Fit for 55 e transizione energetica: uno sforzo importante nella giusta direzione

Secondo Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, il pacchetto di misure presentato ieri dalla Commissione europea mostra la volontà di perseguire serie politiche di transizione energetica. Il pericolo ora è che venga annacquato nell’iter di approvazione.

Ingrid Colanicchia

Il pacchetto Fit for 55 presentato ieri dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, contiene un’insieme di proposte legislative sull’energia e sul clima che hanno lo scopo di mettere l’Unione Europea in condizione di centrare l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050, raggiungendo l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di gas climalteranti. Ne abbiamo parlato con Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.

Il pacchetto di misure Fit for 55 mira a un obiettivo da tutti definito ambizioso. Il suo eventuale raggiungimento sarà sufficiente a fermare la crisi climatica o siamo già in uno scenario in cui tutto ciò cui possiamo aspirare è di far fronte a una crisi ormai ineluttabile?

La crisi è già in atto, ne abbiamo segni evidenti. Se un paio di decenni fa avessimo perseguito l’obiettivo che oggi ci stiamo prefissando con questa forza avremmo avuto davanti un percorso molto meno impegnativo. Nella situazione attuale, invece, per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e limitare l’aumento della temperatura globale tra 1,5 e 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, servono riduzioni drastiche delle emissioni. È necessario arrivare alla neutralità climatica in brevissimo tempo.

Rispetto agli obiettivi le misure presentate ieri come ti sembrano?

L’analisi non è semplice ma mi pare di poter dire che si tratta di uno sforzo importante che dimostra la volontà di perseguire politiche di transizione serie, di sistema. Peraltro misure di questo tipo, prima di essere presentate, vengono sottoposte a studi tecnici della Commissione o di enti di ricerca esterni, che ne valutano l’impatto: evidentemente il Fit for 55 è stato ritenuto idoneo al raggiungimento di questi traguardi. E c’è stata anche una consultazione pubblica.

Del pacchetto, due passaggi mi paiono particolarmente significativi. Il primo è l’obiettivo di ridurre del 100% le emissioni delle automobili entro il 2035, che di fatto rappresenta uno stop ai combustibili fossili per gli autoveicoli, un segnale chiaro all’industria automobilistica. Il secondo è il “carbon border adjustment mechanism”, una sorta di tassa sul carbonio alla frontiera che graverà sulle aziende che importano nell’Ue da Paesi con regole climatiche meno rigide, di fatto eliminando il vantaggio competitivo di quegli Stati che producono a costi minori perché non hanno limiti alle emissioni di CO2. In questo modo si neutralizzerà l’incentivo a comprare dove costa meno perché la tassa alla frontiera azzererà la differenza di prezzo. Si tratta di una misura molto importante che rappresenta un attacco alla globalizzazione neoliberista che non ha mai preso in considerazione le questioni ambientali.

Infine, ritengo molto significativa la previsione di un Fondo sociale per il clima mirante a sostenere i cittadini più esposti all’aumento del prezzo dell’energia che, almeno nel breve periodo, conseguirà all’adozione di queste misure, i cittadini insomma più a rischio di povertà energetica. Il riconoscimento dell’esistenza di una serie di diseguaglianze, che determineranno un diverso impatto di queste misure sulle varie fasce della popolazione, mi pare davvero molto importante. Poi sarà da vedere quanto il Fondo riuscirà concretamente a far fronte alle esigenze.

Inizia ora l’iter legislativo per l’approvazione del Fit for 55. Di quali resistenze c’è più da preoccuparsi?

Il rischio ora è che questo pacchetto venga annacquato. Le resistenze potenzialmente sono molte e diverse. A livello politico in primo luogo di tutto quel mondo di ex-negazionisti climatici che non vede di buon occhio l’intervento dello Stato per indirizzare e sostenere le politiche climatiche, e vorrebbe lasciar fare tutto al mercato. A livello italiano, per fare un esempio, il mondo dell’Istituto Bruno Leoni, il cui direttore – Carlo Stagnaro – giusto di recente è stato chiamato da Draghi in qualità di consulente sulla politica economica, assieme alla collega Serena Sileoni.

Ci sarà poi con tutta probabilità l’alzata di scudi della parte più arretrata del mondo dell’auto: non solo le industrie automobilistiche in senso stretto ma anche quelle che producono la componentistica. Hanno 15 anni per riconvertirsi, li impiegheranno per farlo o le proveranno tutte per fare in modo di rallentare questo processo?

Infine, il mondo fossile, sui cui profitti futuri l’intero pacchetto Fit for 55 mette una grossa ipoteca.

E del nostro Recovery Plan cosa pensi?

Ci sono diverse cose interessanti, ma per molti versi mi pare che sia ancora improntato al vecchio criterio del fare opere per creare posti di lavoro e far muovere l’economia, senza una valutazione chiara e condivisa dei costi e dei benefici per il clima. Inoltre, non si è capito quanto la transizione energetica debba essere rapida. Mi pare quindi che non abbia l’impostazione giusta per affrontare i tempi drammatici della transizione che abbiano di fronte, decisi alla quasi unanimità anche dal Parlamento italiano quando ha ratificato l’Accordo di Parigi.

È anche vero che è facile criticare piani fatti peraltro così di fretta (dati i tempi strettissimi). E se scontenta tutti mi vien da pensare che forse così male non è.

 

Credit foto: Xinhua/Zhang Cheng ANSA



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