Elezioni in Ungheria: ancora una volta Orbán

Il risultato elettorale ha visto il Fidesz prevalere per la quarta volta consecutiva e di nuovo in modo netto.

Massimo Congiu

Neanche Uniti per l’Ungheria è riuscita ad avere la meglio su Orbán e a gettare almeno i semi per un cambiamento necessario quanto lontano. Così appare questa prospettiva alla luce del risultato elettorale che ha visto il Fidesz prevalere per la quarta volta consecutiva e di nuovo in modo netto. Così questa sconfitta risulta ancora più dolorosa di quella di quattro anni fa, quando ai sostenitori dell’opposizione era sembrato che qualcosa potesse cambiare. Ancora più dolorosa perché stavolta al voto si è presentato, a livello nazionale, un fronte d’opposizione formatosi con l’intento di porre fine al governo Orbán e di operare una svolta. Per quanto più volte, negli ultimi tempi, i sondaggisti abbiano dato in vantaggio il medesimo, ai più attenti sarà sembrata una conquista ardua prevalere sulle forze governative alle elezioni. L’anno scorso, rivolgendosi al suo partito, il premier aveva ammesso che il test elettorale del 2022 sarebbe stato più complesso del solito ma aveva mostrato una certa sicurezza nel successo finale.

Uniti per l’Ungheria aveva a che fare con un personaggio politico abile, un leader che finora è stato capace di sfruttare con successo diverse situazioni per rinsaldare il suo potere. Da dodici anni a questa parte il premier alimenta nei suoi connazionali la convinzione che il paese sia costantemente minacciato dall’esterno e che occorra impegnarsi per difenderlo. Secondo la propaganda orbaniana le minacce sono rappresentate dalla tecnocrazia dell’UE, dagli speculatori del capitale globale – Soros in testa – dalle multinazionali, dai migranti e oggi dalla stessa guerra in Ucraina che, a detta del premier, potrebbe fagocitare l’Ungheria.

Più concretamente, nel 2015 Orbán ha pensato di approfittare degli ingenti flussi migratori verso l’Europa per agitare lo spauracchio di un’invasione da parte di migranti musulmani e vestire i panni del leader che protegge i confini nazionali e anche quelli di Schengen da questo pericolo. Il gioco ha funzionato e il tema in questione è diventato centrale nella martellante propaganda governativa. Essa ha comportato un investimento considerevole che purtroppo ha dato i suoi frutti in termini di sostegno all’“uomo forte d’Ungheria”. Come risultato abbiamo una parte considerevole di popolazione resa ostaggio di paure insufflate dal sistema e convinta che Orbán sia la risposta a queste minacce.

Nelle ultime settimane di campagna elettorale il governo ha sfruttato molto il tema della guerra in Ucraina scegliendo una sorta di neutralità ambigua quanto si vuole ma efficace in termini propagandistici. Il premier ha infatti ostentato un grande impegno a tenere l’Ungheria fuori dal conflitto in quanto “gli ungheresi non devono pagare il prezzo di questa guerra”. Il presidente ucraino Zelens’kyj non può contare sull’appoggio dell’esecutivo di Budapest, e alla vigilia delle elezioni ha accusato Orbán di mancare di onestà e di essere l’“unico in Europa a sostenere apertamente Putin”. Se queste affermazioni volevano essere di sostegno all’opposizione, va detto che non hanno raggiunto il loro scopo, anzi, magari sono state addirittura controproducenti. In Ungheria, paese confinante con l’Ucraina, la paura della guerra è diffusa e strumentalizzata ad arte dal potere. La propaganda governativa dipinge Orbán come uomo di pace, impegnato a difendere gli interessi del suo paese e l’opposizione come irresponsabile e capace di trascinare lo stato danubiano in una guerra, facendo passare sul suo territorio armi destinate all’Ucraina.

In effetti, il blocco dell’opposizione vuole un’Ungheria dalla parte dell’Occidente e pienamente disponibile a cooperare con l’UE e la NATO per difendere l’Ucraina.

Alla fine dei conti si è visto che Uniti per l’Ungheria non ha potuto molto: secondo le cifre disponibili al momento avrebbe diritto a 56 seggi su 199 in parlamento contro i 135 del Fidesz. Il leader dell’opposizione, Péter Márki-Zay, ha riconosciuto la sconfitta e puntato il dito contro il sistema “ingiusto e disonesto” creato dai vincitori. Un sistema contro il quale, a suo avviso, non si è potuto fare di più, e ha sottolineato il ruolo della propaganda martellante e onnipresente dell’esecutivo. L’alleanza che rappresenta si è spesa per sottolineare le violazioni, in Ungheria, dello Stato di diritto, della libertà di stampa, accademica, della magistratura e, in definitiva, anche della gente, si è spesa per porre l’accento sulla corruzione e le clientele, da parte dei governanti, ma ciò non è bastato. Ancora una volta, più delle istanze legate alla difesa dei diritti civili e della democrazia, ha potuto la già menzionata paura. Uno strumento che Orbán sa usare bene. “Abbiamo vinto contro tutti”, ha dichiarato trionfante il premier a risultati noti. Una vittoria ottenuta, a suo parere, contro i nemici interni e quelli esterni.

L’esito del voto inquadra un contesto ben diverso dai sondaggi delle scorse settimane che mostravano un testa a testa fra i contendenti. C’è molto sconforto fra i sostenitori dell’opposizione; in tanti hanno creduto che fosse arrivato il momento di dar luogo ad una svolta, almeno in termini di ridimensionamento del potere di Orbán, e magari, presi dall’entusiasmo, non hanno tenuto in sufficiente considerazione le capacità del premier di manipolare l’opinione pubblica, di metterla sotto pressione. Diversi altri, magari non vicini all’opposizione e neppure al governo, chissà, non hanno trovato convincenti o abbastanza realistici i propositi di Uniti per l’Ungheria. Ma a parte questo, già partono le accuse di brogli e le segnalazioni di irregolarità.

Ora è lecito chiedersi quale sarà il futuro dell’alleanza: porterà avanti il suo impegno o perderà fiducia nella sua “missione”? Certo, è ancora presto per dirlo e dalla leadership non mancano gli inviti a credere che questo è stato solo l’inizio.

Al momento il dato è che, com’era prevedibile, i tempi non sono ancora maturi per un cambiamento concreto in Ungheria, e francamente il paese sembra proprio continuare a essere in mano a Orbán. Forse è anche da questa presa di coscienza che bisogna partire per una prospettiva futura di liberazione.

 

(credit foto Attila Volgyi/Xinhua)



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