Fumo negli occhi e manganello

Se come sostiene il governo la norma antirave non è pensata per colpire l’espressione del dissenso, allora era completamente inutile.

Cinzia Sciuto

Sarebbe stato molto interessante seguire l’iter di formazione del decreto-legge antirave, atto primo del governo Meloni. Io immagino una scena del genere: sabato si giura al Quirinale, dopo il giuramento Meloni chiama Piantedosi e gli dice: “Oh, lunedì al primo Consiglio dei ministri che possiamo fare per sparare un po’ di fumo negli occhi e tenere i giornali occupati per una settimana”? Il neo ministro fresco di giuramento rimugina un po’ e poi si ricorda che di lì a pochi giorni ci sarà a Modena un rave party, notoriamente una delle emergenze più drammatiche del nostro Paese, ben più urgente di morti sul lavoro, violenza contro le donne, mafia, corruzione, dissesto idrogeologico, pandemia, caro bollette… Vuoi mettere i rave? E allora, “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica“ – così recita il testo – il governo introduce nel suo primo decreto-legge una norma che prevede la pena della reclusione da tre a sei anni e una multa da mille a diecimila euro per chi organizza “l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Una norma (che in attesa della conversione in legge è comunque già in vigore) giudicata da molti nel migliore dei casi inutile, nel peggiore potenzialmente lesiva di alcuni diritti costituzionali di base.

E le precisazioni giunte da ministro e presidente del Consiglio nei giorni seguenti non fanno che confermare questi timori: se, come sostengono sia Piantedosi sia Meloni, la norma non è pensata per colpire l’espressione del dissenso, allora era completamente inutile. Sono già in vigore infatti norme che consentono alle forze dell’ordine di intervenire quando raduni (più o meno autorizzati) mettono a rischio “l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”. Tant’è vero che proprio il rave di Modena è stato sciolto dalla prefetta Camporota sulla base delle norme vigenti, non della nuova norma. Dunque, per i rave non serviva. E poi, avete mai visto un rave con 50 persone?

La norma in realtà è talmente generica e suscettibile di ampia discrezionalità interpretativa (peccato gravissimo per le norme giuridiche) che, al netto delle rassicurazioni verbali di Piantedosi e Meloni (che non hanno forza di legge), sotto la sua scure potrebbero finire le iniziative più disparate, da una festa di autofinanziamento di un collettivo universitario all’occupazione di una fabbrica da parte dei lavoratori. Con un effetto difficilmente misurabile ma che si avverte già: l’effetto intimidatorio, che è il meccanismo che il potere innesca per non trovarsi poi nella spiacevole situazione di dover reprimere il dissenso.

(credit foto ANSA/ELISABETTA BARACCHI)



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