Ferraris – Flores d’Arcais: Controversia sull’essere

In libreria “Controversia sull’essere” (Rosenberg & Sellier), un carteggio filosofico fra Maurizio Ferraris e Paolo Flores d’Arcais su scienza, etica, politica, religione. Ne pubblichiamo l’introduzione.

Maurizio Ferraris e Paolo Flores d'Arcais

In filosofia il dialogo dovrebbe costituire una modalità privilegiata di indagine razionale, costringe i due interlocutori a fare i conti con obiezioni e critiche cui si è altrimenti tentati di sfuggire. Dia-logos, argomento contro argomento: nessuna diplomazia, il confronto razionale è semmai controversia, scontro, polemica (polemos, cioè guerra!). Questo fra Paolo Flores d’Arcais e Maurizio Ferraris è durato dieci anni, e affronta tutti i temi cruciali della filosofia, dal ruolo della scienza alla possibilità di fondare un’etica, dal rischio del nichilismo al rapporto tra ideologie e scienze umane, dalla “esplosione” della biologia darwiniana alla rivoluzione del web. Un confronto serrato, fatto di dieci lettere/saggi, che costringe il lettore a sottoporre a critica convinzioni consolidate, e diventare partecipe della controversia.

INTRODUZIONE

Ceci n’est pas un dialogue. È prima di tutto un carteggio. Del dialogo filosofico non ha la compostezza spesso un po’ finta che ci è stata trasmessa da Platone e rimessa in gioco, con alterne fortune, in una tradizione piena di esempi.

Senza dimenticare che c’è chi si è scelto degli interlocutori poco interessati a rispondere, come Dio nelle Confessioni di Agostino, o che sono morti in corso d’opera, come Locke, l’interlocutore di Leibniz nei Nuovi saggi sull’intelletto umano (una morte che indusse Leibniz a ritardarne la pubblicazione con il risultato che, come succede, morì anche lui e il libro uscì sessant’anni dopo i fatti), o che sono due volti del medesimo autore, come nei Dialoghi tra Hylas e Philonous di Berkeley, o i protagonisti della straordinaria “sceneggiatura”, Demea Cleante e Filone, con cui Hume porta il lettore, nei Dialoghi sulla religione naturale, a riconoscere la superiorità dell’agnosticismo (o addirittura dell’ateismo). E si potrebbe continuare.

La causa scatenante di questa controversia è stato il Nuovo Realismo, coniato da Maurizio il 23 giugno 2011 in circostanze minutamente narrate nel Manifesto del nuovo realismo dello stesso, e poi da lui bandito come progetto filosofico di oltrepassamento del postmoderno in un articolo su Repubblica dell’11 agosto di quel medesimo anno, che diede vita a una grandine di articoli e dibattiti che furono più di un temporale estivo, se per l’appunto furono seguiti da un gran numero di pubblicazioni pro e contro, in Italia e fuori.

Questa però è un’altra storia. Quando Paolo ha scritto a Maurizio la prima lettera, il 21 novembre 2012, la ressa e la rissa sono passate, il Manifesto è già uscito, e la volontà che anima la prima lettera, con cui Paolo contesta che il Nuovo Realismo si liberi davvero da quello che ritiene il retaggio metafisico e irrazionale dell’ermeneutica, è una discussione seria al di là delle formule e delle smanie mediatiche.

In tutta sincerità, Maurizio non è sicuro di aver risposto a tutte le domande di Paolo, di avere replicato a tutte le sue obiezioni. È certo se mai del contrario, ma in compenso sa molto bene (di qui la sua gratitudine) che in questo scambio concluso il 26 ottobre 2020 ha potuto elaborare tutte le idee che ha esposto in questo decennio, scandito appunto dalle periodiche “liti” con Paolo.

Curiosamente, la disputa è una modalità ormai assai rara nella pratica filosofica, sia scritta che orale (convegni, festival, ecc., dove alle “disputationes” è di gran lunga preferita la conferenza o la “lectio magistralis”). Anche “il pubblico”, cioè gli appassionati alla filosofia, sembra condividere questa non preferenza. Il confronto non significa, come purtroppo si è spesso inteso nelle vicende cultural-politiche recenti, un atteggiamento teso a smussare le differenze e i contrasti, una volontà accomodante di diplomazia e di accordo (uno per tutti il dialogo tra comunisti e cattolici, e oggi quasi tutte le versioni di dialogo tra credenti e non-credenti), bensì il confronto, senza sconti, tra un logos e un altro logos, insomma uno scontro argomentativo, un polemos (guerra!) di argomentazioni a sostegno di tesi opposte o comunque assai diverse.

Varrebbe la pena domandarsi il perché, e se non abbia a che fare con il bisogno di rassicurazione che troppi cercano nell’accostarsi a un testo filosofico. Che per sua natura, invece, dovrebbe mettere in crisi, sollecitare cioè un punto di vista critico che scuota il lettore nelle e dalle sue certezze o convinzioni.

C’è insomma da chiedersi se troppi lettori, o partecipanti a festival, anziché cercare uno stimolo alla riflessione, all’approfondimento, che propizino il dubbio, non voglia cercare conferme a ciò di cui è già convinto, aneli insomma a un pensiero con cui identificarsi anziché da cui vedere le proprie convinzioni messe a repentaglio. Potrebbe insomma trattarsi di un sintomo, attecchito ormai largamente nella platea degli appassionati alla filosofia (per fortuna sempre più ampia, che sempre più travalica gli ambiti accademici o la fase di applicazione negli studi), della più generale tendenza al reciproco riconoscersi dentro comuni identità, fino alla ghettizzazione, tendenza che con internet ha raggiunto una hybris che non era stata immaginata (si era anzi pensato che avrebbe promosso l’opposto: la possibilità di onnilaterale critica reciproca), quella delle bolle autoreferenziali e impermeabili a qualsiasi obiezione. Monadi che nemmeno Leibniz …

Questo dia-logos, al contrario, è privo non solo di diplomazia, ma perfino di buone maniere. Il che radicalmente confligge con lo spirito dei tempi, che ovunque predica rampogne e censure per qualsiasi affermazione possa suonare offensiva alle orecchie di chicchessia.

I due dibattenti, in questi cinque scambi di lettere/saggio, se le danno di santa ragione, per dirla colloquialmente. Con ironia pungente fino al sarcasmo, eventualmente. Per molto meno oggi, sui social, passi per “hater”.

Ma che fine fa la critica, se chiunque ne sia oggetto sia giudice del carattere insultante di essa? Oltretutto, critica delle rispettive idee, non attacco personale (la fallacia ad hominem la rifuggiamo proprio perché fallacia logica, non-argomento per eccellenza, ed invece è ormai la moneta più corrente e di maggior inflazione nel discorso pubblico). Oggi, se critichi la fede, religiosa, politica (perché non sportiva? “La Roma è una fede” hanno sempre sostenuto i tifosi giallorossi, e credo valga per i tifosi di qualsiasi squadra), vieni considerato un aggressore, la tua “offesa” merita la mordacchia. Non ci si rende conto che, in tal modo, il confine tra la critica (ammessa) e l’offesa (proibita, censurata, sanzionata) la stabiliscono le anime ipersensibili, che in ogni obiezione al proprio credo vedono odio più o meno satanico, i fondamentalisti, gli integralisti, i dogmatici. Quanto più si è legati acriticamente e fanaticamente a una propria convinzione, tanto più ci si sentirà offesi per ogni discorso che ne metta in dubbio un aspetto, che la lambisca criticamente.

Il fanatico, categoria nella quale in genere allignano i veri “hater” e possibili aggressori non solo verbali, diventa l’arbitro della sfera della libertà d’opinione. Follie che la politica democratica, e ogni filosofia, dovrebbe combattere con intransigenza.

Questo dialogo, cioè controversia, spazia su quasi tutti i terreni tradizionali della filosofia. Per questo lo abbiano intitolato CONTROVERSIA SULL’ESSERE col sottotitolo “Un carteggio filosofico su scienza, etica, politica, religione, nella prospettiva della Documanità e del Materialismo esistenziale”. Malgrado l’ampiezza dei cinque testi per parte, siamo consapevoli di quanti altri temi meritassero altrettanto approfondimento (Paolo, nella sua seconda lettera, propone un elenco ditemi da trattare, che però non verrà esaurito) e come le differenze e polemiche in proposito avrebbero contribuito ad articolare più compiutamente la differenza tra le nostre impostazioni filosofiche.

Per Maurizio è stata, come si dice, una occasione di crescita, sia pur tardiva. Le obiezioni di Paolo mettevano in evidenza la dimensione polemica del nuovo realismo, e il suo sforzo, negli anni di controversia, è consistito nel risolvere due problemi che restavano aperti, ed erano immensi. Il primo era collegare la rivendicazione polemica della necessità del realismo con la ricerca filosofica di ontologia sociale che Maurizio aveva condotto negli anni precedenti al Manifesto e che aveva trovato un risultato complessivo in Documentalità, del 2009. Il secondo era unificare realismo e ontologia sociale in una prospettiva propositiva globale, ossia in un sistema (non abbiamo paura delle parole!), ciò che è venuto formandosi proprio negli anni del dialogo e attraverso quel dialogo o, se preferiamo, attraverso quelle scenate. Libri come Realismo Positivo (2013), Emergenza (2016) e soprattutto Documanità (2021) non avrebbero visto la luce senza questo confronto, che va considerato non solo l’officina di quelle teorie (questo interessa solo un improbabile filologo a venire) ma soprattutto come l’esposizione a vivo delle ragioni che uniscono il realismo alla filosofia prima che alla scienza. Ed è in queste ragioni che, se vogliamo, si radica il punto fondamentale di dissenso di Maurizio rispetto a Paolo, che con eccellenti argomenti difende la divisione tra fatti e valori, e la conseguente distinzione tra scienza come dominio dei fatti e filosofia come ambito dei valori (almeno, Maurizio l’ha capita così, ma se Paolo dissente basta una scenata per chiarirsi le idee).

Per Paolo gli oltre otto anni di questo confronto sono stati, più che mai, attraversati dalla contraddizione di tutta la sua vita adulta: proprio l’approfondimento della sua concezione filosofica, messa ogni volta alla prova dalle obiezioni di Maurizio, lo porta a radicalizzare la convinzione – che data dagli anni dell’università – del primato della prassi rispetto alla teoria, dell’azione etico-politico rispetto all’attività filosofica in senso stretto. La sua filosofia gli ingiunge di dare priorità all’impegno civile. Di modo che i tre libri pubblicati in questo volgere di tempo affrontano filosoficamente questioni legate a urgenze della vita associata: “La democrazia ha bisogno di Dio – Falso!” (2013), “La guerra del Sacro – terrorismo, laicità e democrazia radicale” (2016), “Questione di vita e di morte” (2019), per il diritto all’eutanasia. I titoli parlano abbastanza da sé. Nel frattempo ha continuato ad accrescere le molte centinaia di pagine di brouillon di un’opera filosofica che articoli in tutti gli aspetti un vero e proprio sistema di filosofia del finito. Che resta il suo progetto di fondo, insieme a un lavoro sistematico di etica, che prenda le mosse da una conferenza fatta ormai sei anni fa, “La morale di Homo sapiens”, che fondi biologicamente la peculiarità radicale della specie animale cui apparteniamo: la necessità di un dover essere che surroghi la svanita cogenza degli istinti. Sempre che abbia i molti anni necessari, e sperando invece che la possibilità (ormai da quasi vent’anni preclusa) di azione politica capovolga le sue priorità.

Ma ci siamo resi conto che il dialogo avrebbe finito per proseguire per anni, e intanto ne sono già passati otto, e non di poco conto. Lo proseguiremo, invece, con altre modalità: in riviste, convegni, festival, nel moltiplicarsi di occasioni che per fortuna si offrono oggi alla passione per la filosofia (ma anche in sedi accademiche tradizionali, perché no?).

Negli otto anni in cui si è prolungato, ci ha permesso di approfondire le ragioni dei nostri dissensi, e forse anche rettificarne qualcuna, attraversando mutamenti politici, tecnici, culturali, del panorama filosofico, con i quali, anche, indirettamente abbiamo dovuto confrontarci. Il seguito contiamo perciò di affrontarlo insieme a voi.

Maurizio Ferraris
Paolo Flores d’Arcais

Settembre 2021



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