Femminicidi, lettera aperta al cardinale Zuppi

Il neopresidente Cei ha espresso profondo cordoglio per l’assassinio di Alessandra Matteuzzi, auspicando un’azione etica e culturale che riguardi tutta la comunità. Sarebbe però il momento che la Chiesa mettesse in discussione la profonda misoginia che la caratterizza.

Cinzia Sciuto

Dopo l’ennesimo, atroce femminicidio di Bologna, si sono come di consueto levate voci di indignazione e condanna. Al coro di vibranti proteste si è unita stavolta anche la voce del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, nonché da poco presidente della Conferenza episcopale italiana. «È un tragico evento – ha dichiarato il cardinale – che scuote Bologna, l’Italia e le nostre coscienze e ci chiede di non restare indifferenti davanti ai casi di femminicidio e alle varie forme di violenza di cui molte donne sono quotidianamente vittime, spesso in maniera silenziosa. Questo dramma ripropone urgentemente la necessità di un’azione etica, culturale e pure di prevenzione, che coinvolge certamente le Forze dell’Ordine ma anche tutta la comunità. Occorre comprendere e ritrovare il vero significato del legame uomo-donna, fatto di reciprocità, dono di sé, progettualità condivisa, mutuo sostegno, rispetto. L’amore è vita e non può mai diventare violenza, persecuzione e morte». Parole sante, caro cardinale. Da sempre le femministe si affannano a spiegare che la sola risposta repressiva – pur indispensabile nei singoli casi concreti – è insufficiente sul piano della prevenzione. Perché i femminicidi maturano in ambienti culturali che non tollerano l’autonomia e l’indipendenza delle donne ed è proprio su questo terreno culturale che è da fare il lavoro di medio e lungo periodo. E se è vero che questa improcrastinabile “azione etica, culturale e pure di prevenzione“ riguarda “tutta la comunità”, è anche vero che ognuno dentro questa comunità deve assumersi il suo pezzettino di responsabilità e iniziare il lavoro di pulizia dal cortile di casa.

E allora, caro card. Zuppi, mi rivolgo a Lei che è oggi la massima autorità della Chiesa italiana: si è chiesto quanto abbia pesato e continui a pesare la misoginia della Chiesa cattolica nella costruzione di quell’humus culturale nel quale poi maturano le violenze contro le donne, di cui i femminicidi sono solo la punta dell’iceberg? Quanto pesi il fatto che le donne nella Chiesa siano sempre state e continuino a essere ai margini, docili servitrici di autorità sempre maschili? Che nella storia della Chiesa le donne sono sempre state glorificate in quanto vergini o madri, mai in quanto soggetti autonomi? Che venga santificata una figura come la piccola Maria Goretti, fatta santa perché morta vergine, mentre la Chiesa bruciava sul rogo come streghe tutte le donne che non si sottomettevano?

E, per venire al presente, che contributo può dare alla necessaria “azione etica, culturale e pure di prevenzione“ dei femminicidi una Chiesa che, per bocca del suo massimo rappresentante, equipara le donne che decidono di abortire a sicari ingaggiati per risolvere un problema? E vanno forse nella direzione da Lei auspicata queste parole di papa Francesco pronunciate nell’incontro con la delegazione del Forum delle associazioni familiari il 16 giugno 2018: “Un’altra cosa che nella vita matrimoniale aiuta tanto è la pazienza: saper aspettare. Aspettare. Ci sono nella vita situazioni di crisi – crisi forti, crisi brutte – dove forse arrivano anche tempi di infedeltà. Quando non si può risolvere il problema in quel momento, ci vuole quella pazienza dell’amore che aspetta, che aspetta. Tante donne – perché questo è più della donna che dell’uomo, ma anche l’uomo a volte lo fa – tante donne nel silenzio hanno aspettato guardando da un’altra parte, aspettando che il marito tornasse alla fedeltà. E questa è santità. La santità che perdona tutto, perché ama. Pazienza. Molta pazienza, l’uno dell’altro. Se uno è nervoso e grida, non rispondere con un altro grido… Stare zitti, lasciar passare la tempesta, e poi, al momento opportuno, parlarne”.

E se a parlare così è il papa, non oso immaginare cosa possano “raccomandare” i preti alle donne che magari in un momento di difficoltà si rivolgono a loro: pazienza, stare zitte, lasciar passare la tempesta… Questa è ahimè, anno Domini 2022, la mentalità dominante nella Chiesa.

Caro cardinale Zuppi, Lei ha perfettamente ragione: la tragedia dei femminicidi ci riguarda tutti, e ognuno deve fare la sua parte. Speriamo che la Chiesa, dopo secoli di colpevole complicità, inizi a fare la sua.

Nella foto un momento dell’intervento del cardinale al Meeting di Comunione e Liberazione 2022.



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