anni ha abbandonato il proprio “popolo di riferimento” – operai, piccola borghesia, abitanti delle periferie e delle campagne… – per eccesso di puzza sotto il naso.

C’è del vero in questa diagnosi, naturalmente, e anche nella prognosi: per tornare a vincere, la sinistra deve tornare a fare la sinistra, riprendendosi il proprio popolo di riferimento e tenendoselo stretto. Il problema è che, a trent’anni dall’ultima ondata liberista e dalla rivoluzione digitale, quello stesso popolo, e più in generale il mondo, è drammaticamente mutato. Per fare solo pochi esempi, ma grossi come grattacieli: si possono ancora combattere le pandemie, l’inflazione, il cambiamento climatico, rinchiudendosi nei propri confini nazionali, come auspica l’autrice, e anche la nostra destra? Si può ancora fare a meno dell’aiuto di un’Europa giustamente sospettosa dei sovranisti nostrani, sino a ieri alleati di Putin?

Insomma, ha ragione Letta quando dice che il Pd deve affrontare le elezioni “con gli occhi di tigre”, cioè, più o meno, facendo la sinistra: basta solo che il 26 settembre, l’indomani del voto, gli occhi non diventino quelli di un cane bastonato. Fuor di metafora, il problema è avere le idee chiare sulle nuove priorità – crisi climatica, sociale e sanitaria su tutte – e poi costruirci attorno una coalizione di governo con chiunque le condivide: non solo gli orfani di Draghi e i tanti “centrini” tramortiti anch’essi, sembra, dalla fine della legislatura. Il tempo è poco, eppure non c’è alternativa, se non vogliamo che a un’estate rovente segua un autunno gelido.

 



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