Foodbuster e prevenzione: le buone pratiche e politiche che riducono lo spreco alimentare

"I foodbuster sono i Robin food degli alimenti, professionisti alla ricerca di imprese con cibo in eccesso. Hanno creato protocolli igienico-sanitari, fiscali e logistici capaci di rendere sicuro, vantaggioso e quindi conveniente il recupero di quel cibo piuttosto che la sua distruzione". Intervista a Luca Falasconi.

Roberto Rosano

Foodbuster e prevenzione. Il problema dello spreco alimentare è ormai sempre più spesso all’ordine del giorno sia nella consapevolezza dei cittadini – sebbene non ancora abbastanza – sia all’interno delle aziende e di tanti altri stakeholder dell’industria alimentare, compresi gli studiosi. Sul tema, abbiamo posto alcune domande a Luca Falasconi (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Alma Mater di Bologna) che gli ha dedicato il recente libro Lo spreco alimentare in Italia. Riflessioni, dati, testimonianze (Carocci, Roma, 2022), insieme al professor Silvio Franco (Unitus).

Il filosofo francese, Fabrice Hadjadj, sostiene che il consumismo  non è una forma di materialismo, bensì di spiritualismo, perché il consumatore non si attacca agli oggetti, li utilizza e li distrugge. Lei che ne pensa?

La mia formazione è più tecnica ed economica per cui mi piace accostare il termine “consumismo” a quello di obsolescenza, aggettivandolo con programmata o pianificata. Che cos’è l’obsolescenza? Non è altro che una strategia industriale volta a predeterminare il ciclo di vita di un bene, definendone a priori il momento della sua fine di utilizzo ma non di funzionamento, con l’obiettivo di suscitare nel consumatore la necessità di cambiare il bene con uno nuovo, aumentandone e accelerandone così il tasso di sostituzione.

Esiste, però, anche un altro tipo di obsolescenza, quella percepita o psicologica, alimentata dalle campagne pubblicitarie.

In questo secondo caso non vi è neanche la necessità da parte del costruttore di definire il decadimento fisico. Viene fatto percepire un decadimento organolettico o estetico.

 Che cosa fanno i foodbuster?

Sono i moderni Robin food, professionisti alla ricerca di imprese con cibo in eccesso. Queste imprese, per varie ragioni, credono più conveniente distruggere il cibo. Dopo averle trovate, i foodbuster propongono loro attività per valorizzare socialmente il cibo destinato al pattume.

Nel libro li definisce professionisti. Perché?

In quanto hanno creato protocolli igienico-sanitari, fiscali e logistici capaci di rendere sicuro, vantaggioso e quindi conveniente il recupero di quel cibo piuttosto che la sua distruzione. Sono quindi riusciti a trasformare quello che sarebbe stato uno spreco in una risorsa, attivando un processo win-win grazie al quale tutti i partecipanti ricavano più vantaggi che problemi. Nel corso del tempo, i foodbuster hanno attivato, oltre che percorsi di recupero, anche percorsi di prevenzione. Certo, una parte di spreco rimane fisiologica ed è su questa frazione che si innesta l’intervento di recupero.

Che cos’è il Last Minute Market di cui parla abbondantemente in questo libro?

Il Last Minute Market permette di recuperare cibo destinato alla distruzione o al pattume in favore di consumatori sensibili al tema e, a volte, anche con uno scarso potere d’acquisto; ma è bene sottolineare che esso non offre cibo di serie B e non si rivolge ad una clientela di serie B. Ogni alimento viene recuperato tra le 24 e le 72 ore precedenti il superamento della sua data di scadenza o di preferenza di consumo, e poi immediatamente re-distribuito. Quindi solo prodotti di serie A per consumatori di serie A!

Ma è solo un modo per recuperare una “mancata vendita”, per ridare vita al surplus, o c’è qualcosa di più importante sotto questo processo, qualcosa di più profondo a livello umano e sociale?

Sul nostro pianeta produciamo una quantità di cibo in grado di sfamare 12 miliardi di persone, al momento siamo 8 miliardi.  Per garantire una migliore distribuzione di questa risorsa, però, è necessario rimanere fermamente all’interno del sistema economico. Noi siamo pienamente dentro l’economia, per due ragioni: la questione dell’obsolescenza e quella dell’azione win-win. Sull’obsolescenza abbiamo già detto. Per quanto riguarda l’azione win-win: le imprese riducono i costi di smaltimento, ottengono alcuni piccoli vantaggi fiscali, attivano un progetto di responsabilità sociale d’impresa  e possono quindi offrire un’immagine più positiva ai propri clienti. I beneficiari dei prodotti alimentari migliorano la propria alimentazione (riduzione dei costi pubblici legati alla sanità) e ottengono un piccolo risparmio che può essere speso in altri beni e servizi (bollette, beni non alimentari ecc.). Le amministrazioni pubbliche, di conseguenza, beneficiano di una migliore gestione dei fondi destinati al terzo settore.

Negli ultimi trent’anni  i “poveri alimentari” sono aumentati, mentre le eccedenze sono diminuite. Come va letto questo dato?

Due fatti principali. Il primo è che la sensibilità al tema degli sprechi, negli anni, è aumentata e si è cercato di dare una risposta in termini di contenimento. Il secondo fatto è che in questi 20 anni è aumentato il divario tra la classe ricca e la classe povera della nostra società: chi più ha, ha sempre di più, chi meno ha, ha sempre meno. La crisi economica, la pandemia e la guerra hanno accentuato questa doppia polarizzazione.

Oggi abbiamo un’idea chiara riguardo alla quantità e alle cause degli sprechi nel nostro Paese, risalendo agli stadi più a valle della filiera?

Sicuramente sappiamo che l’anello più debole della filiera è quello domestico. Una percentuale che va dal 40 al 50% dello spreco totale. Ciascuno di noi spreca dai 500 ai 600 grammi di cibo a settimana. Moltiplichiamo questa cifra per le 52 settimane in cui è suddiviso l’anno e soprattutto per i 60 milioni di italiani… Il 16% dei nostri redditi va in spesa alimentare, questo perché il prezzo del cibo, nonostante l’inflazione, è veramente troppo basso, così basso che rischiamo di non dargli il giusto valore. Ritornando agli ultimi stadi dello spreco nella filiera, vorrei fare un breve cenno a cosa succede all’interno delle mense scolastiche. Poco più del 20% del cibo che ogni giorno viene servito ai nostri bimbi finisce nel bidone della spazzatura, circa 120g per ogni bambino, ogni giorno.

A che punto siamo con l’integrazione delle misure di prevenzione degli sprechi alimentari nei Piani regionali di prevenzione dei rifiuti e nei bandi di gara pubblici per i servizi di ristorazione collettiva?

Molto è stato fatto, tanto è stato scritto, però non tutto è stato trasformato in prassi ed è diventato prassi. Spesso sono state previste ottime azioni che, però, non si sono tradotte in pratiche efficaci. Quindi bisognerebbe impegnarsi di più nella cosiddetta messa a terra delle norme e delle azioni previste.



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