La soggettività ignorata dei Paesi dell’Est e la doverosa rinuncia al gas russo

Da un lato continuiamo a finanziare la guerra di Putin comprando il suo gas, dall’altro facciamo finta di non sapere che sono stati i Paesi dell’Est a chiedere di entrare nella Nato.

Cinzia Sciuto

Nelle dotte discussioni geopolitiche che si svolgono sui giornali e sui social c’è un grande assente: i Paesi dell’Europa dell’Est. Non che siano assenti del tutto, ma sono sempre oggetto di giochi geopolitici altrui. Sono assenti come soggetti autonomi. E questo non solo da parte delle grandi potenze che fanno il proprio interesse, ma anche nella retorica del movimento pacifista che con il suo “né con Putin né con la Nato” dimentica che nella Nato gli ex Paesi del Blocco sovietico – ci piaccia o no – ci sono voluti (o ci vorrebbero) entrare loro sponte. E forse varrebbe la pena ragionare sui motivi per i quali lo hanno voluto fare e su come questi Paesi vivono la politica del loro ingombrante vicino russo, anziché speculare sui motivi (o addirittura le ragioni) per cui Putin ha invaso uno Stato sovrano. Varrebbe la pena  per esempio ascoltare gli esponenti del partito di sinistra polacco Razem che sottolineano “la strategia russa di sottomissione politica e militare delle ex repubbliche sovietiche situate al suo confine occidentale” portata avanti da Putin da molti anni ormai o quelle del direttore di Krytyka Polityczna Sławomir Sierakowski quando dice che “la Russia è un Paese la cui esistenza e il cui significato dipendono incomparabilmente più dal sentimento di dignità che dall’economia o dallo sviluppo. E la dignità è uguale al territorio, e alla paura e al rispetto che si ispirano agli altri.”

L’espressione “espansione a Est della Nato”, molto usata in queste settimane, evoca l’idea che la Nato abbia compiuto un’operazione quasi aggressiva, di “espansione” appunto, verso Est per “minacciare” la Russia. Una narrazione tutta schiacciata sul ruolo americano e sulla reazione e narrazione russa, mentre il fatto (giusto o sbagliato che sia) che siano stati quei Paesi a voler entrare nell’alleanza atlantica perché si sentivano loro minacciati dalla Russia viene completamente ignorato o minimizzato. Una narrazione perfettamente aderente a quella putiniana di una Russia “circondata” da forze ostili che rappresenterebbero una minaccia per la sua sicurezza, ma come sottolineano sempre gli esponenti di Razem, contraddetta dai fatti: “A differenza della Russia”, scrivono, “la Nato non ha mai preso in considerazione l’idea di invadere un membro della Comunità degli Stati Indipendenti e (…) di fronte a un enorme arsenale di testate nucleari, la narrazione della Russia come vittima è difficilmente difendibile”.

È chiaro che l’Occidente ha delle grandi responsabilità in questa vicenda. Prima fra tutte aver sottovalutato la pericolosità di un regime come quello di Putin, dal quale Anna Politkovskaja ci aveva messo in guardia già da molti anni (torna in libreria proprio in questi giorni per Adelphi il suo La Russia di Putin), stringendo con esso relazioni commerciali – si pensi in particolare alle forniture di gas – che oggi si stanno rivelando fatali e che di fatto stanno finanziando la guerra di Putin.

Anche se finora i Paesi europei sembrano aver escluso questa ipotesi, in realtà tutti i governi stanno freneticamente lavorando per sostituire le forniture di materie prime russe. Dietro questa (sacrosanta) decisione c’è un rischio enorme, e cioè quello di passare da una dipendenza all’altra: disfarsi del cappio al collo di Putin per legarsi mani e piedi ad altri Paesi (fossero anche gli Stati Uniti per il gas liquefatto, per non parlare di regimi non democratici come quello libico) non sarebbe una grande mossa. E, se nel breve periodo è certamente indispensabile rivolgersi ad altre fonti, nel medio-lungo sarà vitale affrancarsi dalla dipendenza da materie prime che non abbiamo e fare quella fantomatica transizione energetica che, oltre a contribuire a salvare il pianeta, ci renderebbe anche indipendenti.

In ogni caso, questo rischio non può essere una scusa per non prendere questa fondamentale decisione, a meno di non voler continuare a finanziare con i nostri soldi la guerra di Putin. E allora forse dai nostri divani – da dove come ha scritto su queste pagine il direttore Paolo Flores d’Arcais tutti noi pontifichiamo su cosa e come dovrebbero reagire gli ucraini aggrediti – una cosa concreta, e che potrebbe mettere d’accordo tutto il fronte del “no alla guerra” potremmo farla: chiedere tutti a gran voce il blocco immediato dell’importazione di gas russo. Si può e si deve fare subito. Significherà certamente un aumento dei prezzi e imporrà un abbassamento delle temperature nelle nostre case: un prezzo che chi ha a cuore pace e libertà non può non essere disposto a pagare, mentre gli ucraini combattono sulle barricate.

Credit foto: Berlino, 26 febbraio 2022. ANSA EPA/CLEMENS BILAN



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