Una contesa di persona, genere, preposizioni, nomi e pronomi

Da "Emmanuel Macron avec vous" a "femme d’état" di Marine Le Pen. Analisi della campagna elettorale.

Nunzio La Fauci

Alla fine di marzo la campagna di Emmanuel Macron per la sua conferma nella carica di presidente della Repubblica francese ha improvvisamente mutato il suo slogan. Mancavano allora solo una dozzina di giorni al primo turno elettorale. Si dirà del nuovo in conclusione di questa breve nota linguistica. Ecco invece quello messo in sordina e passato in secondo piano con cui, mesi fa, il presidente uscente era stato lanciato nell’agone dal suo staff di comunicatori e comunicatrici:

Emmanuel Macron avec vous, ‘…con voi’: non una grande trovata, a dire il vero. Nel messaggio, c’era una netta distinzione tra due funzioni, nei domini grammaticali e concettuali di persona e numero. Sotto il nome proprio del presidente candidato-presidente operava naturalmente la terza singolare. Palese compariva d’altra parte la seconda plurale di coloro cui il messaggio era destinato: coloro che esso invitava a scegliere Macron nella contesa.

Da un lato, ‘lui’. Anzi ‘Lui’. Emmanuel Macron, un uomo ancora giovane e ben distinto, come lo mostra la foto. Sorridente e benevolo. Prospettato, proprio in quanto terza persona, come un dato della realtà: oggettivo. Tale è del resto. E tale la comunicazione pretendeva fosse considerato: presidente in carica della Repubblica francese.

Dall’altro lato, un generale (o forse generico) ‘voi’: un insieme di destinatari e destinatarie. Da tale insieme, lasciava intendere il messaggio, Lui è distinto e, bontà ‘sua’, anzi, ‘Sua’, si associa: …avec vous.

C’è certo e sempre un filo di monarchia, di una monarchia della grande, secolare tradizione monarchica francese, nel (semi-)presidenzialismo con cui Charles De Gaulle, quasi settanta anni or sono, riuscì a fare sortire la Quinta repubblica dal pantano in cui era ignominiosamente finita la Quarta. Chissà se ha giovato a Macron che, per la sua comunicazione elettorale, tale filo sia nell’occasione venuto allusivamente allo scoperto. Forse no. ‘Lui’ è ‘Lui’ e ‘voi’ siete ‘voi’, per parafrasare la battuta di una scena di un celebre film di Mario Monicelli, con Alberto Sordi nel ruolo del protagonista. Non il massimo per attirarsi simpatie.

Che quel messaggio fosse caratterizzato da una distanza tra le persone grammaticali coinvolte è stato del resto colto con prontezza dagli spin doctors della sua (principale e forse unica) antagonista, Marine Le Pen. Ecco come la campagna della contendente si è insinuata nello spazio che le veniva così concesso, rendendo palese e facendone notare comunicativamente la valenza politica:

Resa esplicita, la terza persona cui il presidente si trovava affidato da coloro che ne stavano curando la campagna vi è ritorta contro di lui. Il gioco sta ovviamente nel rapporto antinomico delle preposizioni (sans vs. avec, ‘senza’ vs. ‘con’). Sta però anche, se non soprattutto, nel rovesciamento di prospettiva con cui tale rapporto viene costruito. Lo si osservi con attenzione: è il vous da cui Macron si distingueva, cioè elettori ed elettrici, a essere invitato a stare avec marine e a starci sans lui, cioè liberandosi di ‘lui’. Insomma, decapitandolo (naturalmente per figura).

In altre e più chiare parole, nella comunicazione di Marine Le Pen, ‘chi sta con’, cioè il tema implicito della preposizione con valore comitativo (avec), non è un’autorità che, degnandosi, concede a ‘voi’ la sua benevola attenzione. Così orientato era il messaggio di Macron. Tema (o soggetto, se si preferisce) di avec Marine sono i destinatari e le destinatarie del messaggio. Sono loro a ‘stare con’, a concedere la loro compagnia a una candidata che si candida a esserne rappresentante: rappresentante del popolo. Si dirà che l’appello oscilla sull’incerto confine che corre tra un’attitudine politica popolare e una populista. È vero, ma lo fa perché un potente, con la sua comunicazione, gli ha bellamente prestato il fianco.

D’altra parte, se il presidente uscente è, secondo un’anagrafica tradizionale, Emmanuel Macron, la sua contendente, come s’è visto, è già da un pezzo soltanto Marine: famigliarmente. E populisticamente, si dirà. Ma non solo.

È soltanto Marine perché si riduce così una ridondanza alla quale per lei è meglio sfuggire. Il cognome di Marine porta con sé un noioso effetto di déjà vu. In effetti, decennio dopo decennio, un Le Pen (genitore), una Le Pen (figlia), in modi coerenti con i tempi diversi, hanno provato a fomentare l’onda di una Francia profonda e profondamente retriva, se non reazionaria, sperando poi di cavalcarla con esito vittorioso al momento di un’elezione presidenziale: fin qui vanamente e molto probabilmente anche in questa occasione. Tra la carica di presidente della Repubblica francese e i membri della famiglia Le Pen pare dunque esserci un rapporto comparabile con quello vigente tra il Road Runner e Wile E. Coyote.

Candidata ereditaria e, per via dinastica, designabile anche per questa ragione già solo per nome, Marine ha tuttavia nel suo nome di battesimo un’assonanza con Marianne. Per convenzione nazionale, come si sa, questo è il nome della giovane donna dal cappello frigio e dal seno scoperto che raffigura allegoricamente la Repubblica francese e i suoi secolari valori. Ecco emblematicamente un notissimo dipinto di Eugène Delacroix (La Liberté guidant le peuple):

Le peuple avec Mari(an)ne, può allora venire fatto di osservare. E, senza nascondere il collegamento, anzi alludendovi apertamente, mlafrance.fr è il nome del sito ufficiale della candidata alla presidenza Marine (Le Pen), con questo logo:

Non si può fare a meno, a questo punto, di tirare in ballo il genere: tema correntemente scottante, come si sa. Con sottigliezza grammaticale, invita già a farlo il modo con cui in questo logo l’articolo determinativo che caratterizza il cognome della candidata viene sottoposto a una commutazione. Rispetto al genere della candidata, Le, elemento centrale della denominazione tripartita Marine Le Pen, è incoerente marca maschile di una forma onomastica opaca (o, peggio, oggi molto infelicemente assonante). Si trova così sostituito dall’articolo determinativo femminile nella nuova designazione ripartita, M(arine) la France, ma stavolta parlante, se non garrula: la sta al centro del logo. Di femminile coerentemente si tratta.

Considerato il corrente clima dell’antropologia occidentale e delle ideologie correlate, è ovvio che, nella contesa elettorale francese, il genere vale appunto come importantissimo atout per lo staff che cura la comunicazione di Marine Le Pen. Come forse meglio non si potrebbe, lo dicono le espressioni del manifesto con cui la candidata è entrata nell’agone:

Quanto al lessico, c’è il facile, ma acuto e ben percepibile sommovimento di una locuzione: come sfondo, il vieto homme d’état (‘uomo di stato’), bandiera lessicale di un radicato cliché maschilista culturalmente onorifico, mira a sottolineare che in lizza è stavolta una femme e che tale femme è appunto una femme d’état. Il risalto è effetto di una commutazione (femme/homme) che suona ancora straniante. Se non sonasse straniante, mancherebbe di effetto comunicativo. Sovvertire un luogo comune è un modo paradossale, se non per confermarne, certo per affermarne l’esistenza.

A sua volta, nella grammatica, c’è una precisa indicazione quanto alla designazione della carica cui Marine, come femme d’état, si candida: présidente. Tanto nell’orale, quanto nello scritto, la morfologia francese consente di distinguere tale significante, come femminile, dal maschile président.

Présidente, si osservi, non trova corrispondenza in italiano, malgrado la stretta parentela tra le due lingue. Présidente non è infatti l’ambigenere italiano presidente, in cui appunto la differenza non emerge formalmente. Né, ovviamente, è il presidentessa in cui quanto il francese risolve elegantemente e con essenzialità ricorrendo solo alla flessione (-e) viene anzitutto scaricato sulla morfologia derivativa (-ess-) e poi ribadito nella flessiva (-a). È una ridondanza cui non si può sfuggire (le lingue differiscono per quanto obbligano a dire, osservò una volta Roman Jakobson).

Presidentessa è quindi una forma con due marche formali di genere ed è funzionalmente pleonastica: piuttosto inadatta alla bisogna. Brutta, dirà qualcuno. Si dirà meglio: comunicativamente inefficace. In campagne elettorali in italiano, insomma, a chi cura la comunicazione di candidate a presidenze, una risorsa come quella a disposizione del francese fa difetto (beninteso, senza che a nessuno se ne possa fare una colpa specifica) e la valorizzazione del femminile deve eventualmente ricorrere ad altre espressioni.

Per fare fronte a questa batteria di argomenti di una contendente che, a quanto pare, è in rapida rimonta di posizioni e sta alfine preoccupando il campo del presidente candidato-presidente, è divenuto necessario un mutamento della comunicazione di Emmanuel Macron: lo si annunciava in esordio. Topolino partorito dalla montagna, eccone dal ventotto marzo, quasi in extremis, l’esito:

C’è una bella variatio formale e allitterante, nel nuovo slogan; anche all’occhio, se non soprattutto all’occhio. Ma il Nous tous (‘Noi tutti’) è, come si comprende, un radicale mutamento di prospettiva e di comunicazione. Sovrapposto all’Emmanuel Macron avec vous, prova come può a simulare un’obbligata continuità: in realtà i due slogan stridono.

Non più ‘Lui’ e ‘voi’; al loro posto, un cumulativo ‘noi’. In effetti, questa quarta persona si propone come inclusiva. Intende includere proprio quel ‘voi’, cioè coloro cui il messaggio è destinato, precedentemente distinto. Da un atteggiamento, ben che fosse, paternalistico e più che sottilmente antipatico a uno sfacciatamente accattivante, se non proprio piacione.

Nella sua variante inclusiva (‘io’ più ‘te’ / ‘voi’), la quarta persona è in effetti socialmente tipica delle figure (non solo politiche) che mirano a costruire di sé un’immagine solidale, corrisponda tale immagine alla realtà o no. Ma capita sottolinei anche (e lo si osserva più raramente, con attitudine critica) il tratto di chi ambisce a non tenere troppo conto delle differenze e, programmaticamente, non gradisce le divisioni e mira a reprimerle, se non ad annullarle. C’è insomma nel ‘noi’ inclusivo uno strisciante tratto totalitario. Non sembri un paradosso. Tra gli esseri umani, la noncuranza capita sia odiosa e sgradevole, ma è la cura a essere sempre (politicamente) pericolosa. A ricordarlo, un libro oggi centenario di Evgenij Zamjatin, il cui titolo suona appunto emblematicamente Noi.

Naturalmente, niente di ciò vale alla lettera per Macron, personalità modesta di un sistema politico poco temibile, per quanto un sistema politico, qualsiasi sistema politico possa dirsi poco temibile (a dire il vero, chi scrive non ne conosce nessuno che non sia umanamente temibile e che non alberghi, più o meno camuffati, dei “caporali”, secondo la popolare partizione antropologica proposta da un vecchio attore comico napoletano, pronti a dire tanti ‘noi’).

È però più di un bell’indizio del tendenziale connubio tra quarta persona inclusiva e attitudine totalitaria il fatto che con nous compaia un tous (‘tutti’), nell’estremo messaggio del presidente francese uscente e quasi certamente rientrante, a meno di un clamoroso rovesciamento di una previsione che si è costretti a dire consolante.

Nous tous: l’insieme è volto a porre rimedio agli esiti forse poco felici in termini comunicativi e di caccia al consenso del messaggio precedente della campagna elettorale di Macron e, correlativamente, a reagire a temi e modi della campagna elettorale della contendente. Populisticamente, questa gioca a un ribaltamento, se non a una rivoluzione. Mostra di volere rompere una continuità. Lo fa anche in nome di una differenza che, prima di tutto e secondo i gusti del momento, è di genere, perlomeno formalmente. Marine si presenta infatti come portatrice dei valori di una conservazione rivoluzionaria o di una rivoluzione conservatrice. È una modalità classica della destra (estrema): fu tipica del discorso politico che preparò alcuni totalitarismi della prima metà del secolo scorso. Lo mostrarono or sono cinquanta anni gli studi del francese Jean-Pierre Faye sulle lingue totalitarie.

Ma se un secolo fa la vicenda fu spaventosa tragedia di incontenibile ridicolaggine, per un continente che si cullava e ancora si culla nel sogno d’essere culla di civiltà, non è necessario evocare la celebre sortita di Karl Marx per profetizzare che oggi vicende siffatte inclinino verso la farsa, senza che ciò escluda l’incidenza, nella farsa, di fasi ed eventi anche di cruda tragicità.

Per Macron e per il wishful thinking del suo think tank, tutto pare tuttavia trovare pace, risolversi e sciogliersi in un quantificatore universale, tous, ‘tutti’, che, qualificando nous, magari solo per ragioni formali, ricorre quanto a genere nell’ormai generalmente aborrito maschile non marcato. Per la Grande nation, un président più linguisticamente conservatore di così, faute de mieux, non ci si può proprio augurare.



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