Caro Arcivescovo, ti sfido

Lettera aperta all’arcivescovo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, sul diritto all’eutanasia.

Paolo Flores d'Arcais

Caro Vincenzo, non hai perso tempo!
Marco Cappato aveva appena annunciato il raggiungimento di mezzo milione di firme per abrogare quella parte di una legge fascista che condanna a anni e anni e anni di carcere l’omicida di consenziente (una obbrobriosa “contradictio in adiecto”), che tu scatenavi il fuoco di sbarramento, tuonando contro la nuova concezione: “Chi è nato e non è sano, deve morire. È l’eutanasia. Questa è una pericolosa insinuazione che avvelena la cultura”. Nell’urgenza della polemica devi aver dimenticato l’ottavo comandamento, che proibisce la menzogna (o dirai che la tua non è una falsa testimonianza perché non è una testimonianza? Più testimonianza di così, coram populo …).

Il referendum, per il quale la raccolta di firme continua fino a tutto settembre (bisogna raccoglierne molte di più per evitare la cabala degli annullamenti) non si sogna minimamente di stabilire che “chi è nato e non è sano, deve morire”. Chiede che non sia più un reato l’aiuto che si offre a chi, vivendo la propria vita ormai solo come tortura, invoca che a quella tortura sia posto fine, senza dover ulteriormente soffrire di una forma di morte agghiacciante. È concesso perfino nelle esecuzioni. Si chiama, non a caso, colpo di grazia.

Sono cose che sai benissimo. Perché menti, allora? E in che qualità menti? Di cittadino italiano o di alto esponente della gerarchia vaticana e della Chiesa cattolica? Poiché le tue bugie sono state diffuse da “Vaticano news” sembrerebbe darsi il secondo caso. E allora ti staresti rivolgendo solo alle pecorelle del tuo gregge, che del resto sanno benissimo che l’eutanasia è condannata dalle gerarchie cattoliche come peccato mortale, per il quale la pena si paga nell’aldilà, si tratti di fiamme o di privazione della visione di Dio – i teologi discordano – sempre per l’eternità, comunque. (L’eutanasia è condannata dalle gerarchie, sottolineo. Grandi cattolici come il teologo Hans Küng, o il più giovane dei “padri conciliari” del Vaticano II, Dom. Giovanni Franzoni, hanno scritto per il diritto di ciascuno all’eutanasia, con argomenti squisitamente cristiani, dottrinali, scritturali, oltre che generalmente umani).

Dunque, la raccolta delle firme non c’entrerebbe per nulla, sarebbe solo una occasionale convergenza temporale.
Questo se vogliamo giocare al gioco dell’ingenuità irresponsabile, o, come direbbe il vangelo, dei “sepolcri imbiancati” e degli “scribi e farisei”. Tu in realtà stai alzando il fuoco di sbarramento contro la possibilità di questo referendum, che sancirebbe l’avvenuta secolarizzazione della società italiana in modo perfino più clamoroso dei referendum sul divorzio e sull’aborto. E conti sul fatto, evidentemente, che oggi tutte le poltrone chiave della vita istituzionale italiana sono occupate da personalità cattoliche.

Ma se sei davvero convinto che anche in termini laici sia possibile portare argomenti contro il diritto di ciascuno all’eutanasia, perché non accetti un confronto pubblico? Ti sfido una volta di più a questo confronto, dove vorrai e nei termini che vorrai, sono certo che non ci sia un solo festival o una sola trasmissione televisiva che ti rifiuterebbe lo spazio adeguato.
Temo però che ti sottrarrai una volta di più. Sul tema del diritto all’eutanasia ciascuno di noi ha scritto un libro (Vincenzo Paglia, Sorella morte, Piemme 2016; Paolo Flores d’Arcais, Questione di vita e di morte, Einaudi, 2019), perché hai paura che le tue ragioni non reggerebbero contro le mie in un dialogo argomenti razionali contro argomenti razionali? Audere sape!

Con immutato affetto,
Paolo

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