Padre Pio a Venezia: un frate senza stigmate e indifferente alle violenze sugli oppressi

Nella pellicola di Abel Ferrara non c’è traccia di doti taumaturgiche, guarigioni miracolose, dono dell’ubiquità e altri prodigi del prete di Pietralcina.

Irene Tartaglia

Andando a vedere Padre Pio alla settantanovesima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, mi aspettavo un film che raccontasse la storia del celebre frate noto per le stigmate, beatificato nel 1999 e santificato tre anni dopo da papa Wojtyla.
Tuttavia, le mie aspettative − certamente alimentate da una certa fascinazione per l’orrido, ma pur sempre depistate dal titolo del film − sono state ampiamente disattese.

Di come e quando Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, si facesse portavoce del dolore di Cristo con la preghiera ma soprattutto col proprio corpo, esibendo le mani massacrate da stigmate sanguinanti, nel film non c’è alcuna traccia.

La pellicola di Abel Ferrara non aiuta nemmeno a saperne di più delle doti taumaturgiche, delle guarigioni miracolose, del dono dell’ubiquità e degli altri numerosi prodigi del famoso presbitero di Pietrelcina.

In verità, nel film ci sono scarsissimi riferimenti alla biografia e ai momenti salienti della vita del famoso frate cappuccino.

Pio è per lo più raccontato in una sofferenza mistica fatta di visioni, crisi, estasi e pianti, talvolta disturbando il silenzio meditativo dei compagni di convento. In un paio di situazioni è ritratto durante le confessioni dei fedeli. Tra queste l’ammissione di tall man, interpretato da un’Asia Argento struccata il cui tatuaggio fa capolino dalla camicia (licenza stilistica o svista del costumista?), che racconta di avere pensieri voluttuosi sul corpo della figlia ragazzina e che per questo riceve un aspro, doloroso e sofferto monito da Padre Pio.

Ai colori caldi delle scene del frate contrito, angosciato e vaneggiante nella sua cella del convento illuminata solo dalle candele o dal camino, si alternano quelli accecanti dei braccianti di San Giovanni Rotondo nei campi: contadini la cui unica speranza di uscire dalla miseria e dall’oppressione è la promessa di rivoluzione e giustizia del partito socialista. La loro sofferenza è ben raccontata dalla triste sfilata per le vie del paese della piccola bara di una bimba e dalla morte di un uomo, sopravvissuto alla guerra e poi morto di stenti nei campi. Con lo stesso trascinante coinvolgimento lo spettatore è condotto tra le riunioni del Partito Socialista, che nel biennio rosso avevano acceso anche San Giovanni Rotondo. Qui i lavoratori sfruttati, quasi con imbarazzo, cominciano a sognare un’esistenza priva di schiavitù e sopraffazione, un miraggio di rivoluzione e coraggio che li porterà a piccoli atti di ribellione contro i padroni e infine a vincere le elezioni del 1920.

Il film ci racconta un tragico episodio di quel tempo. Al momento di insediarsi nel municipio dopo aver vinto le elezioni, il 14 ottobre 1920, i socialisti trovarono l’accesso bloccato dai carabinieri armati e schierati al fianco dei rappresentanti del partito antagonista, composto dai proprietari terrieri sfruttatori, tutt’altro che intenzionati a cedere il potere.

Anzi: su comando del blocco conservatore, i carabinieri spararono alla folla e sotto il loro fuoco quel giorno persero la vita quattordici persone.

Nel film non lo si dice, ma quelle persone furono poi sepolte in una fossa comune senza alcuna assistenza religiosa, in quanto militanti socialisti. Eppure, oltre che alle vittime della guerra in Ucraina, il film era dedicato proprio alle vittime dell’eccidio di san Giovanni Rotondo.

La narrazione dello sfruttamento dei contadini, del fermento politico di quel tempo e della violenza di proprietari terrieri ed ex combattenti, uniti in un blocco antisocialista, è sempre separata da quella del frate, preso dall’estasi mistica nella stanza del monastero o raccolto in preghiera in giardino. Padre Pio viene così sradicato dal suo stesso tempo, rappresentato quasi esclusivamente in quel suo convento, che lo mette in salvo da ogni ombra di coinvolgimento. La rappresentazione di Padre Pio risulta così parziale, poco amalgamata con le vicende a lui vicine e contemporanee.

L’ultima scena prima dei titoli di coda è quella di una mano segnata dalle stigmate, che abbraccia e consola un addolorato Padre Pio.

Diverso l’atteggiamento del pubblico della Sala Perla alla prima di Padre Pio che, fatto inusuale in un festival popolato da calorosi cinefili, a fine film si è astenuto dall’applaudire.

Sul tema: Padre Pio: una storia italianissima



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