Enrico Mentana e il paternalismo climatico

Le parole di Enrico Mentana rivolte agli attivisti di Ultima Generazione all’indomani del disastro ambientale in Emilia-Romagna sono emblematiche di quello che appare come un vero e proprio scontro di prospettive, l’attivismo per il clima da una parte e un paternalismo climatico di reazione che sembra non volersi prendere alcuna responsabilità.

Diego Renzi e Giacomo Pasini

La ramanzina di Enrico Mentana nei confronti degli attivisti di Ultima Generazione, rei di perdere tempo bloccando le autostrade invece di sporcarsi le mani dopo le alluvioni in Emilia-Romagna (“un’occasione persa” la definisce lui), è espressione sintomatica di una tendenza ben più diffusa di quanto sembrerebbe: quella del paternalismo climatico. “Non è così che si fa”, “non sono questi i modi”, “dai ragazzi che siete ancora in tempo, meno monumenti imbrattati, meno comparsate tv e più sana, ma faticosa militanza” (anche queste ultime sono parole di Mentana).
I paternalisti sembrano sapere sempre cosa “i ragazzi” debbano fare o come possano farlo meglio di come lo stanno facendo. “Ragazzi” da educare, tutt’al più da compatire, oppure da indagare, come membri di associazioni a delinquere (si veda il caso di Padova).
I paternalisti sembrano doversi esprimere anche in battaglie che osservano da lontano, che apparentemente non sembrano riguardarli. Sulla crisi climatica e le azioni dei movimenti per il clima, denotano un atteggiamento fortemente legato ai valori culturali dell’ambiente storico in cui sono cresciuti.

Il paternalismo, lungi dal rappresentare un qualsivoglia elemento di carattere generazionale, è all’opposto una questione di valori. L’abito mentale che esprime è quello di una predilezione verso la centralità della produzione e del consumo, il primato della dimensione individuale o familiare su quella collettiva, la forte etica del lavoro. È ciò a cui si appellano solitamente gli automobilisti iracondi nei confronti degli attivisti di Ultima Generazione e di Extinction Rebellion quando bloccano strade, autostrade e tangenziali impedendo loro di recarsi nelle sedi del lavoro. Tutto sommato non molto diversa, come reazione d’insofferenza e indignazione, da quella che vediamo da ormai decenni contro gli scioperi: a riprova del fatto che non parliamo di una questione innanzitutto generazionale. In effetti, l’incontro-scontro in strada esemplifica plasticamente lo sfasamento tra le prospettive in campo. L’attivista produce una rottura fisica nel traffico quotidiano del “business as usual”: con il proprio corpo, ostacola il passaggio metodico dei veicoli, obbligando i conducenti ad una sosta (e ad un ascolto) forzati. Le invettive più ricorrenti contro gli attivisti vanno dal “fatemi andare a lavorare”, al “non avete niente da fare”, fino ai consigli più premurosi: “sei giovane, pensa ai tuoi genitori”. Il bisogno immediato (e, sia chiaro, legittimo) di “portare il pane a casa” del conducente, si scontra con la rivendicazione mediata dell’attivista: mediata perché guarda agli effetti a lungo termine del disastro climatico (che mina la possibilità stessa di avere una casa e una famiglia) e trascende la dimensione individuale-familiare per rivendicare l’urgenza strutturale di un’azione collettiva. È la richiesta di un impegno in prima persona, che non può permettersi di attendere il segnale di una distratta rappresentanza parlamentare.

Tra le conseguenze più o meno dirette dell’impostazione valoriale paternalista vi è l’interventismo emergenziale a cui si assiste in questi giorni. Agire sull’evento singolo quando il danno è ormai occorso, quando i fiumi sono straripati, quando le case sono sommerse, per non mettere in discussione le fondamenta del sistema. Trascurare una progettualità comunitaria in favore di una responsabilizzazione individuale. E così Mentana si appella al buon cuore dei singoli e delle famiglie condividendo sui social l’IBAN per offrire un aiuto immediato all’Emilia-Romagna. Non c’è che emergenza: il messaggio è che bisogna svuotare con i secchi il mare che si sta innalzando. Ecco che un monumento imbrattato diventa peggiore di un monumento annegato.
Mentre il paternalista richiama i più giovani, con una sarcastica pacca sulla spalla, a “rimboccarsi le maniche” in episodi circoscritti, l’attivista climatico denuncia le storture sistemiche generatrici di questi episodi (l’89,8 per cento della finanza pubblica italiana è investita in combustibili fossili, ricorda Ultima Generazione). Nel discorso del paternalista climatico la dimensione strutturale, la consapevolezza che il collasso imminente richiede una trasformazione radicale del modello economico-sociale, non è tematizzata.

Gli attivisti “blastati” (o bullizzati?) da Mentana agiscono sullo sfondo dell’estinzione, della fine del mondo, delle rovine. Rovine spaesanti, concrete, come quelle descritte dal sindaco di Castel Bolognese dopo le frane a catena sul suo territorio: «Qui è cambiata la geografia, bisognerebbe riscrivere i libri: non ci sono più dei monti, non ci sono più delle strade, non ci sono dei ponti».
A partire dagli anni Cinquanta, in un’Europa devastata da una Guerra Mondiale, ci si convinse che l’emancipazione sociale sarebbe stata ottenuta producendo sempre di più, consumando altrettanto. I paternalisti climatici come Enrico Mentana, spesso figli della generazione che ha ricostruito con solerzia, mattone per mattone, l’Europa disastrata da una Guerra Mondiale, non sembrano vedere le rovine, i rifiuti e l’esaurimento di futuro che quel modello ha provocato.

Ciò che si consuma tra il paternalismo climatico e l’attivismo per il clima è uno scontro di prospettive: un costruire distruttivo e una decostruzione costruttiva. Da un lato un modello socio-economico che ha promosso, fra le altre cose, una cementificazione sconsiderata; dall’altro un tentativo di decostruirlo, in quanto principale causa della crisi attuale. Il geologo Mario Tozzi osserva come il disastro ambientale dell’Emilia-Romagna abbia ben poco di “naturale”: le piogge torrenziali correlate alla crisi climatica sono state catastrofiche, ma è l’”alluvione di cemento e asfalto” che ha ricoperto i territori nazionali negli ultimi cinquant’anni ad aver fatto il resto. Ecco il sintomo di una progettualità finalizzata al soddisfacimento dei bisogni immediati, che impedisce una prevenzione efficace di tali disastri.
Il messaggio degli attivisti per il clima si contrappone a quello paternalista, dissotterra la radice del problema e mette i paternalisti stessi di fronte alle proprie responsabilità. Il sistema che ha concesso loro il “boom”, i benefici, il potere è il problema: è un regime ecologico, economico, sociale in cui non c’è spazio per il futuro, nemmeno di chi è partecipe di quel privilegio.

Foto Flickr | International Journalism Festival 



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