In Spagna approvata l’eutanasia. L’Italia resta clericale?

La cattolica Spagna ha di recente approvato una legge che finalmente rende ciascun cittadino libero di decidere se interrompere la propria vita, quando per lui diventa tortura. Una legge di civiltà, per nulla permissiva, approvata a larga maggioranza nonostante la ferma contrarietà della Chiesa. A quando un analogo passo anche in Italia?

Paolo Flores d'Arcais

Il 18 marzo il parlamento spagnolo ha approvato la legge che consente a chi “vive” la propria “vita” ormai solo come tortura, di porvi fine. Ottenendo da un medico il farmaco necessario, se è in grado di assumerlo da solo, o facendoselo iniettare, se non lo è. Tecnicamente, la legge parla nel primo caso di suicidio assistito e nel secondo di eutanasia. La legge diventerà operativa tre mesi dopo la sua approvazione. Solo la destra del Partido Popular e i pre-fascisti di Vox (più alcuni deputati regionalisti) hanno votato contro. E già stanno cercando di impedire che entri in funzione, attraverso un ricorso alla Corte costituzionale.

La legge non è affatto permissiva, e non spinge affatto a scegliere la morte come soluzione più facile. Possono richiederla, infatti, solo coloro che soffrano di una malattia grave e incurabile o di patologie gravi croniche e disabilitanti, che impediscono l’autosufficienza e/o che generano una sofferenza fisica (e/o psichica) costante e intollerabile.

Il sofferente dovrà dichiarare di essere a conoscenza che esiste l’alternativa delle cure palliative, dovrà reiterare la richiesta per ben quattro volte in cinque settimane, passando al vaglio del proprio medico, cui dovrà ribadire la richiesta entro due settimane, poi di altri due medici estranei al caso, nominati da una commissione regionale di sette membri, che deciderà infine entro tre settimane se dare o meno l’autorizzazione.

La legge prevede il diritto di ogni medico all’obiezione di coscienza.

La maggioranza parlamentare, 202 voti a favore, 141 contrari e 2 astensioni, benché ampia, è decisamente inferiore a quella dei cittadini, visto che i sondaggi raccontano di un 85% degli spagnoli favorevole alla libertà di decidere per l’eutanasia o il suicidio assistito. Che garantisce analoga libertà a chi invece preferisca optare per le cure palliative o la sofferenza.

Prevedibilmente la Chiesa, come un sol uomo, è insorta. Monsignor Luis Argüello Garcia, vescovo ausiliare di Valladolid e segretario generale della Conferenza episcopale ha stigmatizzato: “Una brutta notizia. È stata scelta la soluzione più semplice: per evitare la sofferenza si causa la morte di coloro che la subiscono, senza considerare che si può porre un valido rimedio ricorrendo alle cure palliative”. Eppure, la legge prevede espressamente che il sofferente che chiede di porre fine alla propria tortura sia a conoscenza dell’alternativa “cure palliative” e per ben quattro volte dichiari di non ritenerle sufficienti, di considerare che anche con tali cure la sua sofferenza resterebbe intollerabile.

Sua Eccellenza l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della “Pontificia Accademia per la Vita”, concede che “la sofferenza e la disperazione dei malati non vanno ignorate”, ma stigmatizza a sua volta: “Alla diffusione di una vera e propria cultura eutanasica si deve rispondere con un approccio culturale diverso. La soluzione non è anticipare la fine della vita ma prendersi cura della sofferenza fisica e psichica. La Pontificia Accademia per la Vita sostiene la necessità di diffondere le cure palliative, non l’anticamera dell’eutanasia, ma una vera cultura palliativa del farsi carico dell’intera persona, in un approccio olistico. Quando non si può più guarire, possiamo sempre curare le persone. Non dobbiamo anticipare il lavoro sporco della morte con l’eutanasia. Dobbiamo essere umani, stare accanto a chi soffre, non lasciarlo nelle mani di una disumanizzazione della medicina o nelle mani dell’industria eutanasica”.  Con Vincenzo Paglia siamo amici da decenni. Perciò, caro Vincenzo, mi permetto di osservare che questo modo di “essere umani” è alquanto disumanoalla lettera, visto che disconosce la volontà dell’essere umano che non considera le cure palliative una soluzione alla propria sofferenza. Dunque, non lo tratta come essere umano, nella reciprocità della eguale dignità e libertà, ma lo disumanizza rendendolo mero oggetto, succube di una scelta che come persona umana rifiuta e che la Pontificia Accademia per la Vita rivendica la prepotenza di imporgli.  

Quando non si può guarire, possiamo sempre curare le persone”. Fai attenzione alle forme verbali che (inconsciamente?) hai scelto. L’impersonale “si” per la situazione personale di chi non può guarire, e la prima persona plurale (il plurale maiestatis!) per chi vuole disconoscere la volontà di quella persona, sovrapponendovi la propria: tu/noi, in quanto esponente della Chiesa cattolica, unica titolare della volontà di Dio 

Ma se io vivo una situazione di sofferenza intollerabile, che le cure palliative non allieverebbero, ad esempio perché uno stato di paralisi per cui posso comunicare solo con i battiti di ciglia è per me tortura e basta, chi sei tu per decidere al posto mia sul mio fine vita? O consideri te umano, e dunque me subumano, o consideri me umano e te sovraumano. Ma se siamo entrambi umani, cioè eguali in dignità e libertà, sulla mia vita deciderò io come sulla tua tu, che del resto mai accetteresti la mia pretesa di decidere sulla tua. 

La pretesa tua e della Chiesa Cattolica Apostolica Romana (in realtà delle sue gerarchie, vedremo), è destituita di ogni argomento umano e si basa su un non detto: che la vita di ogni persona non appartenga a quella persona ma a Dio, e anzi al Dio cristiano nell’interpretazione della Gerarchia. Non è lecito dimenticare, infatti, che Hans Küng, il massimo teologo vivente, e Dom. Giovanni Franzoni, ex abate della basilica di san Paolo, equiparato a un vescovo e come tale il più giovane dei Padri conciliari del Vaticano II, hanno scritto libri e pamphlet in difesa del diritto all’eutanasia, e anzi della dimostrazione scritturale, evangelica, dunque eminentemente cristiana di tale diritto, e greggi di fedeli la pensano come loro.

La pretesa della Chiesa cattolica cozza frontalmente con il principio democratico che pone tutti i cittadini sullo stesso piano, e non può dunque privilegiare una fede religiosa sulle altre e soprattutto sui non credenti in alcuna fede. Pretendere che la “volontà di Dio” valga nella sfera della legge ha infatti un nome ben preciso: teocrazia. La praticano tutti gli Stati islamici, è la negazione delle forme democratiche di convivenza, laiche per definizione. 

La Chiesa cattolica, che vuole imporre per legge la propria morale, quindi far valere un principio teocratico, vuole però nascondere tale principio. Ma non appena cerca di dimostrare che il rifiuto del diritto all’eutanasia si basa sulla puramente umana (e introvabile) “morale naturale”, si avvita in un mare di contraddizioni. 

Vincenzo Paglia ha scritto qualche anno fa un libro sull’argomentoSorella morte, due anni fa io ho scritto Questione di vita e di morte. Se Paglia è convinto che i suoi argomenti semplicemente umani abbiano valore, accetti il confronto fra le sue e le mie tesi in un dialogo pubblico su tutti i siti che preferisce. In questo tempo di pandemia non è neppure necessario spostarsi. 

[Foto credit: EPA/CHEMA MOYA]

 

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