L’ombra della guerra sulle elezioni ungheresi

Il 3 aprile l’Ungheria alle urne. La sfida è tra le forze governative che hanno in mano il paese da 12 anni, e “Uniti per l’Ungheria”, l’alleanza di sei partiti dell’opposizione.

Massimo Congiu

Domenica 3 aprile l’Ungheria va alle urne per il rinnovo del parlamento, la qual cosa avviene poco meno di un mese dopo l’elezione del nuovo capo dello stato che, come è noto, ha premiato Katalin Novák, una fedelissima del premier Orbán.

Lo scontro di questo fine settimana è fra le forze governative che hanno in mano il paese da dodici anni, e “Uniti per l’Ungheria”, l’alleanza di sei partiti dell’opposizione che è stata creata in funzione di questo voto. A contendersi la poltrona di primo ministro, Viktor Orbán, premier dal 2010, come già accennato, e Péter Márki-Zay, capolista del blocco di opposizione, conservatore cattolico eletto alle primarie dell’autunno scorso. Dal 2018 è sindaco di Hódmezővásárhely, piccolo centro abitato dell’Ungheria meridionale, ed è cofondatore del movimento L’Ungheria di Tutti. Per l’opposizione si tratta dell’uomo giusto in quanto sa rivolgersi sia alla gente di città che a quella di campagna, sia al centro-sinistra che alla destra, e Uniti per l’Ungheria è un’alleanza che si compone di diverse tendenze politiche: dai socialisti ai nazionalisti di Jobbik, passando per verdi, liberali e centristi.

Si tratta di una forza politica che si dice pronta, in caso di vittoria, a cambiare il paese e cancellare le leggi ingiuste volute da Orbán. Una di esse è la cosiddetta legge anti-Lgbtq, sui cui contenuti è previsto un referendum in programma anch’esso per il 3 aprile.

I sondaggi vedono in leggero vantaggio il partito governativo Fidesz che viene dato dall’Istituto Zavecz Research al 41% contro il 39% di Uniti per l’Ungheria. Diversi analisti, però, mettono in dubbio questo dato dal momento che i sondaggi vengono fatti su campioni molto esigui.

La guerra in Ucraina è tra i temi di confronto fra le due parti: oggi il primo ministro tende ad assumere una posizione di neutralità e dice di farlo per il bene del suo paese. “L’Ungheria deve restare fuori dal conflitto, questa non è la nostra guerra, non permetterò che arrivino armi in Ucraina attraverso il nostro territorio”, ha detto più volte Orbán attirandosi le dure critiche del presidente ucraino Zelens’kyj.

Per avere più chiaro il tutto conviene far riferimento alla dichiarazione ufficiale del governo danubiano dopo i vertici UE e NATO svoltisi di recente a Bruxelles. Con essa le autorità di Budapest hanno respinto le richieste del capo di stato ucraino relative a invio di armi e a sanzioni in campo energetico contro la Russia. Per Orbán le medesime sono inaccettabili in quanto capaci di ledere gli interessi ungheresi la cui tutela è per lui prioritaria.

Questi afferma di comprendere le ragioni di Zelens’kyj ma aggiunge che anche gli altri devono comprendere le ragioni di Budapest. “Noi non vogliamo andare alla deriva in questa guerra”, ha precisato. E ancora: “Lo sforzo della NATO dovrebbe essere di impedire che la guerra si espanda oltre i confini ucraini”. Già quando la crisi tra Mosca e Kiev stava prendendo la via delle armi il ministero degli Esteri ungherese aveva motivato il rifiuto di aderire all’invio di truppe NATO proposto da Biden con la necessità di trovare a tutti i costi una soluzione diplomatica. “Non vogliamo una nuova guerra fredda”, aveva affermato Péter Szijjártó, titolare del dicastero in questione.

Il no di Budapest alle sanzioni energetiche contro la Russia si comprende considerando i buoni rapporti esistenti da tempo fra Orbán e Putin e il fatto che l’85% delle forniture di gas all’Ungheria arriva dalla Russia, lo stesso vale per il 64% delle importazioni di petrolio. Il governo del Fidesz ricorda di aver condannato l’intervento russo nel paese confinante, di essere preoccupato per l’integrità territoriale dell’Ucraina ma soprattutto per le sorti della popolazione ungherese che, secondo il premier, non deve pagare il prezzo della guerra.

A diversi analisti sembra che questi messaggi basati sulla maggiore opportunità di mantenere una posizione neutrale – cosa che, sostanzialmente, fa divergere le posizioni delle autorità ungheresi da quelle degli membri del Gruppo di Visegrád – e di pensare principalmente alla tutela degli interessi nazionali, stiano funzionando meglio di quelli dell’alleanza di opposizione. Quest’ultima vuole, infatti, un’Ungheria legata al mondo occidentale, all’UE e alla NATO, specie in questo frangente, e pronta ad aiutare concretamente l’Ucraina contro l’intervento russo.

Va sottolineato il fatto che la popolazione ungherese appare profondamente divisa sulla posizione assunta dal governo di fronte al conflitto. Secondo un sondaggio effettuato dall’Istituto Publicus tra il 7 marzo e l’11 marzo scorsi, il 64% considera l’intervento russo aggressione più che difesa. Il 90% degli elettori di Uniti per l’Ungheria parla apertamente di aggressione militare da parte di Mosca nei confronti di Kiev, mentre la vede così il 44% degli elettori del Fidesz. Il 90% dei primi sostiene che Orbán dovrebbe condannare più apertamente la Russia per quanto sta avvenendo, mentre solo l’8% dei sostenitori del governo sembra essere di questo parere o per lo meno ritiene che Orbán dovrebbe assumere una posizione più netta contro l’iniziativa armata russa. Infine, un’indagine condotta dall’istituto di sondaggi Medián, ha messo in luce il fatto che il 43% dei sostenitori del Fidesz afferma che la Russia sta agendo in modo giusto in Ucraina.

A parte questo, l’Ungheria ha il suo gran da fare nella gestione dell’emergenza profughi provenienti dall’Ucraina, molti di loro appartenenti alla minoranza ungherese che conta circa 200.000 persone. Si tratta di una situazione che sta creando molti problemi dal momento che in questi anni il governo si è impegnato a smantellare le infrastrutture funzionali all’accoglienza dato il suo rifiuto ufficiale di ospitare migranti e profughi, specie quelli musulmani o comunque di altra cultura.

La posizione dell’esecutivo ungherese di fronte alla guerra in Ucraina è quindi un argomento in quest’ultimo scorcio pre-elettorale. Va detto che questo voto andrà seguito con attenzione, perché è la prima volta, da che Orbán è tornato al potere, ossia dal 2010, che si forma un’ampia alleanza di opposizione a livello nazionale. Secondo l’Istituto Medián potrebbero esserci delle sorprese anche perché, a suo giudizio, è difficile valutare l’effetto degli eventi bellici in atto sulla vita politica ungherese e Orbán, anche in questo caso, si produce in equilibrismi sia sul fronte interno che su quello geopolitico per continuare a mantenere il suo sistema di potere. Un sistema che dal 2010 si è subito impegnato a esercitare un controllo saldo un po’ su tutte le manifestazioni della vita pubblica del paese. Ora va data la parola agli elettori e quelli dell’opposizione ritengono di avere stavolta una grande possibilità. Vedremo.

 

(credit foto EPA/OLIVIER HOSLET – EPA/STEPHANIE LECOCQ)



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