L’inutile corsa a sindaco di Roma: i quattro sfidanti hanno la stessa idea di città

Virginia Raggi, Carlo Calenda, Roberto Gualtieri – favorito alle primarie di centrosinistra - e il candidato che sarà del centrodestra, tutti hanno la stessa impostazione neoliberista. Ed è questa cultura ad aver distrutto la Capitale.

Paolo Berdini

Da troppi anni Roma è diventata sinonimo di degrado. Una città cresciuta male a causa della vorace speculazione edilizia non è più in grado di garantire il normale funzionamento urbano. L’enorme debito accumulato in tanti decenni di mala urbanistica (13 miliardi) ha portato al collasso la città. Preziose occasioni di lavoro e di prospettive sociali svaniscono per il declino inarrestabile che avvolge la città. Recenti studi hanno in realtà messo in luce una realtà più complessa: a fronte di un centro urbano che regge il passo con le sfide globali, è la periferia a soffrire maggiormente.

La Caritas (Rapporto sulla povertà 2019) afferma che il reddito familiare medio nei municipi centrali è di 40 mila euro. In periferia è di 17 mila. Meno della metà. Dal canto suo, Mappa Roma afferma che la percentuale dei laureati nei primi municipi è del 40 percento. In periferia è di poco superiore al dieci. All’opposto, il tasso di disoccupazione medio è rispettivamente del 7 percento nelle aree centrali e del 27 percento nelle periferie estreme. Trenta anni di abbandono del governo pubblico si chiudono con un gigantesco fallimento ed hanno fatto perdere a Roma il carattere di città unita e solidale.

In una Roma così squilibrata, l’unica speranza può nascere da un salto del paradigma culturale che ha portato all’attuale fallimento. Si deve chiudere la fase del trionfo dell’economia neoliberista e tornare a guardare alle condizioni di vita nelle periferie, a ricostruire i servizi pubblici, a ridare la dignità perduta al lavoro dei giovani.

Il tema centrale della competizione elettorale per l’elezione del prossimo sindaco di Roma è dunque quello della ricostruzione del governo pubblico della città. L’economia dominante ha imposto la privatizzazione delle funzioni pubbliche a favore dell’impresa privata. La speranza può venire soltanto da “Pubblico è meglio”, per usare la felice intuizione del recente volume (Pubblico è meglio. La via maestra per ricostruire l’Italia. A cura di Altero Frigeri e Roberta Lisi. Donzelli, 2021).

Fino a ora si sono candidati alla sfida elettorale la sindaca uscente del Movimento 5 stelle, l’esponente del Pd che uscirà dalle primarie, il candidato delle destre di cui non si conosce ancora il nome e Carlo Calenda. Tutti questi schieramenti sono convinti sostenitori della cultura neoliberista responsabile della crisi. Ad esempio, nel referendum del novembre 2018 promosso dai Radicali per la privatizzazione del servizio di trasporto pubblico, i gruppi cui appartengono i quattro contendenti erano a favore della privatizzazione o non hanno espresso alcuna posizione. Se si vuole riaccendere la speranza di un futuro migliore, Roma deve costruire una nuova idea di città che rompa per sempre con il modello che l’ha portata al fallimento.

Lo squilibrio dei dati che citavamo in apertura, ci fornisce il tema di merito che dovrà caratterizzare la sfida elettorale, e cioè la rinascita delle periferie. È indispensabile individuare gli obiettivi da perseguire per integrare luoghi senza qualità dove vive la maggioranza dei romani. La creazione di parchi, di trasporti pubblici efficienti, la ricostruzione del welfare. Ma c’è di più. Va avviato con decisione il processo di decentramento di importanti funzioni statali.

Le periferie, poi, non possono continuare a vivere nella perenne emergenza abitativa. Il numero delle famiglie che vivono in occupazioni, abitano in baracche, compongono le liste di attesa di case pubbliche e quelle che lasciamo marcire nei residence privati lautamente foraggiati da trenta anni (25 milioni all’anno), arrivano alla cifra di 7/8 mila. Sono quantità governabili, a patto di saper recuperare le leve del governo pubblico della città. Ad esempio, a cavallo degli anni Ottanta, è stato costruito in tre anni il quartiere di Tor Bella Monaca che ha dato alloggio a circa 5 mila famiglie che vivevano in baracche. Si tratta dunque di riprendere quel filo interrotto. Le città sono luoghi che devono includere tutti i ceti sociali, in particolare i più svantaggiati.

Il terzo tema della sfida elettorale riguarda infine i nuovi soggetti sociali protagonisti della discontinuità culturale che la città attende. È indispensabile in tal senso fare riferimento a quanto è avvenuto nei mesi del lockdown, quando il rischio di una grave crisi sociale è stato scongiurato soltanto grazie al lavoro volontario e gratuito di tante associazioni e di tanti cittadini. È questa la ricchezza di Roma. Persone che credono nella solidarietà sociale, ad una città più giusta e vivibile devono guidare la nuova fase dell’uscita dalla crisi.

Nella sfida elettorale di Roma si dovrà aprire il confronto sulla speranza di una città migliore in grado di salvare la convivenza urbana e di ricostruire la bellezza perduta.

Sul tema, leggi anche:

Altro che Smart City: a Roma mancano i dati elementari per costruire politiche pubbliche

 



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