Elogio dell’“intolleranza”

Con i chiari di luna incombenti, la volterriana “sostanza della democrazia” innerva e legittima il “diritto all’intolleranza”, pur tassativamente scevra da violenza.

Giuseppe Panissidi

Uno spettro si aggira per l’Italia: l’equivoco della “tolleranza”. Whatever it takes, scandirebbe il serafico Draghi. Tolleranza a qualsiasi costo. Ce l’ha insegnato e raccomandato Voltaire, si recita, quale viatico e promessa di una società libera, ragionevole e umana. Voltaire, con la sua raison souriante, la ragione sorridente, intendiamo pure beffarda.

Il mondo dei credenti ha, comprensibilmente, sempre visto in lui il razionalista intransigente: “La faute est à Voltaire”, canta Gavroche nei Miserabili di Victor Hugo. Appare come una “colpa” imperdonabile, “maxima culpa” altrui nel Confiteor a rovescio, per anime belle e pie devastate dalla dirompente carica distruttiva del suo pensiero e dei suoi libri, (casualmente?) oggi non molto frequentati, nemmeno in Francia.

Certamente sì, Voltaire disdegnava sia il confessionalismo, l’appartenenza integrale a una sigla religiosa specifica, in perenne contrasto con le altre, sia le superstizioni o i pregiudizi, i “préjugés”, formulazioni aprioristiche che precedono il vaglio critico.

Severo critico della chiesa cattolica, non fu tuttavia più tenero con il protestantesimo inglese, il presbiterianesimo, i quaccheri, l’Islam. Vero è che fu un critico della religione come tale. In realtà, benché non religioso, era un uomo profondamente credente, ma in un Dio senza Chiesa, senza Chiese, il Dio, ripeteva, di Socrate, Epitteto, Marco Aurelio, nonché di Newton e di Locke. Pur rimanendo sempre a debita distanza dall’”Illuminismo radicale” – così gli storici – di d’Holbach, l’impresa intellettuale forse più rigorosa e coerente della stagione illuminista francese.

E però, mentre sorrideva, divertito, delle capriole teoriche di chi si affannava a dimostrare l’esistenza di Dio, un tentativo vagamente insensato, peraltro già liquidato dal pensiero filosofico-teologico del tardo Medioevo, si guardava bene dal chiedere all’anonimo ateo di d’Holbach di dimostrarne scientificamente l’inesistenza.

La sua bussola teorica: “La libertà è la salute dell’anima; pochi la possiedono intera e inalterabile”. In virtù di questo presupposto teorico, egli mette a fuoco e in tensione, in modo cristallino, l’unità storico-antropologica dell’uomo.

Ed ecco il punto dirimente. L’elaborazione della libertà umana si coniuga strettamente con il principio di tolleranza. Gli uomini, limitati da errori e passioni incessanti, soffrono regolarmente di un difetto di ragione e, pertanto, di completa libertà: “La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta dunque che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani”. Per concludere. “Il diritto all’intolleranza è assurdo e barbaro, è il diritto delle tigri, anzi ben più orrido, perché le tigri si fanno a pezzi per mangiare, noi ci sterminiamo per dei paragrafi”.

Ragione, tolleranza, umanità, la nuova parola d’ordine della tradizione culturale occidentale, della società vagheggiata dall’illuminismo francese. In modo particolare, la tolleranza diventa la grande bandiera dell’intera filosofia del Lumi. Tale l’obiettivo del “Trattato sulla tolleranza”, è il 1763, l’opera di alto valore civile e politico di un combattente contro le ingiustizie del fanatismo clericale, volta a “rendere gli uomini più tolleranti e più miti”. Se è vero, com’è vero, che la tolleranza “non ha mai provocato una guerra civile, mentre l’intolleranza ha coperto la terra di massacri”. E il Trattato si conclude con un appello: “Questo scritto sulla tolleranza, è un’istanza che l’umanità presenta molto umilmente al potere e alla prudenza”. La fiducia nelle spontanee facoltà razionali del genere umano spinge Voltaire ad appellarsi alla capacità di ragionare propria di ogni uomo: “Supplico il lettore imparziale perché pesi queste verità, perché le rettifichi e le propaghi. Gli attenti lettori che si comunicano i loro pensieri sono sempre più efficaci dell’autore stesso”. Gli uomini sono dunque chiamati a lottare per la tolleranza. Se non che, la virtù della tolleranza risiede nell’amore per la giustizia della religione naturale, che, grazie all’azione illuminatrice della ragione, svuotato il patrimonio dogmatico, unisce spiritualmente tutti gli uomini al di là delle differenze di costumi, di usanze e di religione.

In breve, Voltaire distingue fra la sostanza della democrazia e le particolari forme fenomenologiche in cui essa si manifesta, nelle condizioni storiche date. Ed è soprattutto la sostanza della democrazia che gli preme indagare, tanto da impegnarvi, fino alla fine della sua lunga vita, tutte le risorse della sua intelligenza. A distanza di più di due secoli, le parole di Voltaire sulla tolleranza sono sorprendentemente attuali, e incondizionatamente valide quanto alla sfera religiosa.

Alla sola condizione di non estendere il dovere della tolleranza in modo indiscriminato ad ambiti e soggetti… allotri. Un’estensione arbitraria e indebita, confliggente con l’idea profonda del grande pensatore illuminista, con il senso e il fine ultimo della sua riflessione.

Il Paese vive una sfida cruciale, impegnato su un vero e proprio tornante della nostra storia, nell’imminenza del centenario della gloriosa – nell’accezione tragicomica del “miles gloriosus”, il soldato spaccone di Plauto – “marcia su Roma”, trionfo di un branco selvaggio di individui sbandati, nella splendida cornice della dinastia sabauda. Per un re-travicello e una patria disfatta. La frustrazione si fa… Storia.

Ebbene, noi non sappiamo se Meloni sia fascista. Purtuttavia, al di là dei bizantinismi di comodo, certo è che, se lo fosse, non potrebbe mai dichiararlo! Infatti, non potrebbe guadagnare la premiership con il solo 10% dei voti fascisti, per quanto inquietanti. Invece, grazie all’astuta ambiguità, quasi ostentata, manca poco che arrivi al triplo, al 30%, incassando il consenso dei più, di quanti fascisti non sono. Ed è per questa precisa ragione che non può neppure dichiararsi antifascista, proprio perché non può giocarsi i voti dei camerati. Le servono gli uni e gli altri e, innanzitutto, quelli della Lega delle felpe, la cui constituency ha rapidamente assorbito, nella desolata assenza di alternative e proposte chiare e plausibili, in specie dall’agorà politica di chi si illude di potere vivacchiare di rendita parassitaria, e di chiacchiera impotente, vita natural durante, perdendo regolarmente le elezioni, talora in malo modo, e tuttavia esercitando disinvoltamente il potere di comando e di governo, sostanzialmente privo di una significativa legittimazione popolare, presente ingiustificato, grazie a sortilegi legislativi elettorali tendenzialmente antidemocratici e antipopolari. Per la serie: trasparenza cercasi.

Penso che Mussolini fosse un buon politico. Tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per l’Italia. Non ci sono stati altri politici come lui negli ultimi cinquant’anni. Inutile recriminare, ma… Potrebbe mai, la signora, ripetere oggi, chez nous, questo giudizio, non a caso ‘confessato’ alla tv francese nel ’96?! All’estero, certe esternazioni, voci dal sen fuggite, sono meno… compromettenti, ai nostri occhi distratti. Infatti, se qualcuno, oggi, le pone la domanda, opportunamente genuflesso e compiacente, lei cambia discorso, impunemente.

Del resto, solo gli sprovveduti possono immaginare che la nominata sia molto abile e, nel contempo, tanto stupida da confermare, oggi, la sua precedente preferenza di Mussolini a, putacaso, De Gasperi. Né si comprende che, alla stregua dei rudimenti della logica e del linguaggio, affermando, quasi sollevati, che è “anti-antifascista”, si assume intrinsecamente che è fascista, visto che i due prefissi oppositivi “anti” si elidono reciprocamente.

In realtà, Meloni sa di essere particolarmente adatta al Belpaese, al quale non può che parlare, in specie durante uno scontro elettorale decisivo, in modo diverso da quando si eccita, al naturale, davanti a Vox! Tal Crosetto, suo scaltro sodale, l’ha ammesso: “Linguaggi diversi a seconda del luogo e dell’uditorio”! Un escamotage davvero intrigante. Gli oratori ateniesi, Lisia in modo particolare, chiamavano “etopoia” una tecnica retorica siffatta, efficacemente idonea nelle aule di giustizia, non mai, però, nella battaglia per il potere, la “lotta per la città”, nel linguaggio tragico greco classico.

È del tutto evidente che, concreto rischio democratico a parte, il perturbante pericolo fascista, il secondo spettro dell’ora, se non più buia, almeno più grottesca, è solo il rifugio immaginario, disperato e confuso dell’inadeguatezza politica di qualche leader soi-disant. Sebbene non si debba escludere la specifica complessità di pericoli ‘altri’. Farse dopo le tragedie, evidentemente, comodi surrogati del fuoco/fiamma sempre ardente, indubbiamente, e però… Scintille da non sottovalutare. Leggi: la guardia sempre alta.

A onor del vero, tuttavia, è giocoforza riconoscere alla signora della fiamma un’intensa sollecitudine verso gli svantaggiati, ragione segreta della sua bramosia del potere. Per i circa dodici milioni di cittadini, anch’essi di Dio-patria-famiglia, in povertà assoluta o relativa, la prima donna – finalmente! – trascorre notti insonni, in connubio appassionato – l’amore non è bello se non è litigarello, no? – con due degni compagni di strada – di strada: ad litteram – non diciamo di merenda. Due soci di pari ardore, quand’anche, forse, non dei bagliori dello stesso fuoco dell’astro nascente, ma – per scegliere fior da fiore – la cui trovata della flat tax rappresenta l’agognata panacea del disagio sociale e umano di vaste frazioni di popolo in trepida attesa. Come Pulcinella, ora sanno che la loro fame un giorno sarà saziata.

In un clima mefitico siffatto, non possono certo stupire né il fulmineo tentativo di colpo di mano destrorso sulla deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici, né la giustificazione, da parte di una nota e illuminata imprenditrice, degli emolumenti stratosferici dei manager privati, in quanto “generatori di profitti indispensabili per gli investimenti”. Ecco, infine, svelato l’arcano. Gli operai salariati non generano profitto, evidentemente, com’è noto e come l’onesta signora avrà appreso dai saperi alti di altri mondi, visto che l’intera costellazione teorica terrestre dell’economia politica, classica, neoclassica e contemporanea, da Adam Smith e Karl Marx a Max Weber e John M. Keynes, fino al pensiero economico-sociale dell’altro ieri, al netto delle divergenze interne, spesso a carattere puramente ‘evolutivo’, concorda sulla relazione inscindibile che ancora, domani chissà, stringe lavoro salariato, in tutte le sue forme, e modello di produzione con capitale, globale o meno.

E però – lectio magistralis – vi traluce, in forma finalmente scoperta, noterebbe Marx, lo stigma di un’identità collettiva degradata: la giustificazione dell’intollerabile, eretta a sistema, anche mediale. Hybris, classicamente, il suo nome proprio. Tracotanza: il senso e il significato. Con l’essenziale differenza, rispetto al mondo greco antico, del suo dispiegarsi, tollerata e finanche rispettata, dentro e al riparo dell’ordine costituito, non contro di esso.

In tale evenienza, e ai chiari di luna incombenti, la volterriana “sostanza della democrazia” innerva e legittima il “diritto all’intolleranza”, pur tassativamente scevra da violenza. Un diritto che non appare più né assurdo, né barbaro e che, anzi, rappresenta un dovere della ragione, dell’umanità e della democrazia. E della libertà: “Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo”. Il senso del discorso non potrebbe essere più chiaro: “Bisogna che gli uomini, per meritare la tolleranza, comincino col non essere fanatici. Né giova ricordare, è pacifico, che la sindrome del fanatismo può assumere molteplici e imprevedibili forme surrettizie e insidiose.

Il nostro diletto Voltaire, conclusivamente, confessa: “Bevo quaranta caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli”. E i “codardi per bene”, Freud chioserebbe. Coronamento e suggello della virtù della tolleranza, il dovere di negarla ai tiranni e agli imbecilli, ai nemici ossia della tolleranza, non meritevoli del beneficio del “perdono, la prima legge naturale”.

L’intolleranza dell’intolleranza, nesso dialettico costruttivo della forma più alta della tolleranza.
Pensare, pensare e ancora pensare, eccellente rimedio disintossicante per cittadini infelici e confusi e candidati non sempre candidi.

Lezione finale sul metodo, ancora Voltaire: “Il dubbio è scomodo, ma solo gli imbecilli non ne hanno”. Eppure, nulla più del dubbio è maggiormente consono agli apprendisti stregoni, visto che, ancora Voltaire: “il piacere di governare deve senza dubbio essere squisito, se dobbiamo giudicare dal grande numero di persone che sono ansiose di praticarlo”.

Dunque, qualche sano dubbio in più, cifra autentica e indefettibile dell’umano vizio del pensiero, e qualche bestialità piramidale in meno, sì, intollerabile, e chissà… spes ultima dea. Coltivando speranze.



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