Feminism – Cronaca di un dibattito mai avvenuto

Alla fiera dell’editoria delle donne Feminism, a Roma, salta uno dei dibattiti a causa di un perverso meccanismo di pressioni indebite, accuse generiche e lacerazioni settarie. Il femminismo rischia di non onorare più la fatica che le donne hanno fatto per conquistare la libertà di esprimersi, discutere, mettersi a confronto.

Federica D'Alessio

Riusciranno (più) le femministe a trovare un terreno comune che permetta finalmente di discutere a viso aperto, ma con lealtà, le questioni che riguardano la liberazione delle donne? Se saltano i dibattiti persino a Feminism, fiera dell’editoria delle donne che ormai da diversi anni mette a confronto decine e decine di autrici sui grandi temi del femminismo e sulla produzione culturale al femminile, non c’è davvero di che ben sperare.

L’edizione del 2023 di Feminism – giunta quest’anno al suo sesto anno – era dedicata al dialogo: far conversare fra loro tante autrici diverse su alcuni temi controversi, fra cui “Corpi” e autodeterminazione, “Sex Work/Prostituzione” e altri. Non è stato possibile. Almeno non nell’ultimo caso. Alla vigilia dell’incontro, quando la fiera era già in corso da un paio di giorni, alcune autrici di libri a dibattito – Giulia Garofalo Geymonat e, Giulia Selmi coautrici di “Prostituzione e lavoro sessuale in Italia. Oltre le semplificazioni verso i diritti (Ronseberg & Seller),  e Laura Schettini, autrice di “Turpi traffici” (Viella) – e una delle moderatrici – Enrica Rigo – si sono ritirate dalla discussione, giustificando la loro scelta con una lettera che, in particolare in un passaggio, motivava in questo modo:

“Crediamo che un dialogo femminista su prostituzione/sex work possa essere ancora possibile, come è stato per lungo tempo, al di là delle posizioni di principio e al fine di migliorare le condizioni di vita delle donne cis e trans che – per scelta, per costrizione o, più spesso, per circostanza – si ritrovano a fare lavoro sessuale. Nella sessione di domani [5 marzo, ndr], tuttavia, ci sembra che le condizioni per questo dialogo siano saltate. In particolare, la comunicazione che si è generata intorno alla sessione è diventata l’occasione di manifestazioni d’odio contro le donne cis e trans che fanno lavoro sessuale, le loro organizzazioni collettive, e i femminismi che ne sostengono le lotte. Abbiamo deciso insieme, quindi, di ritirarci dall’iniziativa di domani, per evitare ogni rischio di prestarci ad una dinamica che nulla ha a che vedere con il sano conflitto politico e culturale, ma che impoverisce il dibattito, stereotipizza, passivizza e banalizza soggetti, culture politiche, posizioni.”

A cosa si riferivano le autrici della lettera parlando di “comunicazione che si è generata intorno alla sessione”? E quali “manifestazioni d’odio” nello specifico erano avvenute? Le autrici non lo hanno specificato. Né hanno specificato se di tali manifestazioni d’odio si fossero rese responsabili le autrici del libro “Sex work is not work” con le quali nel loro panel era previsto che intavolassero un dialogo; cosa che avrebbe, evidentemente, più che giustificato una decisione repentina di ritiro dalla manifestazione. Eppure, come hanno confermato a MicroMega diverse partecipanti e alcune responsabili dell’evento, durante la fiera non si è verificato alcun incidente tale da poter far parlare di manifestazioni d’odio. Cosa è accaduto, perciò, di così grave da creare un clima che rendesse impossibile il dialogo?

Le posizioni “abolizioniste” della prostituzione, ispirate al cosiddetto “modello nordico” che considera il compratore della prostituzione un abusante della posizione di dipendenza delle prostitute al pari degli sfruttatori e dei favoreggiatori, e tende quindi a scoraggiare il mercato prostituente intervenendo sulla domanda (MicroMega ha curato una tavola rotonda speciale su questo tema qualche anno fa), sono molto invise a una parte del femminismo – quello detto “transfemminismo” – che difende non solo la libertà di prostituirsi (già garantita in Italia dalla legge Merlin) quanto il mercato stesso della prostituzione come un’espressione di autodeterminazione ed empowerment il cui unico problema è procurato dallo “stigma sessuofobico” che affliggerebbe lo sguardo dominante attorno al mondo della prostituzione. Una posizione controversa – molto più vicina a quelle leghiste e della destra rispetto al pure spesso contestato modello nordico – spesso espressa in modo aggressivo, irrompendo in dibattiti in cui ex prostitute, come l’attivista irlandese Rachel Moran, prendevano la parola per raccontare la realtà di violenza e trauma che interessa le donne che si prostituiscono e accusando donne come Moran di “cancellare” esperienze diverse dalla sua; creando così il cortocircuito tale per cui una prostituta abolizionista non può parlare della sua esperienza pena cancellare quella delle altre, ma le altre possono parlare della loro senza che nessuno le accusi di fare altrettanto.

Anche nel caso del dibattito previsto a Feminism sabato scorso, come ha confermato a MicroMega Anna Maria Crispino, all’organizzazione della Fiera sono giunte intimidazioni, in un primo momento anonime, che in qualche modo ribadivano lo stesso principio: non si può dare la parola ad autrici che sostengono posizioni abolizioniste della prostituzione perché questo “cancellerebbe” le vite di altre persone. Se il dibattito si fosse tenuto, sostenevano gli autori anonimi di una lettera giunta alla fiera da un fantomatico dominio “campeggio trans”, non avrebbero avuto altra scelta che realizzare azioni di disturbo. “Non abbiamo prestato particolare attenzione a queste prime comunicazioni ricevute, perché ci sembravano una provocazione proveniente dagli ambienti tipicamente maschilisti”, racconta Crispino. Ma a quella ne è seguita un’altra, che questa volta si è diffusa immediatamente online, in cui ancora una volta persone anonime si dichiaravano direttamente attaccate dalla presenza di libri quali “Per l’abolizione della maternità surrogata” (ediz. Ortica), “Dal corpo neutro al cyborg postumano” (ediz. Asterios Abiblio Editore) e “Sex work is not work” (ediz. Ortica). Tra la lista di autrici e presentatrici dei testi in questione – recita il messaggio – “ci sono persone che promuovono discorsi d’odio, che diffondono informazioni false e spauracchi infondati sul conto delle persone trans, e che intessono legami con realtà che usano la violenza per reprimere l’autodeterminazione altrui. Sui canali che rilanciano quei nomi si trovano contenuti dell’alt-right, narrazioni distorte e parziali, retoriche che strumentalizzano bambin* e adolescenti.”

Ancora una volta, accuse tanto pesanti quanto non circostanziate: quali discorsi d’odio e quali persone se ne sarebbero fatte protagoniste? Perché non usare nomi e cognomi e fare riferimento a episodi specifici? Ci sono mai stati davvero questi episodi? E se episodi di vera e propria aggressione non ci sono mai stati, possiamo ipotizzare che sia stato sulla base dell’imbarazzo provocato dall’ampia diffusione di questa mail, che le relatrici vicine alle posizioni transfemministe hanno deciso di ritirare la loro partecipazione? MicroMega ha provato a raggiungere alcune di loro senza però riuscire a raccogliere direttamente la loro versione. Certo è che, come conferma Crispino, il programma e le presenze erano state da tempo concordate, tutte le autrici sapevano da ben prima dell’inizio della fiera con chi si sarebbero trovate a dialogare.

“Siamo deluse dall’episodio accaduto perché il nostro lavoro non è stato rispettato”, dice Crispino, che è direttrice della rivista femminista Leggendaria e una delle ideatrici del festival fin dall’inizio. “Avevamo concordato ogni presenza con ogni editore e ogni casa editrice. Che saltino i dialoghi a poche ore dall’inizio, in assenza di un vero evento scatenante se non evidentemente le pressioni psicologiche causate da questo mail bombing, è una dimostrazione di scarsa considerazione nei confronti di chi ha fatto tanto per creare questo spazio di dialogo”.

“Come casa editrice stati molto ben accolti dalla fiera Feminism e anche dalla Casa internazionale delle donne”, dichiara a MicroMega Ezio Catanzaro della casa editrice Ortica, il marchio di orientamento anarchico che ha pubblicato due dei libri fatti oggetto di mail bombing. “Dopo l’annullamento dell’evento abbiamo ritirato i nostri libri dalla fiera non tanto per protesta contro le organizzatrici quanto per solidarietà verso le nostre autrici, che avevano viaggiato anche da lontano per poter discutere senza averne la possibilità”. Eppure, la sera precedente l’incontro che poi è saltato, la tavola rotonda su “Corpi” dove pure si presentavano pubblicazioni controverse, di questa e altre case editrici, aveva visto una discussione aspra, accesa, ma anche molto partecipata, che aveva raccolto tante persone. Segno che se si vuole, si può. La domanda allora è: si vuole? La seconda moderatrice dell’evento su “Sex work/Prostituzione”, Maria Rosa Cutrufelli, storica studiosa femminista autrice fra le molte cose di due importanti libri sulla domanda di prostituzione – “Il cliente” e “Il denaro in corpo” – a seguito della defezione della sua co-moderatrice ha espresso delusione e rammarico, in una lettera scritta per motivare la rinuncia anche da parte sua alla moderazione di un dibattito del quale inevitabilmente, dopo il ritiro di uno dei due libri in causa, si stravolgeva il senso. “Ho letto le loro motivazioni [delle donne che avevano ritirato la loro partecipazione, ndr] in una lettera che invieranno, credo, al festival. Motivazioni che non mi hanno convinto. Resto ancora del parere che quel dibattito era non solo utile, ma necessario, proprio perché si trattava di mettere a confronto posizioni radicalmente differenti”, dice all’inizio la lettera, che conclude così: Mi ero illusa, per un attimo, che potessimo affrontare insieme, in maniera collettiva, un tema ‘divisivo’, come si usa dire. Mi rincresce, è un’occasione sprecata per ragionare su ciò che ci divide e per tentare di aprire un varco nel muro della reciproca incomprensione.”

Di queste occasioni sprecate, ormai da anni, è costellato il femminismo, polarizzato in una ridda di scomuniche reciproche fra fazioni diverse o, spesso, anche all’interno delle stesse fazioni non appena emergono posizioni anche solo in parte dissonanti.
Ma temi come l’autodeterminazione delle donne, le teorie sull’identità di genere, la mercificazione dei corpi riproduttivi o per il piacere maschile, non sono risolvibili in una guerra di slogan. Rappresentano alcune fra le faglie più laceranti che negli ultimi anni hanno visto le femministe dividersi, scontrarsi e, nell’incapacità di portare avanti discussioni e riflessioni leali, cedere il passo alle strumentalizzazioni sia da parte della destra conservatrice tradizionale, sia da parte degli interessi di nuovi e vecchi capitalismi patriarcali. A fronte di un’accresciuta produzione editoriale su questi stessi temi – che tocca l’ipertrofia, come d’altro canto è vero per la produzione editoriale italiana nel complesso, con decine e decine di libri pubblicati ogni anno sui temi femministi – l’approccio che va per la maggiore è diventato quello della propaganda, o della pedagogia dei giusti valori e dei giusti termini da usare che pretende di sostituirsi al dibattito. Il rischio è che il femminismo in questa parte del mondo diventi una Chiesa, in cui ciò che si può fare è solo crearsi il proprio gruppo di seguaci, le proprie sacerdotesse e la propria predica più o meno efficace. C’è da chiedersi non senza amarezza che cosa rispondiamo a tutte quelle donne che in questo stesso momento per liberarsi delle loro, di Chiese, affrontano avvelenamenti, incarcerazioni o torture, come in Iran e in Afghanistan.



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