Fourest: “In Francia deriva della destra. La nostra cultura politica ci preserverà dal populismo”

Intervista alla scrittrice, giornalista, conduttrice e regista francese a poche settimane dalle elezioni presidenziali.

Marco Cesario

A poche settimane dalle elezioni presidenziali francesi, Caroline Fourest, nota scrittrice, giornalista, conduttrice e regista francese, autrice di numerosi saggi sul radicalismo religioso, sulla laicità e sulle derive del politically correct, parla di un’estremizzazione del linguaggio della destra in Francia, di una deriva populista. In questa intervista esclusiva a MicroMega, realizzata prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Fourest inoltre denuncia una pauperizzazione della sinistra, vittima della cancel culture e del fascino della “democrazia del click” ma conclude: “In Francia il livello del dibattito intellettuale è ancora molto alto, i libri vanno ancora a ruba e questo forse ci preserverà da brutte sorprese nelle urne”.

In queste elezioni presidenziali francesi del 2022 si ha l’impressione che il dibattito politico, soprattutto a destra, sia diventato più teso, più estremo.
Sì, siamo di fronte ad una vera e propria estremizzazione della destra francese, una droitisation della destra. Ciò vuol dire che nella galassia della destra francese si è creata una sorta di competizione agonistica o di concorrenza per chi dimostra di essere politicamente più a destra della destra e addirittura dell’estrema destra. È un po’, purtroppo, un passaggio obbligato dopo gli anni molto tesi che abbiamo attraversato qui in Francia. In effetti, stiamo uscendo a fatica da un lungo tunnel buio di attacchi terroristici, fratture politiche e crisi sanitarie. In questo contesto è ovvio che la propaganda estrema sia stata e sia oggi molto, molto attiva. La gente è molto arrabbiata, quindi, purtroppo, lo spazio è aperto per un “eccesso di destra” che, alla fine, forse contribuirà a veicolare, cauterizzare questa rabbia.

Uno dei personaggi politici fuoriusciti da questa deriva della destra francese è Eric Zemmour
Zemmour politicamente si è posto immediatamente non solo alla destra della destra tradizionale gollista ma addirittura a destra di quella che una volta era la destra più estrema, l’ex Front National oggi Rassemblement National di Marine Le Pen. Dal canto suo Marine Le Pen ha cercato per anni ed in tutti i modi di indorare l’immagine del Front National, trasformandolo in Rassemblement National a Millau. Questa operazione di maquillage politico però ha indirettamente riaperto uno spazio di azione che poteva essere occupato esclusivamente da un candidato maschio più generalista, più offensivo, più trasgressivo. E questo candidato è Éric Zemmour, un giornalista, saggista e polemista, che per anni ha coltivato un certo pubblico e che ha creduto o pensato di sfruttare questo vuoto politico lasciato da Marine Le Pen trasformando questo suo stesso pubblico, che ha continuato a seguirlo, in una sorta di rampa di lancio per una vera carriera politica. Dopo le elezioni vedremo se la storia gli darà ragione, per ora è prematuro fare previsioni sull’impatto che potrà avere sulle elezioni politiche.

Zemmour ha detto delle cose piuttosto scioccanti sui migranti, (“È molto triste vedere queste persone morire in mare, ma vorrei dire che se muoiono è perché noi non siamo abbastanza severi), un segno di una deriva del discorso politico anche in Francia?
Eric Zemmour, che è un colto e fine polemista, ha giocato la carta della trasgressione, del linguaggio irridente ed irriverente. Questo è forse un segno di una deriva populista nel discorso politico ma è ugualmente un fenomeno che vediamo in atto oggi in tutte le democrazie moderne: si chiama polarizzazione del dibattito e si contraddistingue in quel fenomeno di incredulità generalizzato, nel fatto che la gente non crede nemmeno più in certe verità acquisite, non crede più nemmeno nei fatti e nel rispetto stesso della verità. Ciò facilita oltremodo le imprese demagogiche. In pratica siamo nella democrazia dell’emozione o della voce per esistere, della voce grossa per creare buzz, per generare likes, per trasgredire, per gridare sempre più forte, per farsi ascoltare a tutti i costi, non per piacere al maggior numero, ma per eccitare un piccolo gruppo che sarà rumoroso e felice. Siamo entrati in una sorta di democrazia dello spettacolo e del trambusto. Le avventure populiste sono incoraggiate e le vediamo all’opera assolutamente ovunque, in Brasile, negli Stati Uniti, in Italia. Si diffondono rapidamente, per definizione. È così facile. Non c’è niente di più facile oggi per fare politica che utilizzare un linguaggio trasgressivo che genererà grosse comunità sui social network di radicali e fanatici, comunità che vi porteranno ad un livello in cui riuscirete ad esistere sui media ed anche politicamente. È la via più breve per i nuovi politici rampanti per cercare di farsi un nome nell’arena politica di oggi quindi è normale che molte persone scelgano di intraprendere questo percorso.

In Francia questo fenomeno è stato sempre minoritario, si ha l’impressione che le porte del populismo si siano spalancate anche qui.
Negli Stati Uniti abbiamo visto all’opera il fenomeno Donald Trump, l’impatto che può generare la teoria della cospirazione applicata alla politica. L’abbiamo visto all’opera anche in altri paesi la deriva populista. Per quanto riguarda la Francia va detto che non si può combattere una tendenza così globale quando i nostri dibattiti pubblici non sono più strutturati solo da televisione e giornali e si aggiunge una nuova dimensione, quella dei social network. Non esiste una regola in cui tutti i discorsi sono uguali: la menzogna oggi è sullo stesso piano della verità. Anzi, viviamo in un’epoca in cui sappiamo benissimo che la menzogna viaggia molto più veloce della verità. Sappiamo che le teorie cospirazioniste sono necessariamente più eccitanti. Sappiamo che tutto ciò che è emotivo e quindi arrabbiato tende ad essere molto più marcato, ad essere più facilmente percepito, assimilato. Questa è la nuova dimensione che è stata aggiunta alla nostra vita. È inevitabile che dunque i candidati che utilizzano scorciatoie politiche, spiegazioni paranoiche o arrabbiate ed emotive cavalchino l’onda politica del momento. Certo, ogni paese ha le sue sfumature nel modo in cui riesce a digerire questo fenomeno. Ad esempio, negli Stati Uniti, l’uomo che ha avuto più successo nell’ottenere quest’effetto è stato un miliardario incolto che ha giocato la postura antisistema, una cosa completamente grottesca. In Francia invece si assiste ad un fenomeno molto diverso. Qui, si tratta di un giornalista colto ma trasgressivo che fa l’antisistema.  In Italia, ad esempio, è stato un comico e un brillante autore (Grillo ndr) oppure un politico, astuto e cinico, che è in giro da molto tempo, ma che riesce sempre a spacciarsi per una bella persona nuova di zecca (Berlusconi ndr). Tutto è possibile con questo tipo di impostura perché, per definizione, si tratta di una vera e propria impostura. Poi vedremo. Il risultato è che la differenza sarà giudicata nelle urne. Il voto di maggioranza a due turni. Il fatto che il dibattito pubblico in Francia rimanga ad un livello abbastanza buono nonostante l’offensiva dei canali d’informazione continua come il telegiornale CNEWS (che prende oramai la direzione di Fox News), è un fatto degno di nota. Ci sono infatti ancora molti altri spazi nella televisione pubblica francese dove si svolgono dibattiti politici di qualità. La stampa è ancora molto forte in Francia rispetto ad altri paesi. I libri si vendono ancora bene rispetto ad altri paesi e vedremo se questo gusto per la precisione delle parole e per il dibattito intellettuale ci proteggerà o meno.  E lo vedremo solo alla fine: se Eric Zemmour o Marine Le Pen saranno eletti, è perché non sarà stato abbastanza forte da proteggerci. Ma se questi personaggi non passeranno è perché il dibattito intellettuale avrà tenuto.

Parlando della sinistra francese, cosa pensa delle primarie popolari?
Lo dico chiaramente, penso che sia una truffa assoluta. Penso che anche questa sia demagogia, ma di sinistra, cioè far credere alla gente che parteciperemo all’unione della sinistra aggiungendo un nuovo candidato che in realtà è il risultato di qualche click, grazie a un’operazione di marketing che è stata finanziata da un generoso donatore ancora sconosciuto, a suon di migliaia di euro, 300.000 per la precisione.  E poi si pubblica un sito web molto ben fatto. Si fa un brainstorming con cinque organizzazioni per arrivare a una base comune, che è in realtà soprattutto una lista di luoghi comuni che imporremo alla base. E in pratica decretiamo che i candidati saranno incaricati a farlo. Nessuno è veramente convinto di partecipare a queste primarie, coloro che non volevano partecipare sono stati nominati forzosamente come candidati e questo è totalmente antidemocratico. È una farsa per far credere alla gente che la democrazia diretta, demagogica del PC e del marketing possa sostituire la democrazia rappresentativa. È una truffa assoluta che forse servirà a rafforzare la pretesa di Christiane Taubira di essere la candidata più a sinistra. Ma nulla in queste “primarie popolari” contribuisce a qualsivoglia unione delle sinistre.

Quello che è stato messo in piedi nella sinistra francese assomiglia un po’ a quanto accaduto in Italia, con la piattaforma Rousseau ed il Movimento 5 Stelle, la cosiddetta democrazia diretta, ovvero una piattaforma online dove poche migliaia di persone possono decidere per milioni di persone.
Questo mi porta a dire che stiamo vivendo una profonda crisi della democrazia perché abbiamo dimenticato la definizione stessa di democrazia. La democrazia non è “so cosa voglio e lo impongo agli altri”. La democrazia non è: “Mi riunisco in piccoli comitati, ho la fortuna di avere un discorso che sembra seguire la corrente odierna, riunisco qualche migliaio di persone e trovo un generoso donatore. Poi posso lanciare una specie di offerta pubblica di acquisto su un processo di nomina che riguarda tutto il paese”. Questa non è democrazia. È la democrazia rappresentativa che serve davvero l’interesse generale. È un processo molto controllato in cui la gente si prende il tempo necessario per fare una campagna, un tempo in cui si pensa a designare qualcuno secondo un lungo processo e poi, essendoci una maggioranza, si finisce per decidere. La vera unione della sinistra è quella su cui le tendenze della sinistra avrebbero dovuto lavorare già da cinque anni e trovare valori comuni smettendo di rinunciare, smettendo di chiudere gli occhi su antagonismi che non sono più accettabili. Vale a dire che la vera, reale frattura della sinistra attuale è molto più semplice. Non è legata a differenze su questioni economiche e sociali. Ha a che fare con il fatto che una parte della sinistra ha deciso di essere nell’assoluto diniego dei problemi reali come la crescita esponenziale del fondamentalismo religioso, come la propaganda che sta dividendo e lacerando questo paese. Un’altra parte della sinistra non sopporta più questa negazione della realtà o questa disonestà intellettuale per ragioni di clientelismo e ingenuità. Finché questo nodo non sarà sciolto e la sinistra non avrà convinto coloro che sono delusi da lei, fintanto che non si sveglierà da questo torpore avendo un po’ di onestà, fin quando non considererà l’interesse generale più importante che corteggiare i voti dei fanatici religiosi e dei demagoghi, la sinistra non potrà unificarsi e non potrà dunque discutere delle reali questioni economiche e sociali. In effetti, non c’è nessuna riconciliazione possibile, quindi è tutto qui il nodo della questione. Il problema della sinistra oggi è di riconciliarsi sull’essenziale, di trovare i suoi fondamenti, di svegliarsi, e poi di dialogare, di dibattere sulle questioni economiche e sociali. Questo è possibile soltanto con persone che siano interessate a fare questo sforzo di chiarificazione intellettuale. Si tratta di un lungo processo che avrebbe dovuto iniziare cinque anni fa. Non è stato fatto e si pensa di poter risolvere questo non-lavoro con delle primarie completamente demagogiche e manipolate. È vergognoso e non funzionerà.

Un fenomeno preoccupante nella sinistra europea è quello d’importare il gergo ed i conflitti del patrimonio della sinistra liberal americana, non crede?
La sinistra americana in verità oggi non ha più molto da dire sulle disuguaglianze ed oggi, per forza di cose, deve ritessere un’agenda comune per ridurre il suo declino ed evitare l’implosione della sua stessa attività. Deve insomma costringere gli azionisti e i finanzieri a re-immettere i loro profitti in eccesso nell’economia reale. È uno sforzo colossale che richiede molto coraggio politico e non è facile da intraprendere. È molto più semplice, molto più conveniente dal punto di vista politico, approvare un certo lessico. Ad esempio, il lessico delle grandi università americane sulla diversità, che non fa sprecare tempo, e si pone sempre dalla parte del giusto. Il problema è che è un lessico così settario e che puzza così tanto di strategia di potere che puo’ convincere solo i privilegiati ed allontanare invece le classi lavoratrici, che hanno altre cose di cui preoccuparsi, dal votare per la sinistra. E così, sapendo che è un’operazione di marketing che puzza di falso, si vede da un miglio che non è generata realmente dal coraggio o dalla sincerità. Queste questioni sono complesse. Io provengo dalla sinistra e mi sono sempre battuta contro le discriminazioni.  Penso che dobbiamo continuare a lottare contro ogni forma di discriminazione in nome dell’uguaglianza e dell’universalismo, usando un linguaggio che ci permetta di convincere, non di umiliare qualcuno sulla base della sua identità, non di ridurre l’altra persona semplicemente al suo colore di pelle. Se lottare contro la discriminazione significa censurare o umiliare qualcuno perché è bianco, eterosessuale o altro, mi dispiace ma non mi interessa. Non può funzionare, non convincerà nessuno. Questa è soltanto una strategia di potere per prendere il posto di qualcun altro non è certo una strategia per ottenere vera uguaglianza. Quindi occorre rimettere le cose al loro posto e spiegare come sono le cose alle nuove generazioni. Bisogna ritornare a riunirsi, entrare in una vera dinamica antirazzista, non in una dinamica opportunistica.

A poche settimane dalle elezioni forse è opportuno fare anche un bilancio del macronismo. Lei come giudica questi cinque anni di presidenza?
Ci sono due sviluppi che rendono solida la base a favore degli elettori che si dicono pronti a votare di nuovo per Emmanuel Macron nonostante la difficoltà della crisi, nonostante il fatto che la gente oggi non voglia più vedere un presidente coprire due mandati in Francia, che non è certo la tendenza comune. Macron si è evoluto su due punti che erano inizialmente le sue debolezze. Intanto trovo l’attuale presidente più interessante del candidato che è stato durante le ultime elezioni presidenziali perché il candidato Macron, cinque anni fa, era per esempio molto debole sui temi della laicità, sui valori repubblicani, aveva poco da dire su questi argomenti, aveva poco coraggio.  Ha avuto, ovviamente, un approccio molto economico alla politica. “Creeremo ricchezza”, “Faremo tutto per gli affari e questo sarà sufficiente”, queste erano le sue certezze. Ma è stato colpito in pieno dalla protesta dei gilet gialli e dalla crisi sanitaria e non ha potuto condurre dunque una politica semplice, una politica economica soltanto. Ha perseguito una politica del “whatever it takes“. Oggi, la maggior parte degli osservatori stranieri apprezza cio’ che ha fatto perché di fatto la politica del governo ha incredibilmente ammortizzato la crisi sanitaria e sociale, al punto che i ristoratori sanno di essere riusciti a rimanere in piedi, soprattutto grazie agli aiuti statali. Le scuole sono potute rimanere aperte e le disuguaglianze non sono aumentate troppo. Molti politici che dubitavano del suo operato oggi gli sono riconoscenti. Certo c’è una rabbia molto forte nel paese, ma c’è anche uno zoccolo duro che dice che in definitiva è stato molto più gradevole vivere questa crisi sotto un Emmanuel Macron che sotto un Donald Trump. E ci sono persone che invece sono così arrabbiate con il sistema, con lo stato in generale, con le istituzioni, con i laboratori farmaceutici, con il virus, ma anche con i vaccini, coloro che preferiscono esprimere la loro rabbia piuttosto che sentirsi al sicuro, che vogliono tentare il diavolo solo per tentare il diavolo e che ovviamente preferirebbero avere l’equivalente di un Donald Trump al potere.

C’è un dato molto positivo in questo periodo di elezioni e riguarda i giovani. Un sondaggio fatto da OpinionWay per i media francesi ci restituisce un’immagine di un pubblico giovane di persone tra i 18 e i 30 anni che dice di essere molto interessato alla campagna presidenziale del 2022.
Se i giovani sono interessati al dibattito politico, non fosse altro che per denunciare gli eccessi di un Eric Zemmour, penso sia molto positivo. Tutto puo’ rivelarsi utile pur d’interessare i giovani al discorso pubblico e al dibattito democratico. È un modo di essere coinvolti in un modo o nell’altro. Sta poi al dibattito pubblico televisivo spingere i giovani ad esplorare argomenti diversi dal semplice rifiuto in blocco o dall’adesione agli estremi. In Francia ci lamentiamo molto ma penso che possiamo giudicarci fortunati ad avere un’offerta politica estremamente diversificata che va da due candidati di estrema destra, passando ad un candidato di centro e fino ad arrivare a cinque candidati a sinistra. Se qualcuno non trova il proprio candidato ideale vuol dire che è una persona estremamente difficile perché a un certo punto, in politica, non si elegge un candidato a cui si vuole assomigliare esattamente. Semplicemente si elegge qualcuno che tende a condurre una certa politica pubblica. E in Francia, c’è da dirlo, non c’è mancanza di scelta.

@marco_cesario

Photo by Aurore Marechal/ABACAPRESS.COM



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