Filosofia contro jihadismo: Didier Lemaire, il professore con la scorta armata

Minacciato di morte dopo aver pubblicato una lettera aperta agli insegnanti sul Nouvel Observateur in cui esortava i colleghi a resistere all'islamismo, l'insegnante di filosofia ha dovuto abbandonare la scuola e vive in una località protetta.

Marco Cesario

(Parigi). Ora anche la filosofia spaventa ed è considerata come un’arma impropria in grado di permettere alle nuove generazioni di sviluppare la propria capacità critica rigettando il dogmatismo religioso e fanatico. A Trappes, nella banlieue parigina, vivere e lavorare è sempre più difficile soprattutto per un insegnante che fa della laicità e delle istituzioni repubblicane il suo strumento di lavoro quotidiano. Dopo il caso Paty, barbaramente assassinato per aver voluto insegnare la libertà di espressione ai propri alunni, è il caso di Didier Lemaire, professore di filosofia a Trappes (Yvelines) reo di aver lanciato, dalle colonne del Nouvel Observateur, un appello alla resistenza contro la crescente minaccia del radicalismo nelle scuole. Per tutta risposta il professore ha prima ricevuto minacce di morte e poi gli è stata affidata una scorta dal ministero degli interni che ha ravvisato una concreta possibilità che il professore possa essere assassinato per strada, pugnalato, decapitato, oltraggiato dalla galassia jihadista delle banlieues francesi che già lo considerano un obiettivo da colpire. Il risultato desolante è che il professore ha dovuto abbandonare l‘insegnamento e trasferirsi altrove.

Lui di certo non è nuovo a questo tipo di iniziative. Già nel 2018 aveva scritto una lettera al presidente della Repubblica, insieme a Jean-Pierre Obin, ispettore nazionale e autore di un rapporto sugli attacchi alla laicità nelle scuole, chiedendogli di prendere misure urgenti per proteggere gli alunni dalla pressione ideologica e sociale esercitata su di loro. Nessuna risposta da parte dell’entourage presidenziale. Poi, la famosa lettera aperta sul Nouvel Obs, di cui qui riportiamo alcuni stralci:

“Cari colleghi insegnanti,

Un professore, un nostro collega, è morto semplicemente perché insegnava i principi su cui si basano la nostra repubblica e la nostra storia: la libertà di pensiero e il suo corollario, la libertà di espressione. Attraverso di lui, questi assassini hanno preso di mira tutti gli insegnanti che ogni giorno trasmettono quella parte di sé che anche altri hanno trasmesso loro. Il pensiero, liberato dalla paura dell’autorità, dall’ignoranza, dall’oscurantismo, dall’illusione e dal confinamento nella certezza, è davvero la parte più personale di noi stessi perché ci aiuta a costruire il nostro giudizio. In una società dove dobbiamo pensare come gli altri, senza avere il diritto al dubbio e al dialogo, nessuno può diventare veramente sé stesso. 

(…) Oggi, sono la scuola e la libertà ad essere sotto attacco. Non solo da un uomo, l’assassino. L’assassino è solo il braccio armato di un progetto portato avanti da migliaia di ideologi che, come i nazisti in passato, usano il vittimismo per incitare all’odio e preparare la strada all’azione. Questi ideologi non sono affatto dei “separatisti”: non vogliono semplicemente eliminare delle popolazioni dal territorio nazionale, vogliono far cadere la Repubblica e la democrazia e il loro cuore, la scuola. Siamo all’inizio di una guerra del terrore che si estenderà e crescerà esponenzialmente perché molti dei nostri concittadini preferiscono non vedere che è il nostro patrimonio culturale ad essere minacciato. Riconoscerlo significherebbe doverlo difendere con coraggio (…)

Come possiamo insegnare le lingue, le arti, le scienze e la cultura generale a bambini che sono sottoposti, fin da piccoli, alla pressione sociale di questi ideologi? Dobbiamo continuare a comportarci come se i nostri studenti non fossero essi stessi soggetti a questa pressione? Per quanto tempo ancora potremo esercitare la nostra professione di trasmissione della conoscenza se lo Stato non compie la sua missione? Possiamo noi, insegnanti, compensare la mancanza di strategia dei nostri rappresentanti per superare questo flagello mortale?”

Accuse e domande incalzanti che fanno molto rumore. Dopo la pubblicazione riceve, racconta, centinaia di messaggi al giorno. Il suo telefono non smette mai di suonare: “La chiamata di Valérie Pécresse, presidente del Consiglio regionale, sulla mia segreteria telefonica, l’ho ricevuta due giorni dopo. Ci sarebbero voluti cento Didier Lemaire per parlare”. Di fronte al diluvio di reazioni, si dice “sereno”: “Sento di aver fatto quello che dovevo fare”. Si compiace del sostegno dei suoi colleghi del liceo della Plaine de Neauphle. E l’appoggio discreto di alcuni poliziotti: “La polizia, altro pilastro della Repubblica, è maltratta come la scuola”.

Intanto anche Ali Rabeh, sindaco di Trappes, dichiara guerra a Didier Lemaire. Lo accusa di mentire, di stigmatizzare e di dare un’immagine negativa di Trappes e dei suoi abitanti: “sta facendo un gioco pericoloso in nome delle sue convinzioni politiche”. I colleghi di Didier Lemaire, indignati dalla posizione del sindaco, pubblicano una lettera a sostegno dell’insegnante. Ma niente. Peggio ancora, il prefetto di Yvelines, Jean-Jacques Brot, addirittura accusa il professor Didier Lemaire di “gettare olio sul fuoco”. Sono tutti cosi’ spaventati dal guardare in faccia la realtà? Così’ pare. E intanto l’uomo della sinistra radicale Benoît Hamon (leader di Génération.s) e mentore di Ali Rabeh, addirittura volta le spalle al professore e difende il sindaco Rabeh definendo razzisti e islamofobi coloro che attaccano il sindaco di Trappes. Ma c’è di peggio, ovvero il quotidiano Le Monde che in un editoriale contro i “nazisti” della laicità, presenta Didier Lemaire come un pericoloso affabulatore.

Ma Didier Lemaire non lo è, si è semplicemente limitato a constatare il degrado sociale ed ideologico in cui versa Trappes, cittadina in cui non è solo difficile insegnare ma anche divincolarsi dagli artigli del proselitismo jihadista. La banlieue parigina infatti è regolarmente citata come la “Molenbeek francese”. Tra i giovani che sono andati a fare la jihad nella zona iracheno-siriana tra il 2014 e il 2016, ben 67 venivano da Trappes secondo fonti del ministero degli interni francese. Nell’ottobre 2017, nel suo discorso alle forze di polizia, Emmanuel Macron aveva lui stesso citato Trappes come esempio di città che richiede una strategia particolare per prevenire e combattere la crescente radicalizzazione. Un rapporto dei servizi interni sulla prevenzione della radicalizzazione evidenzia che il 76% dei radicalizzati nel dipartimento di Yvelines (Trappes in particolare) ha tra i 15 e i 35 anni ed ha ravvisato ugualmente un aumento della pratica del digiuno durante il Ramadan tra i bambini delle scuole elementari e medie, un aumento del rifiuto di iscriversi alla mensa scolastica con la motivazione che la carne non è halal, un aumento dell’uso di abiti religiosi nelle scuole medie e superiori e un crescente rifiuto di partecipare a certe attività scolastiche come il canto per le ragazze. Insomma una situazione preoccupante, allarmante che il professore ha voluto semplicemente denunciare. A scapito della sua sicurezza e con una parte delle istituzioni che gli ha voltato le spalle nel timore di rappresaglie violente o peggio di rivolte civili. Oggi un professore di filosofia ha dovuto abbandonare i suoi studenti perché minacciato di morte, oggi un professore di filosofia gira con la scorta perché nel 2021 il pensiero critico, libero fa ancora paura a fanatici ed estremisti.



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