Elezioni regionali del 12 e 13 febbraio: la desertificazione continua

Con i pochi che si sono presentati alle urne vince di nuovo la destra. Il Pd e M5S continuano a battibeccare su chi ha fallito peggio e intanto Meloni governa senza che nessuno la contesti.

Pierfranco Pellizzetti

«Più di duemila anni dopo Aristotele, mezzo millennio dopo

Machiavelli, il nostro rapporto con la politica è diventato

simile a quello con una persona che abbiamo molto amato

e molto apprezzato e che infine ci ha delusi».

Gianfranco Pasquino

Se i risultati emersi dalle urne nelle ultime elezioni regionali sono lampanti, probabilmente l’unico dubbio che resta da sciogliere è il significato del messaggio comportamentale di massa inviato dal 60% di italiani che – all’unisono – non si sono recati a votare: l’antipatia che suscita questa classe politica in generale? La convinzione che non valesse la pena di farlo in quanto il risultato delle votazioni era ascritto in partenza (sia che la propria parte fosse destinata alla sconfitta oppure alla vittoria)? Il senso di estraneità che trasmette l’istituzione regionale? Che altro?

Il combinato disposto di tutte queste diverse motivazioni respingenti (che suona oltremodo difficile contestare) fa sì che assistiamo al perdurare dell’abbrivio del voto di settembre, ossia il rafforzamento del governo Meloni e l’inarrestabile liquefazione dello schieramento contrapposto. Un quadro assolutamente immobile, in cui qualcuno aveva ritenuto di scorgere l’elemento di novità nella prima donna premier; rifilandoci l’ormai incommestibile versione burocratica del politicamente corretto. Per cui la femminilizzazione di una politica ingaglioffita nel più bieco maschilismo si ridurrebbe a una semplice questione di quote. Non la promozione di una cultura realmente alternativa (magari riequilibrando con il principio di sorellanza il darwinismo sociale e l’assiomatica del possessivismo. L’aggressività e l’avidità promossi negli ultimi decenni dalla restaurazione Neoliberista come cardine dell’apprezzabilità).

Difatti cosa c’è di femminile nella puffetta mannara che ci governa, già a partire dalla gag di voler essere appellata al maschile? Questo mix indecente di appiattimenti: sullo spirito dei tempi (prendersela con i più deboli, specie se immigrati e poveri in genere, e blandire i forti con condoni e depenalizzazioni); sui rapporti di forza mondiali (la genuflessioncella di rito a Washington e – ad esempio – l’indifferenza a quanto avviene in Palestina); sull’identificazione nella corporazione trasversale del potere a cui si è ridotto il ceto politico (magari sguinzagliando il ministro della Giustizia Nordio contro i magistrati che molestano la Casta dei collusi e degli affaristi); sull’adesione senza tentennamenti al mercatismo ideologico in un viaggio dalla Garbatella alla Chicago di Milton Friedman. E questa neofita del potere adepta all’establishment sarebbe pure un’esponente della Destra sociale (con tutte le riserve del caso su siffatta matrice)?

Ma a fronte di tale condensato di luoghi comuni nell’apoteosi dell’inadeguatezza (e in permanente campagna elettorale per gli italiani che presumibilmente se la bevono), permane il vuoto pneumatico di chi dovrebbe contrastarla. Non certo i ragazzi in carriera Calenda e Renzi, che non si peritano di lanciare messaggi entristi alla premier, da bravi cinici maneggioni quali si confermano in ogni occasione.

Semmai avremmo sperato in segnali di vita dai due “capponi di Renzo” – PD e Cinquestelle – il quali ora non sanno fare altro che beccarsi rinfacciandosi reciprocamente la brutta figura elettorale; a prescindere dall’esito generale che ha visto il trionfo della controparte. Ma “il partito di sinistra che fu” si prepara a celebrare un congresso che con tutta probabilità va a incoronare segretario – con Stefano Bonaccini – un renziano mimetizzato, di certo indisponibile/impraticabile per varare quel campo largo della Sinistra di cui si continua a vagheggiare. Mentre il Movimento che doveva fondere eguaglianza, ambiente e pacifismo si rintana nella sua ridotta meridionale abbarbicato al (sacrosanto, sia chiaro) Reddito di Cittadinanza come unico tratto di identità politica. E gli sparsi lacerti di Sinistra-Sinistra trovano ormai l’unico attracco per le loro scialuppe di reduci da mille naufragi in qualche talkshow televisivo. Come reperti di antiche stagioni.

Qualcuno straparla affermando che il vero appuntamento saranno le europee. Con il materiale umano a disposizione non c’è motivo di sperare in un qualche salto di qualità a breve termine. Perché con questa fauna, priva di idee e – al tempo stesso – di passione politica, non si va da nessuna parte. Se è vero – come diceva il vecchio Nenni – che “le idee camminano sulle gambe degli uomini”, siamo fregati ancora per molto tempo.

 

Foto Wikipedia | Flickr Nazionale Anpas



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