“Chiarezza, alternative, radicalità: solo così la sinistra potrà contrastare le destre”

Intervista ad Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità: “Niente strani contenitori, l’unica strada è recuperare fino in fondo la dimensione politica del proprio fare civile”.

Daniele Nalbone

Mancano poco meno di due mesi alle elezioni. Siamo in piena campagna elettorale. E, per l’ennesima volta, tra gli argomenti c’è un grande assente: il tema “disuguaglianze”. Non una sorpresa per Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità e amministratore della cooperativa sociale Dedalus di Napoli. Anzi. “Il tema delle disuguaglianze è spesso solo evocato ma poi davvero si stenta a trovare una coerenza tra affermazioni e politiche. L’esempio più evidente è stato il discorso di insediamento del Presidente Mattarella dove ogni volta che lo stesso Presidente richiamava il Parlamento a individuare nella lotta alle disuguaglianze una delle sue priorità gli applausi scrosciavano a scena aperta. Ma nei mesi successivi, nel concreto, la risposta a quella richiesta quale è stata: nulla o quasi nulla. Eppure, i numeri dei divari, economici, sociali, economici e di riconoscimento, per altro aggravati trasversalmente da disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali, rendono davvero tale tema presupposto stesso dello sviluppo giusto del Paese”.

Che Italia va al voto?
È un’Italia in cui il voto appare sempre più come questione che riguarda i garantiti, gli abitanti dei centri, mentre i margini, le aree sempre più vaste delle vulnerabilità e delle povertà, le tante periferie umane e geografiche del Paese sembrano aver perso ogni interesse a partecipare, anche solo attraverso il voto, alla “cosa politica”. Perché hanno la percezione che la politica non sia interessata a loro. E comunque sono aree che se decidessero di andare a votare non mi pare che guarderebbero a sinistra o ai progressisti, perché su questi temi la sinistra non ha parole chiare, sembra restia a essere radicale come la radicalità dei problemi oggi richiederebbe.
Anzi, come accade nell’ignobile dibattito sul reddito di cittadinanza, a volte cede alla tentazione di divedere i poveri come colpevoli della loro condizione, dimenticandosi che la povertà non è mai condizione volontaria. Oppure, finisce nell’assecondare la narrazione neo-liberista secondo cui le disuguaglianze sono il prezzo da pagare allo sviluppo.
Insomma, non è un caso che negli ultimi anni la sinistra quando vince lo fa se le percentuali dei votanti sono basse e ottiene i risultati migliori nei centri e nei quartieri borghesi e benestanti, con gli operai che votano Lega e Fratelli d’Italia quasi a raddoppiare quelli che votano Pd. In questo quadro appare evidente come per la sinistra l’unica strada per un suo rilancio sia ritrovare un legame, politico ma anche affettivo, con le sue radici.

Quali scenari vedi per il centrosinistra?
Credo che se non c’è un vero e proprio ribaltamento di prospettiva e di scelte sui temi di cui ho appena accennato tutti i possibili scenari non siano comunque positivi. Certo, sconfiggere la destra sarebbe fondamentale ma se la richiesta del voto avviene solo sul “o noi o loro” non credo che i cambiamenti necessari alla riduzione delle disuguaglianze e alla costruzione di uno sviluppo centrato sulla giustizia ambientale e sociale sarebbero comunque possibili. A una destra che propone in nome del popolo una società sempre più separata tra primi e tutti gli altri, che spinge il conflitto in una guerra intestina tra ultimi, penultimi e vulnerabili, che individua nemici opportuni quotando la paura sul mercato del consenso elettorale, andrebbe contrapposta una sinistra capace di proporre, con la stessa chiarezza e radicalità, politiche alternative.

Come si avvicina il Forum Disuguaglianze Diversità al voto?
Abbiamo posto alle forze politiche alcune questioni chiare: la prima, i contenuti. Pochi, semplici. Smetterla di guardare solo all’elettorato “dei garantiti”, iniziare a parlare di redistribuzione del reddito, di salario minimo, di orientamento in senso democratico del lavoro e della transizione digitale, di giustizia ambientale e giustizia sociale. La seconda questione è relativa alla rappresentanza: lo scollamento che c’è tra istituzioni e società ha come causa principale una classe “parlamentare” che, da anni, è gestita dalle segreterie di partito. Oggi è necessario cambiare le modalità di selezione dei candidati. Come ForumDD, insieme a “Ti Candido” con la campagna “Facciamo Eleggere”, abbiamo provato a indicare una strada, in cui si trovino nuovi indicatori per individuare candidate e candidati. La cosa a livello locale ha funzionato e sta funzionando. In questi giorni abbiamo lanciato un appello ai partiti perché diano segnali anche in questo senso. Troppe volte percorsi anche interessanti nei contenuti sono stati depotenziati e sviliti, anche a sinistra e anche alla sinistra del Pd, dalle pulsioni auto-referenziali di ceti, spesso micro-ceti, politici.

Che Italia ti aspetti dopo il voto?
L’Istat ci racconta di un Paese sul baratro, con una diminuzione della popolazione giovanile e del loro potere, un aumento di famiglie composte da una sola persona, un impoverimento generale: 6 milioni di poveri, 3.2 milioni di bambini e ragazzi in povertà assoluta o relativa; uno studente su 4 che finisce la scuola con una sensazione di fallimento. E milioni di lavoratori precari, vulnerabili, poveri. Questo il quadro dell’Italia che sta per andare al voto. Cosa dice, di chiaro, la sinistra su questi temi? L’agenda Draghi? Beh, non credo che possa essere questa la strada per ritrovare un legame e una fiducia con chi oggi non arriva alla fine del mese. C’è bisogno invece di politiche coraggiose e competenti, che accettino il piano della complessità come scenario del proprio agire. Ad esempio, sul Pnrr va invertita la rotta tenuta fino a ora. Perché fino a oggi le scelte su tale fondamentale strumento sono state fatte in assoluta assenza di dialogo sociale o comunque aprendo luoghi di consultazione privi di potere reale su indirizzi e uso delle risorse. Quando è così, quando la cifra del fare politico è l’opacità, i rischi sono tre: spendere male; spendere in direzione di interessi privati e non per il benessere collettivo; aprire la strada a economie deviate e/o criminali. Ecco, invertire le modalità di gestione del Pnrr verso meccanismi di governance integrata a livello locale, ascoltando i territori, è una chiave essenziale non solo per spendere bene le risorse ma anche per non fare un imperdonabile torto alle future generazioni. Perché quei soldi non sono un regalo ma una sorta di ipoteca che noi stiamo caricando sulle loro spalle. Se li sprecheremo non saremo solo uno dei paesi più vecchi al mondo ma anche uno dei più egoisti.

Che contributo può dare la società civile per affrontare i probabili cinque anni di governo di destra che abbiamo davanti e provare a far nascere una sinistra degna di questo nome?
Credo che il civismo attivo nelle sue molteplici forme e soggettività, possa giocare un ruolo importante sia nell’arginare i contraccolpi di un probabile governo di destra che tenderà, nei primi mesi e per legittimarsi, a mixare interventi di contenimento con forme di repressione del conflitto e attacchi sui terreni dei diritti e delle libertà civili, sia per avviare un processo che provi a ricostruire una sinistra utile al Paese.
Ma per farlo vi sono alcune condizioni: non fare forzature su nuovi contenitori; rompere le cornici dei tanti “specifici” per trovare i nodi e i terreni comuni che servono a fare diventare sistema le tante sperimentazioni oggi in atto a livello locale; non confondere la relazione con i partiti in un’ottica di sudditanza ma centrandola sul rivendicare in modo forte un rapporto paritario. Recuperare fino in fondo, insomma, la dimensione politica del proprio fare civile.

 



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