Filosofia pop. Le generazioni alle prese con i social

Gli autori del best-seller filosofico “Prendila con filosofia” (Harper Collins, Milano 2021), Maura Gancitano e Andrea Colamedici, sono anche autori di “La società della performance” (Tlon, Roma 2018), libro per giudicare il quale diverse generazioni possono accapigliarsi, come accade nel dialogo fra Ludovica e Pierfranco Pellizzetti.

Ludovica e Pierfranco Pellizzetti

Filosofia pop

Ciao Papà, vorrei parlarti di un progetto di r-esistenza democratica: Tlon.

Tlön, Uqbar, Orbis Tertius è un racconto labirintico e denso di suggestioni nel quale Jorge Luis Borges immagina l’invenzione di un pianeta, da parte dei membri d’una società segreta, con l’intento di modificare completa-mente la concezione del mondo e, quindi, il comune modo di percepire la realtà[1]. «Si tratta di un rompicapo che, mediante l’incursione in una dimensione in cui le regole del tempo e dello spazio sono totalmente sovvertite, costringe il lettore a scardinare i ferrei binari della propria consapevolezza ordinaria»[2]. Con lo stesso intento, dalla mente di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, da qualche anno è nato Tlon, progetto di divulgazione e aggregazione culturale, casa editrice e scuola di immaginazione e fioritura personale, che fa della filosofia un mezzo di comprensione profonda del mondo, al di là di letture superficiali e mainstream; un prezioso strumento, dunque, di autodeterminazione e crescita personale. Tlon è quindi un progetto formativo tout court (propone corsi e seminari, si concepisce come scuola, ma anche come catena di librerie in cui coltivare la dimensione letteraria e teatrale) che mira alla creazione di un universo di senso tramite l’educazione; una educazione nel senso latino del termine di condurre fuori, quindi far emergere maieuticamente qualcosa che già esiste, ovvero le infinite potenzialità di tutti gli esseri umani.

Si tratta di una dirompente operazione, con massivo seguito online (150K follower solo su Instagram), di democratizzazione della filosofia, resa “pop” – quindi liberata dall’esoterismo, ma senza mai essere snaturata – e riportata alla sua originaria finalità. Quella di essere arte della vita, chiave di lettura del mondo reale e non complesso di astratti sistemi di teorie; una preziosa alleata per la crescita personale che permette di coltivare il senso critico. Tlon, grazie a un corposo ed eclettico background culturale di Maura e Andrea, strumenta il proprio seguito a uscire da narrazioni pressapochiste e a decifrare, alla luce di categorie filosofiche e sociologiche, fenomeni di costume e politica contemporanei quali (solo per citarne alcuni) i tristemente diffusi episodi di revenge porn, il successo apparentemente inspiegabile delle scarpe Lidl, l’assurdo consenso di Donald Trump, le dinamiche di glass ceiling (il gender gap salariale e di carriera che differenzia uomini e donne), serie TV come Black Mirror, gli ultimi film Disney e persino i libri di Harry Potter[3]. Durante sessioni online di “Filosofia di gruppo”, Tlon riesce a connettere su Zoom fino a mille persone che discutono di contemporaneità come nella Atene del V secolo o, passeggiando per le vie della città, svolgono giochi filosofici di “meraviglia” con i quali – recuperando la Deriva situazionista – si esercitano a reincantare il mondo, anche per trovare la propria vocazione personale[4]. Si tratta di un progetto estremamente interessante, soprattutto alla luce del fatto che è in grado di sfruttare lo spirito che è proprio dei social (l’ipervisibilità, la fame costante di contenuti, la condivisione massiccia), rovesciandolo nella creazione di reti positive e fertili, in grado di diffondere una cultura che possa fornire senso critico e libertà ai cittadini di oggi e domani; un antidoto all’intorpidimento intellettuale e alla lobotomizzazione inconsapevole che ci affligge. Una forma di r-esistenza autentica per la liberazione da condizionamenti ingannevoli. Per questo ti ho appena spedito un libro della coppia Gancitano e Colamedici a cui sono particolarmente affezionata: “La società della performance”.

 

Considerazioni sospettose di un vecchio àpote

Cara Ludo,

l’impressione a prima vista è quella di un saggio che contamina le tesi tratte da due testi tra loro inconciliabili: da un lato l’ottimismo di maniera di un Alvin Toffler che ha leggiucchiato Jean-François Lyotard. Ossia – ricucinata in salsa post-moderna – la futurologia, molto gradita dall’establishment manageriale USA, che con le sue “Terze ondate” civilizzatrici, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, prefigurava l’avvento del migliore dei mondi possibili grazie al traino dell’innovazione tecnologica («la prima civiltà veramente umana della storia»[5]). Pacificato. Tesi che ritorna più volte nel testo di G&C; da pag. 12 («ogni scelta è possibile in nome della libertà e del piacere») a pag. 177 («questo è un tempo meravigliosamente pericoloso, dove le potenzialità salvifiche sono sterminate»). Ma ecco incombere la claustrofobica prospettiva carceraria – da Panopticon 2.0 – della sociologa da best-seller Shoshana Zuboff; il mercato del comportamento di utenti trasformati in merce da parte dei signori del Dot-Com: «Prima dell’ascesa del capitalismo della sorveglianza, l’idea di un potere strumentalizzante era solo un sogno confuso, un’illusione. Questo nuovo potere segue la logica secondo la quale la libertà si arrende alla conoscenza»[6].

Le fanno eco G&C: «la società della performance ci spinge a immaginarci gli uni contro gli altri, in competizione […] L’altro modo di realizzare l’ideale patriarcale della guerra» (pag. 185).

A mio (sommesso) avviso l’indeterminatezza di cui sopra origina dalla vaghezza, al limite dell’indefinibile, della parola chiave nel ragionamento di G&C: performance. A cosa si riferiscono usando una terminologia anglofona che alla lettera significa la generica “prestazione”? A un’iperfetazione dell’apparire rispetto al fare? A una nuova conformistizzazione trainata dal ruolo epocale svolto dalle tecnologie indossabili di comunicazione? Peggio ancora, nel lessico dello psichiatra franco-argentino Miguel Bensayag, «il tentativo di segmentare il vivente e frammentare l’organico per ridurli a un aggregato macchinico e algoritmico»[7]? Lo scontro che altri (Luciano Floridi, Maurizio Ferraris) prefigurano tra organismi e meccanismi, tra l’intelligenza sintattica dell’artificiale e quella semantica degli umani; con possibili esiti post-umani o transumani (Paul Mason). Del resto era Michel Foucault a scrivere nel suo “Le parole e le cose” che «l’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima»[8].

Sicché, «stiamo assistendo a una mutazione in cui l’individuo non è più lupo per l’altro individuo, un pericolo, un avversario, ma è un prodotto» (G&C pag. 137). E più avanti, «manca poco al giorno in cui le ‘macchine’ ci conosceranno più accuratamente […] A quel punto diventeremo semplicemente inutili» (pag. 165).

Ma mentre la Zuboff individua strategie e strateghi di questo attacco all’umano («la conoscenza che oggi prende il posto della libertà ha dei proprietari», ossia i GAFA – Google, Amazon, Facebook e Apple – più Microsoft e la triade cinese Tencent, Alibaba e Baidu[9]), il duo G&C ponziopilateggia nel gettare il sasso e nascondere la mano: il passaggio dalla sfrontatezza alla ritrosia; tanto da far pensare magari a una matrice originaria del loro pensiero, prudentemente giustificazionista, di provenienza Comunione e Liberazione e dintorni: «non possiamo più dare la colpa a nessuno per la nostra condizione» (pag. 13). Impressione ulteriormente avvalorata dalla loro ricorrente nostalgia del sacro («gli spazi sacri esistono ancora, bisogna solo andare consapevolmente a cercarli» (pag. 9); del tipico attrezzo di un potere che tende a rendersi inafferrabile/autoreferenziale che è l’esoterico, il magico («il vero antidoto è il pensiero magico» pag. 174). Un retro-pensiero refrattario a quel disincanto («è urgente il re-incanto del mondo», pag. 175) che costruisce società sulle macerie del comunitarismo tribale; nell’alternativa secca di Tönnies Gemeinschaft/Gesellschaft, comunità e società: «abbiamo dovuto pagare un prezzo, cioè rinunciare progressivamente alla ritualità della vita e al senso di protezione di una comunità» (G&C pag. 119). E la critica post-situazionista/postmoderna del Moderno di G&C rivela il suo sempre più nitido profilo reazionario. Almeno ai miei occhi di àpote.

Un discorso che privilegia il suggestivo ricorrendo al mito della caverna platonica e a quello cinese del maiale sperduto come supporti di scopi argomentativi sottotraccia (comunque – sia chiaro – suggestione non è certo spiegazione); con un forte carico di blandizie rivolte all’audience: quella condiscendenza nei confronti della saggezza popolare che oscilla tra la liquidazione delle élites intellettuali («non serve aver studiato» pag. 18) e l’apologia del filosofo di strada-flaneur, che pratica l’allegra inutilità del bighellonare senza scopo andando alla deriva.

“L’allegria di naufragi” del poeta mussolinista Giuseppe Ungaretti? Di certo negando l’orientamento al progetto e gli altri capisaldi progressisti dell’Occidente scaturito dalle rivoluzioni borghesi del “Lungo Settecento” (le gloriose rotture epocali inglese, americana e francese, 1689-1789): performances anche quelle, nella presunzione dell’illusorietà del cambiamento? Quanto emerge con una certa evidenza dall’ermeneutica del sospetto applicata all’opera di G&C, nell’esame della loro bibliografia di riferimento. A parte – ovviamente – Pierre Bourdieu, del cui pensiero e del cui capolavoro  – La Distinzione – vengono proposte letture opinabili: «il rovesciamento dell’originario concetto occidentale di cultura» (pag. 11), quando il maestro bastian contrario, il sociologo dei sans papier, si propone ben altro oggetto: le strategie di esclusione/inclusione sociale mediante la semantica delle forme (l’habitus). Per il resto, un pot-pourri di riferimenti testuali, dove la parte del leone la fanno citazioni di “destri sublimi”; da Nietzsche, passando per Huizinga e Cioran fino a Calasso/Taleb/Agamben (quest’ultimo, il filosofo negazionista del Covid-19 che il 28 dicembre 2020 scriveva nel suo blog; in un perfetto stile oracolare che dovrebbe piacere a G&C: «Quello che è avvenuto nella modernità è, infatti, che gli uomini hanno dimenticato e rimosso la loro relazione con la sfera ctonia, non abitano più Chthon, ma soltanto Gaia. Ma quanto più eliminavano dalla loro vita la sfera della morte, tanto più la loro esistenza diventava invivibile; quanto più perdevano ogni familiarità con le profondità di Ctonia, ridotta come tutto il resto a oggetto di sfruttamento, tanto più l’amabile superficie di Gaia veniva progressivamente avvelenata e distrutta»).

Ecclettismo? Non mi pare, visto l’esplicito omaggio a un personaggio che funge da cartina di tornasole culturale, quale il parsonsiano Harold Garfinkel; aderente a quel filone di pensiero sociologico che, con il funzionalista hard Talcott Parsons e la sua Grande Teoria, domina la scena in tutta la parte centrale del XX secolo; promuovendo l’analogia biologica tra società e organismo vivente, in cui i meccanismi di controllo operano per prevenire minacce all’ordine vigente e i ruoli degli umani sono prefissati da norme inesorabili calate dall’alto. L’assunto meramente conservatore che il conflitto è patologia.

Ma dietro questi modelli di pensiero orientati a esorcizzare il mutamento (dunque, il principio di malleabilità del sociale, pre-requisito dell’instaurazione democratica), c’è qualcosa di più e di peggio. Un disegno inquietante, sempre in penombra, che persegue la tutela degli assetti del Potere attraverso la manipolazione sistematica. La logica per cui è più economico incatenare le menti che i corpi. Già agli albori della nazione americana. Come ha scritto lo storico di Harvard Howard Zinn, la scoperta dei Padri Fondatori che «crearono il sistema di controllo nazionale più efficace dei tempi moderni e mostrarono alle future generazioni di leader i vantaggi che si ottengono associando il paternalismo al comando […] Prefigurazione di una caratteristica duratura della politica americana, che ha spesso visto appartenenti alle classi superiori sfruttare l’energia dei ceti inferiori per perseguire i propri scopi»[10].

Dunque, l’idea da entomologi che, dietro l’apparenza della società aperta e plurale, il consorzio umano “reale” assomigli a un formicaio o a un alveare; mentre la democrazia sarebbe soltanto l’involucro che avvolge il cuore di tenebra dell’oligarchia plutocratica.

Un delirio intrinsecamente anti-umanistico, che durante la Guerra Fredda (e le sue devastazioni etiche prima ancora che materiali) avrebbe fornito una cornice culturale allo studio e allo sviluppo di sistemi per il controllo della mente. Come scrive ancora Zuboff, «un capitolo morbosamente affascinante e spesso bizzarro della storia dello spionaggio americano. Gran parte del lavoro fu parte del progetto segretissimo MKUltra della CIA, incaricato di ‘ricercare materiali chimici, biologici e radiologici che possano essere impiegati in operazioni segrete di controllo del comportamento umano’»[11]. Metodi che ritroviamo ora sotto nuove vesti come creazione del mercato (dei prodotti come della politica), con capacità digitali, scala e scopo senza precedenti; ormai trionfanti sotto le insegne del capitalismo della sorveglianza. La controguerriglia dell’establishment per sedare le insorgenze indignate contro la globalizzazione finanziaria, esplose nel 2011 nei quartieri di 800 città del mondo (e ormai messe a tacere promuovendo precarizzazioni e impoverimenti); di cui i nostri G&C avallano lo screditamento accreditando la tesi mainstream che la protesta populista sarebbe soltanto un’irresponsabile demagogia (pag. 116). Ennesimo esempio di occultamento delle verità sgradevoli (per il privilegio) a mezzo pratiche linguistiche. La propaganda ridefinita ”comunicazione”.

Nel frattempo la diffusione a macchia d’olio del credo anti-umano – trainato dalla mattanza di ‘lavoro vivo’ a mezzo di quello ‘morto’ delle macchine pensanti e dalle promesse dell’editing genetico o del trasferimento della coscienza umana su piattaforme digitali – rende pensabili inquietanti prospettive post-umane e/o trans-umane[12]. Mentre i guardiani dell’ordine si aggiornano con i nuovi algoritmi.

Io cominciai ad annusare il lezzo di agenzie per l’indottrinamento mentalista – tipo CIA – praticando l’ermeneutica del sospetto non ancora ventenne da borsista CESES, nella veneziana Fondazione Cini; allora alla corte dell’ex agente dell’Intelligence Service e contemporaneamente ex segretario di Palmiro Togliatti, Renato Mieli.

Ora come allora: i ragazzi del TED percepiscono a loro volta quel tipico sentore?

 

Capire il target, please!

Ciao papà,

sono felice che tu abbia trovato il tempo di approfondire un testo a me molto caro di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, che – coerentemente con tutte le loro pubblicazioni – fornisce al lettore strumenti concreti per “uscire dalla caverna” di una vita irriflessa – nella quale si tenta di conformarsi (spesso senza successo) a imperativi sociali tendenzialmente appiattenti e frustranti – rispondendo alla domanda: «come possiamo ritrovare la dimensione sacra e autentica dell’esistenza senza rimanere impigliati nelle maglie della società dell’immediatezza?»[13].

Facendo seguito a quanto scrivi in merito ai contenuti del testo, dici che trovi indeterminato il concetto di “performance”, i cui contorni ti risultano sfumati e rarefatti. Quello che per te è un argomento indefinito per me è invece vita quotidianamente vissuta (ogni riga del libro ha risuonato dentro di me proprio perché parla della mia esistenza!). Non ho avuto dubbi su cosa stessero dicendo o a cosa si stessero riferendo. Probabilmente il tema ti pare astratto perché fai una vita da intellettuale (che pur negli stenti economici che oggigiorno può comportare, risulta privilegiata almeno dal punto di vista della libertà mentale e creativa), al riparo da qualunque diktat sociale sui bioritmi (niente orari impiegatizi o scarsità di tempo per coltivare hobby e interessi) e sulle aspettative produttive. Viceversa, per un impiegato costretto a sottostare a ritmi forzati ed essere sempre al massimo delle proprie capacità – perché costantemente valutato con parametri di produttività nel rispetto di standard universali – il tema risulta più chiaro. A me, che appartengo alla categoria di cui sopra, i loro testi fanno letteralmente vibrare: mi muovono all’introspezione che si fa azione concreta e migliorativa – della mia esistenza e di quella degli altri. Per quanto riguarda la forma e gli intenti del libro, (e, più in generale, del progetto Tlon), non mi sorprende troppo il tuo giudizio sull’uso non filologico e letterale (ma anche un po’ strumentalizzato e volutamente pindarico) delle fonti.

Con buona probabilità, uno storico della filosofia storcerebbe il naso dinnanzi all’uso della bibliografia non sempre accurato che fanno Gancitano e Colamedici: è un uso molto spesso troppo analogico e fin distorto, che tende ad astrarre dai contesti di origine ed accostare mondi che talvolta hanno poco da condividere. Tuttavia il loro intento non è quello di fare storia della filosofia. Il loro target non sono pochi colti, bensì tutte quelle persone (tante!) ancora inconsapevoli delle proprie risorse intellettuali e spirituali. Per l’italiano medio, con una formazione non umanistica, ciò che per te risulta banale, dato il tuo background, è invece sfidante dal punto di vista degli spunti.

A mio avviso, nel leggerli e quindi criticarli, risulta imprescindibile non perdere di vista l’obiettivo che si pongono e il quadro più ampio in cui agiscono. Colamedici e Gancitano, con il loro progetto Tlon, hanno come principale finalità quella di fornire spunti, aprire mondi possibili, far pensare. Il pubblico a cui si rivolgono non è l’Accademia. Non puntano a una divulgazione raffinata da un punto di vista letterale e letterario, bensì ad accendere scintille in menti intorpidite e fornire strumenti per la personale creatività esistenziale.

In definitiva, trovo che questo progetto filosofico, perfettamente riuscito ancorché ambizioso, sia democratico nel senso più profondo del termine, ricordandomi quei progetti di riforme culturali – di gramsciana memoria – che vedevano nella conoscenza e nella cultura (attraverso il senso critico che sviluppavano nelle masse) un fondamentale e vitale strumento di resistenza e difesa contro regimi totalitari di ogni sorta.

 

Il difficile incontro (eppure indispensabile)

Mia cara Ludo,

leggendo la tua risposta mi tornava alla mente un’amara sentenza di Pierre Bourdieu: «i giovani tendono a sospingere i vecchi nella vecchiaia»[14]. Di certo le tue parole sottolineano un divario che prima di tutto marca distanze di mentalità e sensibilità.

Anche per me che ti ho osservato (compiaciuto) crescere e diventare la donna che sei, che so quanto posso infastidirti se dico che il tuo modo di pensare la performance (in termini di sfruttamento) è molto diverso da quello della Gancitano (apparenza).

Quel divario a cui il libro di G&C dedica la pagina che ho trovato più convincente, descrivendo il fenomeno del “risucchiamento” del medium principe della mia generazione – la televisione – nel territorio dell’informatica e della telematica: «la transizione avvenuta è impossibile da osservare per chi ha un sistema cognitivo vecchio: né migliore né peggiore, semplicemente diverso. […] Si confonde internet con la televisione, con gli altri media del passato che però non erano ‘navigabili’ ma solo ‘fruibili’. Non si poteva abitare la radio o la televisione. Si abita internet, invece» (pag. 71). E il salto è ancora più lungo: noi siamo l’ultima generazione del libro, la cui lettura produce pensiero sequenziale orientato alle concettualizzazioni astratte, voi siete la prima coorte che entra nel mondo della simultaneità prodotta dalle schermate (del pc o dello smartphone) e ragionate per casi concreti. Un cambiamento non da poco, che determina persino una diversa polarizzazione nei sensi.

Visto che mi rivolgo a filosofe, lo dico filosoficamente (con Raffaele Simone): «la filosofia europea ha lavorato a lungo per definire le vie attraverso le quali si forma la conoscenza; e non è affatto un caso che questo sforzo sia stato più intenso proprio nelle epoche (come i primordi della filosofia in Grecia e l’Illuminismo in Europa) in cui si tentava di costruire una sorta di storia genealogica del conoscere […]: esiste un ordine dei sensi, per il quale la vista e l’udito sono le vie principali della conoscenza»[15]. E per noi lettori l’organo prevalente resta l’occhio, mentre per voi – immersi nella nuova oralità – l’orecchio. Anche se il vostro collega Maurizio Ferraris segnala «l’esplosione della scrittura (fatta di e-mail, sms, Web, lettere rubate e toxic paper) che caratterizza gli ultimi trent’anni»[16]. Intanto – se non mi fa velo il patriottismo generazionale – direi che sta scemando quanto l’antropologo e teologo Walter J. Ong definiva «l’emergere della coscienza dall’inconscio»[17] grazie al carattere riflessivo della scrittura. Il diffondersi della (seppur limitata, vedi Herbert Simon) razionalità e del disincanto. Lo dico sapendo tanti tuoi coetanei sdraiati sul lettino dell’analista, forse alla ricerca di quelle rassicuranti figure paterne che non siamo stati capaci di essere. Forse per il bisogno psicologico di un confessore, che il declino della religione (cattolica) non mette più a loro disposizione.

Tutti aspetti che rendono difficile l’intesa tra due specie aliene quali noi siamo. Che sarebbe estremamente positivo – concordo con te – si capissero. Noi, per svecchiare il nostro repertorio di idee (e pregiudizi) attraverso il dialogo; voi, per recuperare la dimensione della testimonianza che consente di non perdere forme di sapere.

Sicché, visto la brillantezza con cui Gancitano & Co. svolgono il ruolo di pontieri tra la vostra fascia anagrafica e la filosofia, potrebbe essere interessante e utile proporgli di mettere in cantiere un’analoga iniziativa volta a favorire la comprensione e il confronto intergenerazionale. Magari tu ed io potremmo offrirci come cavie.

NOTE

[1] J.L. Borges, Finzioni, Adelphi, Milano 2015.

[2] R. Moretti, Jorge Luis Borges – Il Bibliotecario di Babele, Bietti, n. 12/2017.

[3] Cfr. @Tlon.it, https://www.instagram.com/tlon.it/?hl=en

[4] Cfr. A. Colamedici, M. Gancitano, Prendila con Filosofia, HarperCollins Italia, Milano 2021, pp. 104-115.

[5] A. Toffler, La Terza ondata – il tramonto dell’era industriale e la nascita di una nuova civiltà, Sperling & Kupfer, Milano 1987, pag. 13.

[6] S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza – futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, LUISS, Roma 2019, pag. 392.

[7] M. Bensayag, “Del buon uso di Foucault”, MicroMega 8/2020.

[8] M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967, pag. 13.

[9] Cfr. F. Bria e E. Morozov, Ripensare la smart city, Codice, Torino pag.176.

[10] H. Zinn, Storia del popolo americano, il Saggiatore, Milano 2005, pag. 46.

[11] M. Zuboff, cit., pag. 337.

[12] Cfr. P. Mason, Il futuro migliore – in difesa dell’essere umano, il Saggiatore, Milano 2019, pag. 202.

[13] A. Colamedici, M. Gancitano, https://tlon.it/prodotti/lasocietadellaperformance/.

[14] P. Bourdieu, La distinzione, il Mulino, Bologna 1983, pag. 471.

[15] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma/Bari 2000, pag.15.

[16] M. Ferraris, Ricostruire la decostruzione, Bompiani, Milano 2010, pag. 35.

[17] W. J. Ong. Oralità e scrittura, il Mulino, Bologna 1986, pag. 211.



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