Perché Elon Musk vuole comprare Twitter (e proprio ora, in piena guerra)?

In questa intervista a Michele Mezza, giornalista, saggista e docente universitario italiano, analizziamo cosa sta accadendo ai più alti livelli del mondo finanziario e digitale, partendo da una domanda: perché Elon Musk vuole comprare Twitter proprio in questo momento storico?

Daniele Nalbone

Elon Musk compra Twitter. Il prezzo: per 54,20 dollari per azione per un’operazione monstre da 44 miliardi di dollari. Con l’acquisizione, che si dovrebbe chiudere entro il 2022, il social network lascerà Wall Street. La conferma dell’operazione arriva dal Consiglio di amministrazione di Twitter che ha approvato all’unanimità l’acquisizione da parte di Elon Musk.

Per capire cosa sta accadendo ai più alti livelli del mondo digitale e provare a rispondere ad alcune domande centrali abbiamo intervistato Michele Mezza, giornalista, saggista e docente universitario italiano, ideatore del progetto rainews24 e autore di diversi libri tra cui Il contagio dell’algoritmo (Donzelli, 2020)

La prima domanda non può che essere: perché Elon Musk vuole comprare Twitter? E perché proprio ora, con un conflitto in corso come quello in Ucraina?
Giusto partire dal contesto. Siamo in una stretta bellica drammatica che, oltre ai terribili aspetti umani, sta ridisegnando drasticamente la geografia del mercato e della rete, rendendo “locali” le grandi piattaforme. “Locali” perché dovranno, di fatto, rinunciare al grande mercato orientale. La questione centrale è quindi capire come si riassetterà questo mondo, e questo mercato. L’operazione di Elon Musk fa intuire la strada: stiamo andando verso un arroccamento territoriale, localizzato nel cosiddetto Occidente, da parte dei grandi gruppi che mirano ormai a costruire dei domini locali, quasi per bilanciare la perdita di una fetta di fatturato in un’area che fino a poco fa era di consistente espansione come Cina, Russia, India. Parliamo di metà della popolazione del pianeta.

Che tipo di operazione ha in mente Elon Musk con Twitter?
Il gruppo che fa capo a Elon Musk ruota intorno a tre aree, tutte e tre in grande espansione. La prima è rappresentata dal gruppo automobilistico Telsa che sta marciando verso un sistema di guida senza pilota, utilizzando dati e sensori per sostituire l’uomo. La seconda: una flotta composta da 18mila satelliti che stanno scannerizzando ogni area del pianeta e che sta intervenendo nella guerra come alleato diretto della resistenza ucraina. La terza: la parte legata alle microbiologie che, in neurologia, sta lavorando a un uso terapeutico dei microchip.
Cosa manca in questo “portafogli”? Un “luogo” in cui attingere a dati comportamentali, magari di un segmento elitario della popolazione. Ebbene, Twitter non ha solo 250 milioni di utenti attivi, ma tra questi ben cinque milioni di giornalisti di ogni angolo del pianeta. Su Twitter gira gran parte del traffico relativo alle informazioni e alle opinioni. Su Twitter si può analizzare il clima politico e culturale di specifiche aree del pianeta.
Diciamo che l’operazione Twitter è volta ad avere un “data set” utile per costruire e sviluppare nuovi processi di automazione.

Gli altri colossi resteranno a guardare? E in Oriente cosa accadrà?
In corso c’è un cambio radicale dei meccanismi tecnologici, una sorta di “balcanizzazione”, una contrapposizione territoriale che per anni escluderà la tanto citata trasversalità delle piattaforme. Ogni potenza rimarrà recintata nelle proprie piattaforme: a Oriente dobbiamo aspettarci la nascita – la creazione – di un intranet orientale; a Occidente un modello di sviluppo più coerente con il clima culturale e politico.
Quello che cambierà saranno i processi di fruizione e i meccanismi di offerta. Netflix ne è una prova. Stiamo entrando in una logica di interoperabilità e le grandi piattaforme usciranno da questa crisi geopolitica con una faccia ripulita: scandali come Cambridge Analytica saranno alle spalle perché saranno stati strenui sostenitori della libertà in Occidente. Dall’altra parte, però, avranno accumulato straordinarie esperienze, analisi, proiezioni in questo grande “laboratorio” che è la guerra in Ucraina.

L’interesse di Elon Musk per Twitter dimostra anche che il giornalismo si avvia verso un nuovo corso?
Dobbiamo aspettarci importanti salti di qualità sul settore social, sui sistemi “intelligenti”, fino ad arrivare, per fare un esempio, all’automatizzazione delle attività editoriali. Pensiamo al ruolo fondamentale che oggi hanno i sistemi di ricerca video o la profilazione e l’indicizzazione delle fonti. Ed è qui che si aprirà un punto critico: nel rapporto tra istituzioni e piattaforme private. Non potremo più “accontentarci” dell’attuale contrapposizione in cui le istituzioni regolano e le piattaforme operano.

Oriente e Occidente. Dove Oriente è stato “tradotto” in Cina, Russia, India, mentre Occidente è sinonimo di Silicon Valley. Siamo destinati a continuare a guardare all’Europa come alla grande assente nella sfida tecnologica?
L’Europa arriva a questa sfida da assente e rimane assente. Arriva sì con una serie di “primati istituzionali”, con una normativa iniziata con il Gdpr per la gestione dei dati e poi con il nuovo “Digital market act” appena licenziato ma già dimenticato, passato in ombra a causa dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina.

Ora, davanti a questo nuovo salto, bisognerà rivedere tutta una serie di strategie, norme, leggi, criteri: siamo davanti a uno stravolgimento degli scenari su cui si è faticosamente attestata l’Europa.
Ricordiamoci sempre che la tecnologia non è di destra e non è di sinistra. Ma, attenzione, la tecnologia non è neutra: caratterizza l’ambiente che organizza. Per questo serve un progetto conflittuale paragonabile a quello che nel secolo scorso c’è stato sul mondo del lavoro. I tre step sono sempre gli stessi: conflitto sociale, mediazione, accordi. Tutto ciò non può essere delegato alla politica, servono interessi sociali che costringano la politica a prendere posizione.

Mark Zuckerberg. Jack Dorsey. Elon Musk. Jeff Bezos. Sono davvero dei geni? O hanno – diciamo così – perso smalto?
Forse lo sono stati. Forse lo sono ancora. Di certo oggi stanno vivendo della rendita di posizione accumulata. Stanno strizzando profitti dai propri primati e si guardano bene dal metterli veramente in gioco. Nonostante ciò, nessun colosso è rimasto uguale, ma si è evoluto, affermandosi in un settore. Google è diventato il centro editoriale del pianeta; Facebook sta diventando una sorta di impresario di virtualità; Twitter sta cercando una bussola per mettere a frutto il suo essere luogo di incontro degli snodi informativi; Amazon è ormai una fabbrica di automazione dei comportamenti sulla scorta dei dati che ha accumulato, essendo di fatto monopolista del cloud.

Il web cambierà?
Stiamo andando velocemente, senza quasi accorgercene, verso il “web 3.0”. Stiamo assistendo a processi di decentramento che usano le risorse tecnologiche non per fruire passivamente di servizi ma per riprogrammarli. E in questo si potrebbe innestare la tragica novità della guerra. In fondo, questa è una “guerra 3.0”, con telefonini, video, satelliti, connessioni “mesh”[i] impiegati sul campo di battaglia.


Credit Image: © Rafael Henrique/SOPA Images via ZUMA Press Wire

[i] Una rete mesh WiFi è una rete peer-to-peer (dunque non server-to-client) in cui i vari elementi che la compongono, chiamati “nodi”, concorrono in ugual misura alla distribuzione dei pacchetti dati, senza alcun ordine gerarchico. I nodi che compongono la rete mesh non sono altro che punti di accesso WiFi.

 



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